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Prime ipotesi sul macrotesto

I percorsi della poesia

3. Nel progetto di un freddo perenne 1 Persona

3.3 Prime ipotesi sul macrotesto

Giovanni Giudici, nel penetrante saggio critico miniaturizzato ospitato sulla quarta di copertina, suggeriva di leggere il Progetto come qualcosa di più coeso di un normale macrotesto lirico: il libro gli appariva «scandito in tre parti che» egli tendeva «a considerare come le tre “cantiche” di un unico poema di amore

e dolore, di “strage e tenerezza”, di incarnazione nella parola»;14 una struttu-

ra poematica dunque (chiara l’allusione dantesca), o addirittura un «“racconto continuo”», secondo una duplice ipotesi che proveremo a verificare sul testo. È

riferita tanto alla pietrificazione e ai fossili, quanto agli spazi chiusi, quanto ancora al più alto tasso costruttivo di questa fase centrale della poesia ortestiana.

senz’altro vero, per cominciare, che il Progetto è un libro più compatto di quelli vicini: 51 testi (contro i 78 della Costanza e i 70 del Serraglio), quasi tutti anepi- grafi, raggruppati in sole 3 sezioni (contro le 7 degli altri due) rispettivamente di 17, 23 e 11 poesie. All’accresciuta compattezza corrisponde dunque una minore articolazione interna, una struttura che tende alle due dimensioni, alla catena sintagmatica. Ciò nonostante, anche nel Progetto la disseminazione del titolo determina una struttura tendenzialmente − l’avverbio non è secondario − cir- colare: l’ultima sezione e in essa il penultimo testo si ricongiungono all’inizio; mentre spetta all’ultima poesia, Trasfòrmati in parole, il compito di rilanciare il discorso oltre le soglie del libro che si chiude, divaricando le sorti di lei e dell’io. Non c’è poi sezione che non sia posta in rapporto con la Costanza, vuoi per il

titolo (Persona, Da neve a neve),15 vuoi per la presenza dei testi “trasmigrati”, ai

quali spettano posizioni non del tutto neutre all’interno del libro: Il margine in apertura (al secondo posto), Persona e [Resta girata dalla parte opposta] all’ini- zio della terza sezione (prima e terza posizione). Lo sdoppiamento di Persona tra prima e terza sezione, oltre che un altro segno di circolarità, sarà da leggere come correlato strutturale del nucleo tematico dello sdoppiamento di cui il testo si fa portatore, nonché della centralità di quest’ultimo nell’economia del terzo libro.

Come già detto, le tre sezioni contano rispettivamente 17, 23 e 11 testi. Il decremento tra seconda e terza sezione è però compensato dall’accresciuta

presenza e dimensione dei testi lunghi.16 Il loro addensarsi nella parte finale

del libro per raggiungere nell’ultimo esemplare (e terzultimo testo in assoluto)

dimensioni di vero e proprio poemetto17 va di pari passo con il loro progressi-

vo costituirsi in vere e proprie partiture drammatiche a due voci. Nell’ultima

15  Da neve a neve è l’incipit del sesto componimento incluso nella prima sezione della Costanza,

Protezione notturna. Questo il testo: «Da neve a neve / dove non poteva / la bestia affannosa

svernare, / il fuoco o le grinze sapienti dell’aria / le chiare figure in riposo / qui si gettano bocconi / e fanno a me / orecchie da mercanti // Ma se chiuse le dolci figure / severamente smagriscono le membra / e le attraversano / acerbe gemelle non si sciolgono le braccia // Forte crinale e scurissimi sonni / si fendono all’urto / su tenere colline dove non è dato / sognarti come morto».

16  Nel Progetto, ai testi lunghi non spetta quasi mai di occupare l’inizio e la fine propriamente detti di una sezione – l’unica eccezione è costituita da [Può avere udito il tonfo], testo pluristrofico di 35 versi che chiude la prima sezione; ma va detto che anche [Questa furia di amante la lascia], il pluristrofico di 20 versi che apre la seconda sezione, è più lungo (e di misura) dei sedici testi seguenti. Nondimeno è individuabile lungo tutto il libro una tendenza a collocare i testi lunghi nelle zone liminari di ciascuna sezione, come se spettasse loro una funzione di sintesi o incorniciamento del discorso normalmente segmentato in quadri più brevi. Ciò vale per Il margine

dei fossili e [Deve muoversi il meno possibile], al secondo e terzo posto della prima sezione, e per

i cinque testi che precedono l’ultimo della seconda sezione, tra l’altro in crescita progressiva ([Messo a tacere da parole oscene] 14 versi > [Le tue tribù di desideri] 15 > [Vile e incontinente] 16 > [Poi l’hai ucciso tenendolo sotto] 22 > [Alle quattro si gela] 39).

17  Questa la scansione: [«contenta che non sia venuto?»] 39 versi > [«L’acqua precipitando] 74 > [È

sezione essi infatti ospitano il difficile scambio dialogico tra io maschile e tu femminile e soprattutto l’emersione della voce di lei, portatrice di un discorso che eccede i poteri di dicibilità del soggetto. Che si tratti di un acquisto graduale che interessa il libro nel suo complesso è confermato dal movimento delle per- sone linguistiche e dalle attestazioni del discorso diretto: i due testi lunghi che imperfettamente incorniciano la prima sezione mettono a testo il personaggio maschile e quello femminile alla terza persona e sono privi di inserti dialogici, i quali coprono minime sezioni di testo (un verso o poco più) nei testi lunghi della

seconda sezione, per dilagare nel terzo movimento.18

Il poemetto conclusivo [È di nuovo qui, la spingo] è tra l’altro l’unico testo aperto da una citazione letteraria, «la mort atroces pour les fidèles et les aman- ts» (dalle Illuminations di Rimbaud), in un libro per il resto del tutto privo di riferimenti culturali espliciti, come anche di dediche a persone private o lette- rarie. Per di più, il verso rimbaudiano citato è immediatamente “attualizzato” all’interno del testo, dove occorre tradotto come spezzone del discorso di lei (7 «la morte atroce per chi è fedele e per gli amanti»), evidenziando il proprio va- lore puntuale e specifico – a danno di una sua eventuale portata macrotestuale. L’assenza di dediche e citazioni (ma non, si badi bene, di riscritture e presen- ze sotterranee) è forse l’ennesimo segno di una meditazione poetica chiusa in se stessa, volontariamente consegnata a un unico nodo di pensiero e parola, e come tale l’indizio di un macrotesto non esclusivamente lirico. Un altro segnale che porta in questa direzione è l’assenza totale dei titoli (con l’eccezione non problematica del Margine e di Persona), a indicare una ridotta autonomia del singolo individuo testuale e la correlata necessità, per esso, di trovare supporto e continuazione negli altri elementi del libro.

Come per la Costanza, assai utile si rivela una breve analisi comparata delle soglie d’entrata e d’uscita. Il testo incipitario sembra nascondere sotto la messa a tema di una relazione amorosa disturbata (tra le risorse specifiche che la Co-

stanza ha messo a disposizione del poeta) il consueto teatro familiare violento e

il nodo edipico che ne rappresenta per così dire il centro assente: Perduta al proprio grembo

nella mente dove il freddo avverte mentre in questo mondo opposto – il regno diurno in cui Lui regge – 5 l’Amante mai venuto nel gran letto

a mezzanotte le assale la testa,

lenta come un cancro e troppo in alto forse

18  Gli unici luoghi, testi lunghi esclusi, in cui occorre il discorso diretto sono due componimenti brevi della seconda sezione. In entrambi i casi la voce che udiamo è quella di lei, che in uno si rivolge a se stessa o più probabilmente a una voce allucinatoria che ne abita la mente ([Rovinando

vuole che solo i non amati abbiano potere e cara a se stessa, benché la notte sia passata, 10 col respiro sorveglia taciturna

chi piange sotto il braccio che colpisce.19

Un unico soggetto femminile, all’incrocio, direi, tra l’Amata e la madre, ap- pare preso in relazioni diverse che hanno per set spazi e tempi, in una parola mondi differenti. Nella mente essa è una figura materna «perduta al proprio grembo» (per metonimia, al figlio) che avverte il freddo: la mente è proprio quella del figlio e la situazione rappresentata quella della poesia ortestiana nel suo complesso. Alla mente si contrappone un altro spazio, un mondo opposto a quello mentale e forse anche poetico, contrassegnato come diurno e governato da un misterioso Lui-Amante (sempre che tra i due sia possibile istituire un rap- porto di coreferenza, come ipotizziamo) che le colpisce la testa. Il dettaglio della testa ci consente, in virtù di un rinvio prolettico al settimo testo della prima sezione [Ma sei lei perdesse la testa e scoppiando], di ipotizzare che Lui coincida con l’io, e dunque con quello stesso grembo-figlio menzionato all’inizio. Si chia- risce così anche la precisazione «mai venuto nel gran letto», da leggere forse come allusione all’ingresso nel lettone genitoriale vietato al bambino e dunque al connubio di eccessivo amore filiale e disamore materno – lo stesso di Persona. Una certa instabilità viene veicolata dalle determinazioni temporali: nel regno

diurno la violenza compiuta contro di lei accade a mezzanotte.20 Con ulteriore

difficoltà logica, il seguito (dal v. 7) sembra riportare l’azione al set mentale, anche se in palese continuità temporale con quanto avveniva nel regno diurno: «a mezzanotte» > «benché la notte sia passata». La caratterizzazione del perso- naggio femminile si avvantaggia del macrotesto come supporto: la sua qualità di «taciturna» e la volontà «che solo i non amati abbiano potere» istituiscono dei trasparenti rimandi a Persona che consentono di identificare in lei la persona amata e la madre distante. Essa, nonostante non debba più temere gli assalti del figlio-Amante, sorveglia «chi piange sotto il braccio che colpisce» (la violenza paterna?), continuando a esercitare il suo controllo su un soggetto sofferente. Più innovative e in linea con le armoniche macrotestuali risultano la menzione esplicita della malattia di lei (anche se depotenziata a figurante analogico: «len- ta come un cancro») e l’indicazione spaziale «troppo in alto forse» che ne indica

19  Bonito (1996, 57-58) ha identificato in questo testo la presenza di alcuni frammenti di un componimento di Wystan H. Auden, Through the Looking-Glass.

20  Vi sono nel Progetto anche contraddizioni che investono le indicazioni spaziali: [Questa furia

di amante la lascia] 10-11 «sotto la prima volta a terra / si depone in cima al giardino»; [Vile e incontinente] 13 «sopra la mia testa ma con la testa in giù»; e indicazioni ambigue come le

seguenti: [Restare in posa è più forte di lei] 4-5 «il fondo del suo letto o come / nel fondo del suo letto quelle membra»; [Fa fatica ma ci resta per sempre] 2-3 «delicatamente alla notte di fronte / come nel fondo del suo letto».

la postazione arborea e verticale.21 L’accesso al libro appare dunque equamen-

te devoto alla riaffermazione del consueto (amore violento e teatro familiare, freddo poetico e oppressione materna) e all’apertura di nuovi scenari. Questi ultimi emergono dalla contrapposizione che s’instaura tra il mondo notturno e mentale e il mondo diurno, mostrando la parzialità e forse anche la precarietà dell’universo poetico elaborato nella Costanza e indicando alla poesia una stra- da che passa per l’apertura a ciò che ne eccede i confini già stabiliti.

Il testo finale riprende il problema dell’eccedenza poetica per tematizzarlo con nuova radicalità al termine del percorso compiuto:

Trasfòrmati in parole:

senza più compagnia di fiati e di viole facendo posto alla tua vita

la mia più niente ha a che fare 5 con gli anni

se correndo intorno a un solo nome è sempre di te e di me che si tratta e sempre le stesse armi

potenti di lutto e afflizione 10 che pure nei sogni a rovina

inseguono la mia levigatezza. Ti vedo sui tuoi passi tornare ancora più sottili le braccia già esitanti le gambe nel tempo lentissimo della paura.

Il tu di questa poesia non è di certo autoriflessivo: il suo destino contrasta con quello dell’io come testimonia efficacemente la consueta esposizione dei deittici personali qui affidata a una forma dinamica affine all’anadiplosi («la tua vita / la mia»). Esso si identifica con la persona femminile, o meglio con la sua incarnazione più realistica e concreta, la cui voce ci è ormai famigliare. L’io la esorta a trasformarsi in un’entità verbale distinta e divergente rispetto

alla poesia, figurata musicalmente nei fiati e nelle viole,22 a trovare per sé una

forma espressiva finalmente svincolata dalla propria ingombrante mediazione. Quest’ultimo invece conosce la propria sorte: consegnato a un’esistenza blocca- ta e atemporale, incarnata in un moto circolare (attorno al nome della morte?) e vincolata alla protezione concessa dagli strumenti del lutto e dell’afflizione, volontariamente assunti e convertiti in poesia come mezzo per scampare a ca- tastrofi più gravi. La terzina conclusiva ritorna su di lei per metterne a fuoco il progressivo indebolimento e la poesia e il libro si chiudono su un movimento

21  Ancora in [Questa furia di amante la lascia] 10-11 (citato nella nota precedente).

22  Le «viole» ritornano in una poesia del Serraglio ([Nemmeno adesso al riparo dell’ombra]), che ne suggerisce la provenienza dall’opera poetica di Gerard Manley Hopkins (a cui il componimento è dedicato), in particolare dal sonetto The shepherd’s brow, fronting forked lightning, owns. Si rimanda per questo infra, pp. 151-52.

a ritroso che sembra condurre alla morte: il «tempo lentissimo della paura» ri- chiama il «centro della paura» ([Ma se lei perdesse la testa e scoppiando] 13) e la possibilità che una diversa e più vera voce si faccia carico dell’addio tra lei e lui.

L’inchiesta iniziata con Persona e con i due mondi di [Perduta al proprio

grembo] sembra arrestarsi su un esito insieme negativo e positivo: una possi-

bilità alternativa esiste, ma riguarda unicamente la persona femminile, mentre il soggetto appare “condannato” alla poesia come unica soluzione praticabile di fronte a un indicibile nodo di sofferenza e mortalità.