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L’organizzazione del libro: progressione e oscillazione

I percorsi della poesia

4. Serraglio primaverile 1 La legge dell’ossimoro

4.3 L’organizzazione del libro: progressione e oscillazione

L’organizzazione interna del Serraglio ricorda quella della Costanza, in sette

sezioni,29 con il sintagma del titolo che ritorna verso la fine del libro tanto come

titolo di una sezione (qui la sesta e non la settima) quanto come segmento di un testo poetico (qui l’ultimo della sesta). Una struttura idealmente circolare, fon- data su un’insistenza semantica che il macrotesto offre al lettore come conferma di una verità acquisita. Le sezioni non disegnano un percorso lineare; tuttavia sono rintracciabili progressioni parziali accanto a un significativo movimento di contrasto che unisce le soglie d’entrata e d’uscita. L’itinerario del libro conduce dalla profondità ctonia del bosco (Nella sfera del bosco) alla speculare profon- dità astrale di una Stella e sembra procedere da uno scenario di quiete («e al centro del campo azzurro la pioggia roteando / fa notte estiva, quiete e calma», [L’ombra di un mondo esterno] 8-9) alla sua consapevole e finalmente raggiun- ta negazione, attraverso l’abbandonarsi del soggetto al corpo che muore: «nel battito minaccioso del cuore / nel flusso mutevole del sangue / nel riverbero dell’improvvisa inclinazione» (Stella 5-7). Tuttavia, una quota di circolarità è garantita dal ritorno delle «costellazioni luminose e fredde» ([L’ombra di un

mondo esterno] 5): «Stella su stella fino alla stella del mattino / illumina questa

nudità che parla / libera e fredda incrostata d’oro» (Stella 1-3).

Ciò che meglio definisce la struttura profonda del Serraglio è l’ipotesi di un movimento non tanto falso, quanto insieme effettivo e bloccato: da un lato progressione, dall’altro oscillazione, in una duplicità senza scampo. È indubbio che all’interno tanto della prima quanto della sesta sezione assistiamo a una progressione verso l’esterno e la luce e che un simile percorso è anche quello del libro nel suo complesso, che non senza significato colloca l’incontro con la

Camera da letto di Bertolucci (quasi) al termine del viaggio. Qualcosa di simile si

può dire anche della curva unitaria che congiunge la seconda alla sesta sezione: se Una piega meraviglia (II) è senza dubbio il regno incontrastato del simbolico (come testimonia l’intreccio delle isotopie dell’albero e degli uccelli), Perfetta

non pensata forma umana (III) sembra provare faticosamente a fare spazio alle

figure reali e contingenti alluse nel titolo, anche se la continuità con il passato freddo e mentale non appare spezzata; al testo isolato La festa nera (IV) spetta di introdurre una voce nuova, che dal freddo proviene ma impone all’io un ac- quisto di coraggio e vitalità che si riflette insieme nella sua scrittura e nel suo predisporsi alla morte; in conseguenza di tale spostamento, Piccola immagine (V) sembra porsi come un tentativo di ridimensionare il proprio immaginario dolente. Altri segnali macrotestuali s’incaricano di fermare il moto o di piegarlo

29  Nella sfera del bosco (18 testi); Una piega meraviglia (19); Perfetta non pensata forma umana (11);

in senso circolare: come già visto, l’inizio e la fine, oltre a differire, si richiamano per somiglianza; i testi conclusivi della prima e della sesta sezione richiudono lo

spazio di rinnovamento faticosamente aperto dai precedenti;30 e in generale ciò

che appariva passato si ripropone a pochi testi di distanza come attuale. 4.4 Presenze letterarie

Il Serraglio è un libro fitto di presenze letterarie e private, in un intreccio solo in minima parte dichiarato di biografia e scrittura che livella su un unico piano relazionale citazioni, riscritture esplicite e implicite, dediche a poeti e a persone private (a G., a F., per Elena), presenze letterarie antiche come Zefiro e Anchise e presenze culturali ma dolorosamente concrete, convocate improvvisamente sulla scena del testo, com’è il caso del soprano ottocentesco Giulia Grisi, vero e proprio

hapax referenziale per la presenza di nome e cognome.31 Come accennavo, gli

interrogativi alla base del Serraglio rendono più che mai necessario l’aiuto degli altri. Soprattutto scrittori e poeti sono chiamati a sostenere lo sforzo autocritico del soggetto che, con significativo paradosso, si affida ad altre voci di poeti per tentare, in poesia, una messa tra parentesi del proprio percorso poetico. Possiamo distinguere, direi, tre tipologie di relazione tra la parola ortestiana e quella altrui: a) la citazione esplicita, che concerne in modi diversi le posizioni forti di inizio e fine di libro; b) l’allusione, che ritroviamo all’interno di singole poesie; c) a metà strada tra le due, la dedica, alla quale può accompagnarsi la riscrittura implicita di sezioni del testo altrui. Si formula qui la tesi generale che agli altri non spetti, banalmente, una funzione di rinforzo o di supplemento rispetto a questioni già chiaramente delineate in proprio, ma un ruolo forte di apripista e guida che invita a percorrere sentieri non battuti, o a cui spetta di esprimere in forma icastica i nuclei portanti della costruzione in atto, in una dinamica che unisce bisogno di protezione, rispecchiamento soggettivo e messa in questione del proprio dire.

Il punto d’attacco del Serraglio è un breve e fulminante aforisma kafkiano: «Da un certo punto in poi non c’è più ritorno, quel punto dev’essere raggiunto». Il frammento è tratto da una serie di analoghi pezzi brevi e brevissimi che Kafka

30  Si vedano, rispettivamente, le letture di [Con la testa rivoltata un cane] e [La riconosce] a p. 166 e quella di [Piangono, sono fatte così…] a p. 177.

31  [Quasi un fiato] «Quasi un fiato / in questo regno pellegrina / muta sorella cadeva all’improvviso. / Figura forse da sottili / e rosse incrinature rivelata / non smette intanto di cantare / tra i lunghi suoni di una scena / Giulia Grisi quando entra / nella vasca da bagno». Di Giulia Grisi (1811- 1869), sepolta al Père Lachaise, sarà da ricordare la morte tragica e avventurosa: in viaggio per San Pietroburgo, è vittima di un incidente ferroviario e costretta a raggiungere a piedi Berlino, ammalandosi gravemente per il freddo e lo choc. Non è un caso che tanto le tre dediche private quanto la menzione di Giulia Grisi occorrano nella terza sezione, Perfetta non pensata forma

umana, dove anche i nomi degli uccelli fanno la loro comparsa, in un faticoso movimento di

scrisse, iniziando poi a ordinarli in vista della pubblicazione, ospite della sorella nel villaggio di Zürau, nella campagna boema, dove si era ritirato in seguito all’e- mottisi che gli aveva rivelato, inequivocabilmente, il proprio destino di tisico.32 Lo

spazio in cui si colloca tale scrittura aforistica, in bilico tra la secca asserzione di ambito morale o gnoseologico e la fulminante allegoria spesso animale, è dunque lo spazio aperto dalla consapevolezza della propria morte imminente. Oltre al fat- to che tale orizzonte è già in sé pertinente rispetto al quadro generale del Serraglio (per dirla con le parole dello stesso Ortesta, si tratta di situarsi «nello spazio ac-

cerchiato / dalla frontiera fulminante»),33 l’aforisma scelto indica in modo ancora

più preciso l’esistenza di un punto finale, di una conclusione inevitabile che però è anche l’oggetto di una ferma tensione morale. Che si tratti, anche per Ortesta, di assumere con piena coscienza il proprio morire (forse ancora nel senso heideg- geriano di una scelta, dell’essere-per-la-morte come possibilità di esistenza) e di dare alla scrittura un voltaggio adeguato a ciò che si situa entro quei particolari confini, non c’è dubbio. E si potrà forse aggiungere che il punto oltre il quale non è possibile procedere è, oltre che la morte, la fine della scrittura, che in parte con la morte coincide, in parte invece è frutto di un’interrogazione radicale sul proprio fare poetico, sui suoi limiti e le sue condizioni di possibilità.

Se restiamo nel campo della menzione esplicita in posizione di forte rilievo macrotestuale, al nome di Kafka dobbiamo affiancare quello di Bertolucci, posto in apertura della sesta e penultima sezione del libro – di fatto l’ultima, se consi- deriamo che la settima è piuttosto un explicit e consiste in un solo testo. L’intera sesta sezione (Serraglio primaverile) è presentata, tramite la nota d’autore posta in apertura, come una serie di poesie nate per suggestione dalla Camera da letto, la monumentale narrazione in versi di materia autobiografica portata a termine da Bertolucci negli anni Ottanta (in due tornate di poco successive, 1984 e 1988). A ben vedere, lo stesso titolo della sezione (e del libro) cela un prelievo dalla Ca-

mera: «il serraglio primaverile per vitelli e manzette costruito» (XL, 105). Ne esce

precisato il referente del sintagma, da identificare in un recinto per il bestiame delimitato da tavole o da pali di legno e simili, mentre la sua connotazione pro- tettiva risulta rafforzata dal contesto, dove esso compare come figurante di una similitudine con «le spadarelle del lettino aggiunto» in cui dorme il figlio piccolo, in nome del fatto che entrambi «non danno / idea di prigione ma di recinto beni- gno» (XL, 102-104). A partire da questa indicazione, e senza anticipare troppo di quanto diremo in seguito analizzando nel dettaglio il tessuto allusivo della sesta sezione, possiamo dire che la funzione Bertolucci all’interno del Serraglio consiste nell’imperativo etico-psichico a «far la pace col tempo» ([Queste nutrici] 9), al

32  Le informazioni sono tratte dall’edizione degli aforismi curata da Roberto Calasso (Kafka 2004), mentre la fonte della citazione di Ortesta è Kafka 1994, 88.

quale una parte della mente ortestiana ha tutta l’intenzione di sottomettersi. Si tratta insomma, attraverso l’esempio di Attilio, di venire a patti con il passaggio temporale inteso come essenza di tutto ciò che è vita e contrapposto a una poesia che protegge il soggetto dagli urti vitali simulandoli. Connessa all’accettazione del tempo, alla «calma / di giornate accolte per ogni loro inizio e fine» ([Giornata di

fine ottobre] 8-9) è la possibilità di mitigare i traumi che affliggono la coscienza, in-

serendoli con il resto degli avvenimenti in un flusso che mescoli memoria e oblio, perdita e acquisto, sofferenza e attimi di gioia. Avremo modo di vedere come la funzione Bertolucci si esplichi nel Serraglio in due modi, ai quali corrispondono due diverse forme di interazione con la parola dell’altro: 1) da un lato la menzione autoriale esplicita e l’interiorizzazione, con annessa riemersione in una serie di testi nei quali la voce bertolucciana è incorporata nella propria, della Camera da

letto (è il caso della sesta sezione); 2) dall’altro un’influenza più a largo raggio, ma

anche più generica, che dissemina una serie di motivi bertolucciani, tutti in qual- che modo legati al passaggio temporale, nelle altre sezioni del libro.

Più breve il discorso sulle allusioni, che riguardano due autori collocati agli estremi della parabola di Ortesta lettore, ovvero critico-traduttore. A ridosso del presente sta Baudelaire, la traduzione delle cui Fleurs du mal vede la luce solo tre

anni prima del Serraglio;34 nella prima sezione compare il suo poeta travestito da

uccello, l’albatros, incaricato di svolgere allegoricamente un’implicita riflessione sull’umiliazione presente patita dall’io, forse da riportare allo sguardo autocritico con cui il poeta considera la propria attività.35 Analoga tensione riflessiva si trova

nell’implicito riferimento a Giacomo Lubrano che compare nella seconda sezione, nel terzo testo di una serie di quattro tenuti insieme dalla presenza di una doppia

isotopia arborea e metapoetica:36

Spaventati testimoni sul ramo in aristocratico

astenersi finché possono pensarsi non più in lotta col verbo 5 di piccole larve si nutrono

o del bruco ancora vivo nella sintassi

La struttura sintattica presenta i consueti punti ciechi: oltre a un costrutto che rinvia all’indietro fino al Bagno (in + aggettivo + verbo all’infinito: «in aristocrati-

34  Una possibile allusione alle Fleurs è presente già nel Progetto: «[…] Fiori / ci sono anche nell’inferno» [«Contenta che non sia venuto? »] 27-28.

35  Per un’analisi più approfondita rinvio infra, p. 156 e pp. 328-29.

36  Questi i testi, dal decimo al tredicesimo: [Nel dopopranzo], [Fiele e bruciore], [Spaventosi

testimoni], [Gemelli tutti i tuoi pensieri]. L’albero come figura materna è già nel Progetto, [Mai però] 7-8: «e nell’orto disfatto va scoprendo / che stormisce la madre velenosa».

co / astenersi»),37 va evidenziato lo iato che separa soggetto e verbo e l’impossibi-

lità di attribuire con certezza la subordinata temporale all’infinitiva che la precede o alla successiva principale. Fatta la nostra scelta a favore di quest’ultima ipotesi, crediamo di poter interpretare la descrizione degli spaventati testimoni (figurati

con tutta evidenza in forma di uccelli)38 come una proiezione distanziante alla

terza persona plurale del soggetto poetico.39 L’obiettivo polemico del testo sembra

essere il proprio approccio alla scrittura rigidamente mediato e controllato, che qui giunge a coincidere di fatto con una mistificazione: «finché possono pensarsi / non più in lotta col verbo». L’autocritica arriva nel finale a coinvolgere Giacomo Lubrano e la sua allegoria del poeta come baco da seta, allusa nel «bruco ancora vivo / nella sintassi», ovvero l’idea di una poesia tutta mestiere e artificialità nei cui fili l’artefice converte a poco a poco la propria vita.

Il filo metapoetico che unisce i due riferimenti allusivi a Baudelaire e a Lubra- no, in quanto vera e propria anima del Serraglio, è presente anche al fondo dei due componimenti dedicati esplicitamente a poeti che compaiono nel libro: il primo, nella seconda sezione, è indirizzato a Gerard Manley Hopkins, il secondo, che inve- ce chiude la terza sezione, all’amico Giovanni Giudici «che nega di rimproverarmi / un ostinato ermetismo». La poesia rivolta a Giudici chiude la terza sezione e ne ospita il titolo, Perfetta non pensata forma umana, di cui chiarisce finalmente il significato – in esso sembrano peraltro risuonare altri titoli e versi vicini e lontani, da Persona a Piccola immagine fino al già citato finale di Stella: 15-16 «immagine e non persona. Immagine / di persona umanamente desiderata non amata»:

Così, lentamente, sei volte l’anno estraneo un odio vomitando al calmo nemico potente né il merlo né il sasso

5 né il soffice pane né l’usignolo né l’erba tremante e ogni altra perfetta non pensata forma umana mi acquietano in silenzio.

Il rimprovero, probabilmente ironico o affettuoso, dell’amico,40 sembra dar

37  La memoria del lettore torna all’incipit del Bagno, Pizia 28-29: «perfetta contro spenti alluci di brace ruvida si tenne / alla sua stanza in bel tacendo decapitata».

38  Proprio l’identificazione negli uccelli ci permette di confermare la nostra ipotesi con un rimando a un testo precedente, il quindicesimo della prima sezione ([Scrivere dentro un mondo oscuro]), nel quale il soggetto figura sé stesso, nel quadro di un discorso metapoetico, come «notturno uccello / sopra i rami d’insonnia» (vv. 3-4); la persona linguistica del soggetto dell’identificazione è lì però impossibile da stabilire a causa del ricorso al modo verbale indefinito e alla sintassi nominale. Per un’analisi esaustiva del componimento rinvio infra, pp. 163-66.

39  Un’altra diffrazione del soggetto in più persone, lì volta a metterne in luce l’intrinseca pluralità di tensioni e atteggiamenti, si trova nel Progetto, [Sediamo tranquilli in queste stanze], per una cui interpretazione si veda supra, p. 136.

luogo a una giustificazione della propria attività poetica, qualificata come risposta a un bisogno insopprimibile. Si tratta di un agire lento, forse penoso o faticoso, il quale consiste nel proiettare fuori di sé un odio in cui, più che la sola aggressività, è da vedere un condensato dell’intera gamma disforica delle passioni (oppure la solita pulsione di morte?). Questa esternazione violenta all’indirizzo di un «calmo nemico potente» che potrebbe essere la morte che si tenta di dilazionare (ma che non si esaurisce in essa, e vi risuona il leopardiano «brutto / Poter che, ascoso, a comun danno impera»), non può essere placata dall’incontro con il mondo reale, scomposto in una serie di referenti il cui realismo ci appare provato a) dalla pre- cisione nomenclatoria con cui sono designati (il merlo e l’usignolo e non generici

uccelli, l’erba colta dinamicamente nel suo tremare, il pane soffice);41 b) dal loro

essere riuniti nella categoria delle forme perfette anche se non pensate, compiute pur senza essere frutto della mente.

Il componimento dedicato al poeta inglese Hopkins unisce un’analoga mani- festazione di fedeltà, seppure contrastata, alla poesia, all’attenzione, tipicamente ortestiana, per quel momento finale e fatale, nella vita di un poeta, che immediata- mente ne precede la morte. Il testo è infatti costruito componendo insieme diversi lacerti degli ultimi due sonetti composti da Hopkins prima di morire; a questo proposito l’utilizzo del corsivo è ambiguo, poiché se da un lato rivela la presenza di una poesia (Thou art indeed just, Lord, if I contend) e di un suo passaggio specifi- co, invitando il lettore al suo recupero, dall’altro occulta la presenza di un secondo componimento (The shepherd’s brow, fronting forked lightning, owns), non meno fondamentale del primo:

Nemmeno adesso al riparo dell’ombra

colpevole eunuco del tempo

ottieni pioggia per noi o fresco vento mite amatissimo morendo

5 nel basso continuo di umane viole e mai non smetti a sfida del più forte da lisci amari cucchiai

nutrirti al nostro riflesso42

ma, io direi, attraverso un sofferto itinerario lungo il quale (mi riferisco soprattutto alle poesie di data meno recente) egli ha saputo spiegare una sua bella maestria di scrittura, che ai lettori più distratti o meno attenti poteva lì per lì apparire persino come omaggio a una moda “semiotica”, e un rigoroso controllo delle emozioni (si veda Il bagno degli occhi) che potrà anche aver dato luogo a qualche esito di oscurità» (Giudici 1983, 341).

41  Si tenga però presente che soffice è altrove nel Serraglio un attributo della lingua: [Oggi ha un

nome diverso ma è lei] 8-9 «e dall’alto una schiuma nebbia / si riversa soffice lingua comune».

42  L’immagine del «colpevole eunuco del tempo», che Hopkins riferisce a se stesso, è originariamente inclusa in un contesto nel quale l’io lamenta la propria sterilità creativa contrapponendola al frenetico vitalismo primaverile delle piante e degli animali: «birds build – but not I build; no, but strain, / Time’s eunuch, and not breed one work that wakes» (Thou art indeed 12-13). Il terzo verso, «ottieni pioggia o fresco vento», unisce scorciandoli due passaggi non contigui dell’ipotesto, dei

La continuità veicolata dagli indicatori temporali («nemmeno adesso», «e mai non smetti») indica chiaramente che questo componimento – come quello rivolto a Giudici, di cui si veda l’iniziale connettivo di ripresa «così» che appoggia sul co- testo – si colloca dalla parte del già stato e di quanto di esso ancora innerva prepo- tentemente il presente: la poesia, dunque, come simulazione vitale che protegge dalla vita, alla quale nel testo si oppongono tanto la furia degli elementi naturali e il corrispondente incombere della morte, quanto l’accettazione bertolucciana del passaggio temporale. Per parafrasare velocemente, l’io si rivolge a Hopkins lamentando il fatto che nemmeno da morto egli riesca nell’impresa di ottenere un acquisto di vitalità e di capacità generatrice («pioggia» o «fresco vento»); di se- guito la sua morte è visualizzata come in atto («morendo») e accompagnata dalla poesia; proprio nella poesia sembra risiedere una sorta di immortalità del defunto, che attraverso il gesto riflesso della scrittura sottrae ai vivi (soggetto compreso) la loro energia vitale, in un persecutorio rovesciamento dei ruoli.43 Quella dell’eu-

nuco del tempo, incapace di accordarsi al ciclo stagionale e di partecipare alla generazione universale, sembra quasi una sorta di vendetta postuma realizzata per via poetica; e si noti, a riprova di quanto siano stretti i nessi biografici che la mente di Ortesta sempre istituisce, come il «più forte» a cui è rivolta la sfida del tu corrisponda esattamente al «calmo nemico potente» del testo autoriflessivo indirizzato a Giudici.