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Le tracce di una biografia

I percorsi della poesia

3. Nel progetto di un freddo perenne 1 Persona

3.8 Le tracce di una biografia

Il terzo libro di Ortesta mette in evidenza la faglia che separa la storia reale delle persone incluse nel discorso poetico da ciò che di esse la poesia ha saputo e potuto contenere entro i propri contorni. La presa di coscienza di una tale sfasa- tura sembra aprire la possibilità di dare finalmente conto, in modo più esplicito, del vissuto soggettivo (e dietro a esso di quello autoriale). Tuttavia, è bene subito chiarire che, nonostante l’impegno qui profuso per sciogliere alcune ambiguità grazie al supporto offerto dalla conoscenza degli eventi reali e per rintracciare alcune corrispondenze con la vita dell’autore, ciò che davvero interessa è met- tere a fuoco non la, ma una biografia, una tra le molte possibili o una soltanto potenziale, una matrice di possibilità biografiche corrispondente al meccanismo proiettivo generato dall’incontro del lettore col testo poetico. In altre parole, la ricostruzione di una vicenda relazionale e familiare a partire da pochi indizi testuali rende la poesia paradossalmente autonoma proprio laddove essa è più eteronoma: al centro del discorso è sempre il trauma come teatro, dove le parti sono reali ma in una certa misura fungibili, o meglio attivano meccanismi di im- medesimazione potenzialmente aperti, e qui si situa il valore etico della poesia

41  La caduta ritorna dal testo precedente, con una delle frequenti isotopie capaci di assimilare due testi contigui fino a farne una vera e propria coppia: «mentre lei cade / e io cado» [Una dopo l’altra

– mi disse] 7-8. Più interessante ancora è il fatto che l’ultimo testo della seconda sezione, [Testa senza forza], funzioni da glossa metapoetica chiarendo retrospettivamente la radice psichica del

tema domestico: 5-8 «imparo questo mondo / in due mondi addormentato / il mio che nel ripetersi / una casa è diventato».

e la non immediata necessità di ricondurre le radici del testo a un aneddoto.42

Dal confronto tra il Progetto e i due libri precedenti emerge immediatamente la centralità, sul piano geografico, dello spazio tedesco, che insieme a quello mi- lanese e a quello romano resta l’unico certamente identificabile della poesia or-

testiana.43 Nella Costanza l’io si chiede se «può vivere in Baviera / la mia pantera

profumata»,44 incrociando due riferimenti culturali (un’immagine medievale e

dantesca mediata da un saggio mallarmeano di Jacqueline Risset) e un elemento autobiografico, ossia la lunga relazione avuta dall’autore con una donna tede- sca. Nel Progetto il riferimento alla Baviera ritorna, specificandosi in quello alla

città di Monaco («Monaco / la città dove oggi si trova»),45 per la seconda volta

associato a una persona femminile lontana dall’io. Se nella Costanza tale distan- za era un fatto compiuto, a essere tematizzato nel Progetto è invece il processo dell’allontamento: «Gli risparmiò la vita ma subito dopo partì»; «Si tolse di casa,

e poi che altro c’è?»:46 l’io e la sua casa sono abbandonati per recarsi altrove (il

che farebbe pensare senza troppi sforzi a una rottura amorosa). Non compatibile con tale geografia sentimentale è il riferimento, presente nel Bagno, alla città di Brema: «Le guglie posate sulla bocca il bell’uccello / le unghie sfrega bianche al dolce padre / che a Brema svenne in alto sulla torre / dove erano bambini tra il

colonnato».47 Si tratta con ogni probabilità di una memoria infantile con annessi

elementi traumatici (lo svenimento e gli elementi figurali in bilico tra violenza e sessualità che lo precedono ai vv. 1-2) nella quale è centrale l’immagine paterna, non collegabile però al nome di Diego. Lo stesso padre ritorna in un contesto

ben altrimenti trasparente nel Progetto, dove è detto «morto da vent’anni»,48

secondo un’indicazione temporale coerente con il decesso improvviso del padre dell’autore, avvenuto nel 1964. È questo uno dei rarissimi punti in cui il tema del lutto famigliare emerge esplicitamente e l’io lirico e l’io empirico autoriale giungono a toccarsi.

L’enfasi sugli anni e sull’età è un tratto tipico del Progetto che interessa in un caso la solita figura femminile non identificabile, della quale si racconta che

42  Su questo aspetto insiste anche Giudici 1989.

43  Lo spazio milanese si affida nella Costanza alla sicurezza del toponimo (il «parco Forlanini tutto avvelenato» di [le province, le torri]) per ritornare nel Serraglio attraverso la menzione della «darsena» (quella di Porta Ticinese dove termina il Naviglio Grande); nello stesso Serraglio è nominato esplicitamente il «caldo cielo di Roma». Ricordiamo che Ortesta ha vissuto a Roma negli anni universitari per tornarvi dopo il pensionamento, inframmezzando a questi due soggiorni romani una lunga permanenza a Milano (1977-2000).

44  [può vivere in Baviera] 1-2.

45  [Deve muoversi il meno possibile] 16-17.

46  [Deve muoversi il meno possibile] 16; [Può avere udito il tonfo] 32. 47  Racconto di Diego V 1-4.

«cascava morta all’età di quarantanni».49 Ciò che certamente ritorna in diversi

punti del libro è la tematizzazione della sua malattia mentale,50 di cui troviamo

un assaggio nello stesso testo: «con cuffioni ricchissimi condotta pazzamente

/ in vecchiaia».51 In tale motivo si sedimenta e trasfigura il fortissimo impatto,

sull’autore, della relazione sentimentale risalente agli anni universitari con una

ragazza che ha poi subito un forzato ricovero in una struttura psichiatrica,52 ma

come per la morte e il lutto, ciò che conta, più che l’esatta delimitazione delle persone coinvolte, è l’evento in sé, la sua qualità esplosiva che ne fa un’urgenza nella mente del poeta. Ecco allora venirci incontro una possibile scena di delirio

([Rovinando da una stanza all’altra])53 In un caso soltanto troviamo un preciso

riferimento all’identità della malata: «Comincia forte adesso e alto / a vent’anni dalla morte del padre / non più pianoforte né cembalo / di madre delirante». Ferma restando l’impossibilità di sapere che cosa effettivamente cominci forte a alto (forse un suono o canto diverso da quelli emessi in precedenza), il contesto consente di interpretare autobiograficamente le espressioni deliranti della ma- dre, che possono forse essere fatte risalire al periodo della malattia precedente la morte, durante il quale il figlio assistette la madre per alcuni mesi.

Un simile sconfinamento nella biografia autoriale è autorizzato anche dalla presenza di un secondo attributo della madre: il suo suonare clavicembalo e pianoforte; sappiamo infatti che la madre aveva studiato al conservatorio e poi insegnato musica. È questo un caso in cui un riferimento esplicito contenuto nel

Progetto consente di caricare biograficamente un complesso tematico già ben

attestato fin dai tempi di La passione della biografia, dove il lessico musicale e specialmente quello pianistico costituiva una delle presenze più cospicue. L’in- discutibile centralità della presenza materna nel Bagno degli occhi – che l’autore segnalava tramite la dedica d’apertura «per mia madre» – trova qui un’ulteriore conferma, senza nulla togliere alla trasfigurazione simbolica che del dato bio- grafico effettua la poesia. A uscirne confermata è anche la capacità del Progetto

49  [Chi è l’altra che cammina accanto?] 3. Più avanti nello stesso testo si dice di «lei che è straniera» (v. 10) facendo balenare la possibilità di un’identificazione con la persona femminile protagonista dell’autoesilio tedesco di [Deve muoversi il meno possibile] e [Può avere udito il tonfo].

50  [Ne ha pieno il sangue e il cervello] 9-11 «anche prendere sonno come in quelle notti / quando aveva già l’occhio tutto in ombra / che morso dal gelo a casa la trascina viva»; [Poi si pungolava

lentamente] «Poi si pungolava lentamente dentro il sogno / tappandosi le orecchie gli occhi / fuori

da tutto quello schianto / e sprofondava soltanto nell’occhio appassionato / senza altra lesione continuando / il rimescolio tra sé e il suo lato della notte»; [Una dopo l’altra – mi disse] 3-4 «e con occhi spenti fissata su un bastone / dipinta e spaventata verso me avanzava»; [Alle quattro si

gela] 18 «con occhi infiammati»; 22-23 «dentro alte mura aprendo serrando / bandita e sepolta le

vuote pupille allunate».

51  [Chi è l’altra che cammina accanto?] 6-7.

52  [È di nuovo qui] 21-24: «“ma qui ti piace? lo posso immaginare… / l’asilo è il tuo posto giusto” / “ci sono api in questo muro / disfatto e rifatto nella desolazione”».

di affiancare al registro simbolico consueto un registro più realistico, persino crudo, capace di toccare più direttamente, seppure solo per rapidi accenni, i nodi dolorosi. Ne fa fede il breve componimento che precede l’ultimo citato: «Venne nella carne e aspettò bocconi / fino allo sgelo – lui uomo non sposato – / mentre più in alto o dalla parte opposta / a colpi di rostro padre e madre / si disputa- vano la sua anima». Come è facile notare, l’insieme dei non pochi elementi simbolici (il movimento e l’attesa di lui, il passaggio stagionale dall’inverno alla primavera, l’ambigua indicazione spaziale, la trasformazione dei genitori in uc- celli rapaci) non oscura ma anzi aumenta l’evidenza del dettaglio brutalmente realistico dell’«uomo non sposato» così come il rapporto che tale condizione intrattiene, edipicamente, col conflitto genitoriale. Al di là della corrispondenza con la biografia autoriale, la menzione del celibato conta in quanto scelta fino a questo momento assente di enunciare il dato biografico concreto in luogo di un’immagine mentale.

4. Serraglio primaverile