I percorsi della poesia
4. Serraglio primaverile 1 La legge dell’ossimoro
4.6 Il serraglio e la camera da letto
Il primo libro dove i nomi di Ortesta e Bertolucci compaiono uno sotto l’al- tro è la traduzione ortestiana delle Fleurs du mal, prefata da Bertolucci, il quale
firma il breve scritto Il mio Baudelaire.66 In quella che potremmo definire una
cronistoria delle proprie letture e riletture delle Fleurs, oppure un vagabondag- gio nelle zone baudelairiane della propria memoria, Bertolucci mette a fuoco, dicendosi costretto a ciò da una nuova traduzione che lo obbliga a rileggere tut- ta l’opera, un punto che non può aver lasciato indifferente Ortesta: ogni lettore seleziona per lo più senza saperlo i suoi luoghi dell’opera altrui, «eseguendo
inconsciamente operazioni di rimozione forse non troppo lecite»67 e compiendo
un percorso fra i testi che non è altro che un ritorno a sé, ai propri luoghi inte- riori, ora arricchiti dalla nuova conoscenza di essi che la parola dell’altro, quasi in grazia di un piccolo miracolo, gli ha donato:
Oggi il poeta Cosimo Ortesta mi obbliga a leggere tutto il libro: […] Era giusta questa lettura ultima. Ma non mi ha guarito dal morbo che mi fa, non dico scegliere, fissare a lungo gli occhi sulle poesie che più amo; e potrei farne a meno, ormai, perché le so a memoria, con affioramenti improvvisi, ossessivi di versi magari utili ai fini della mia meteorologia personale: «O fins d’automne, hivers, printemps trempés de boue […]»68
Baudelaire, dunque, amatissimo da entrambi, figlio innamorato della madre viva, ha il potere di mettere in connessione Ortesta e Bertolucci. Baudelaire, e accanto a lui almeno anche Proust, la cui indagine acuminata sui rapporti fra infanzia, memoria e creazione artistica, unitamente alla tragica endiadi di vita e letteratura (con la morte che sancisce la fine, insieme, della vita e dell’opera, compiendo il travaso della prima nella seconda), è fondativa sia per Bertolucci che per Ortesta, nel quale però si manifesta testualmente molto avanti nel tem- po.69
65 Il carattere artificiale e sterile della bellezza in Baudelaire è tra le conseguenze del pregiudizio antinaturalistico e del correlato nesso tra valore e artificio riconosciuti da Francesco Orlando quali chiavi d’accesso all’opera del poeta francese nel suo saggio posto a introduzione della traduzione ortestiana delle Fleurs du mal, L’artificio contro la natura nel mondo di Baudelaire (Orlando 1996 [1966]; precedentemente incluso in Orlando 1983); per una lettura del testo La Beauté si rimanda
infra, pp. 262-64.
66 Il volume è introdotto dal saggio di Orlando citato nella nota precedente. 67 Bertolucci 1996, IX.
68 Ibid.
69 Mi riferisco al lungo componimento in tre sezioni Céleste, dedicato a Céleste Albaret, al quale Ortesta affida il compito di aprire l’uscita donzelliana del 2006 (La passione della biografia). Questo il perentorio giudizio di Ortesta sul romanziere francese: «Marcel Proust est le plus grand écrivain
Cosa deve fare allora la poesia? In obbedienza a un simile patrimonio di modelli, tradizioni, forme, essa ha per Ortesta e Bertolucci il duplice, impossibi- le compito di proteggere il soggetto e insieme di testimoniare il trauma che ne costituisce, una volta per sempre, l’identità individuale. Di fronte a tali doveri, è proprio la lirica modernamente intesa ad assumere carattere di genere neces- sario, nella misura in cui concede all’io autobiografico di arretrare cedendo il posto a un io linguistico più evanescente, talvolta escluso dalla scena, e ancora nella misura in cui consente di neutralizzare il complesso traumatico traspo- nendolo in una serie di simboli autonomi e non contrassegnati biograficamente. Proprio a tale riguardo, Bertolucci e Ortesta condividono, sebbene con modalità assai diverse, la costruzione di un personaggio lirico infantile e regressivo, la cui figura si situa all’incrocio tra fissazione alla madre e incapacità sentimentale.
Come già detto, la funzione Bertolucci si manifesta nel Serraglio tanto come corredo tematico che come riscrittura sistematica della Camera da letto. Una nota d’autore premessa alla sesta e penultima sezione, l’omonima Serraglio pri-
maverile, ci avvisa che Bertolucci giocherà, in quella sede, un ruolo a dir poco
fondamentale: «Le poesie di questa sezione sono nate, per suggestione, da La
camera da letto di Attilio Bertolucci, a cui vanno la mia gratitudine e tutto il mio
affetto». Il lettore della Camera, tuttavia, arrivato a questo punto, sente scattare un clic: ha infatti già individuato una serie di presenze bertolucciane all’interno del libro, e può ora confermare la propria intuizione. Rimandano a Bertolucci, e in particolare al narratore autobiografico o autofinzionale in versi, anzitutto una serie di motivi presenti qua e là nelle prime cinque sezioni, tutti riconducibili al tema del passaggio temporale: i mesi e le stagioni, con le loro qualità climati- che;70 il tempo organico del flusso sanguigno e del battito cardiaco;71 il passaggio
del tempo – compresi i suoi risvolti più tragici, come la scomparsa improvvisa delle persone amate – vissuto soggettivamente con quiete accorata o commossa. Così accade ad esempio nella poesia in memoriam dell’amica Ludovica Koch,
du vingtième siècle. La prose de la Recherche est née d’une puissance nostalgie pour la poésie» (Ortesta 2004, 265).
70 [L’ombra di un mondo esterno] 9 «fa notte estiva, quiete e calma»; Recitativo 30 «nel caldo cielo di Roma»; [Ombra fredda come dicembre] 1 «Ombra fredda come dicembre – forzarla»; [Di numerosi albori stringersi al cuore] 43-44 «a un balenio di uccelli tenero fuoco / al collo della primavera»; [Giornata di fine ottobre] 1-4 «Giornata di fine ottobre / a piedi su per il dolce pendio / e poi silenzio di un autunno / ancora così dolce»; [Da ogni letto coppie] 5-8 «s’inventa un giovane clima / un rosa lui diventa / nel ghiaccio morde vive / tutte le sue spine»; e forse anche [Si staccano
maschio e femmina] presenta una cornice autunnale: «Si staccano maschio e femmina e atterrite
/ a ogni interruzione del lavoro le donne / orti e vigneti si scordano / mentre la terra paziente si apre». Non sono qui ovviamente rubricati i riferimenti all’inverno, ancora numerosi.
71 [Ognuno sa cosa è meglio per sé] 3-4 «anche se a volte un verdeturchese / raddoppia il battito del cuore»; [Chi entra nel passato e chi ci sta] 8-9 «reti di luce teneramente / la scempiano attente al battito del cuore»; [Il bacino di marmo scomparso] 8-9 «Si adatterà più intima / alle tue vene a battere nel cuore».
insigne scandinavista e germanista, morta a soli 52 anni (1941-1993) a causa di un ictus e qualificata, nel ricordo poetico di Ortesta, come portatrice di un senti- mento del tempo che ricorda irresistibilmente quello affiorante di continuo nella
Camera: «[… ] tenerissima / voce era la tua stessa quiete / non sacra, familiare di
fatiche e calma / di giornate accolte per ogni loro inizio e fine» [Giornata di fine
ottobre] 6-9. Perché la presenza del poema affiori in modo più puntuale, come
effettivo ritorno della stessa materia verbale, non dobbiamo però attendere la sesta sezione: già alla fine della quinta, il primo pannello del trittico conclusivo ([Viene un’altra notte serena…]) è in realtà una riscrittura mascherata del capito- lo XXX della Camera, Il capanno, il primo del secondo libro (XXX-XLVI) nonché un anello tematico decisivo perché proprio in quel punto prende avvio la rela- zione sentimentale tra A. ed N. (gli alter ego di Attilio e della compagna Ninetta) e può così cominciare a finire, molto lentamente, la protratta adolescenza del
protagonista.72 Sorge però spontanea la domanda: perché rivelare la presenza
dell’autore emiliano poche pagine dopo e qui invece nasconderla? E si risponde col dire che una simile strategia, sibillina e all’apparenza contraddittoria, è forse il modo col quale Ortesta vuole segnalarci la possibilità, sempre presente, che il poeta sia agito dalla poesia, che i movimenti e i processi di quest’ultima sfug- gano in parte al suo controllo, in obbedienza al principio “di metodo” secondo il quale la conoscenza poetica avviene in un territorio non del tutto o quasi per nulla mappato, che sconfina con i domini dell’inconscio.
Prima però di venire alle modalità specifiche nelle quali si attua l’operazione di riscrittura al centro della sesta sezione, torniamo per un momento sulla nota d’apertura e rileggiamola: «Le poesie di questa sezione sono nate, per sugge-
stione, da La camera da letto di Attilio Bertolucci, a cui vanno la mia gratitudine
e tutto il mio affetto». Il riferimento alla suggestione è forse da sdoppiare: un processo cognitivo che investe la componente irrazionale e se ne serve per pro- durre effetti, ma anche, in senso proprio, un processo cognitivo impostato da un’altra persona con la forza della sua presenza e della sua parola, com’è per la
72 Divido il testo di Ortesta, monostrofico, in tre sequenze per ciascuna delle quali riporto di seguito i corrispondenti passaggi della Camera; il corsivo evidenzia le parti di testo concretamente riprese. [Viene un’altra notte] 1-4 « Viene un’altra notte serena… abbiamo tempo / camminiamo ciechi e stretti nel bozzolo / dorato e sonoro, tranquilli e insanguinati / perché muore così la nostra adolescenza» < XXX 78 «“Viene un’altra notte serena… ho tempo»; 2 «e guidi noi che
camminiano stretti e ciechi»; 27 «il bozzolo dorato e sonoro»; 41-42 «tu che hai ceduto, amazzone insanguinata e tranquilla. // L’adolescenza di A. non può morire così in un sottobosco di pini».
[Viene un’altra notte] 5-8 « C’è tempo – tutto il tempo – per restare fedeli / a questo nobile riparo / nostra perdizione / verso il freddo occidente» < XXX 77 «un aquilone in fuga e perdizione verso
l’occidente già freddo». [Viene un’altra notte] 9-12 «Viene un’altra notte serena / e stiamo quieti,
o sembra, / mentre si strema e incanutisce / il nostro dolore di immobili fuggiaschi» < XXX 113 «che stanno quieti, o sembra, lungo il terrazzino sopraelevato del capanno»; 139-40 «porto di pace,
suggestione ipnotica. Ciò che più interessa è però la conclusione: la gratitudine non è sufficiente, e a Bertolucci Ortesta indirizza tutto il suo affetto. Un simile caricamento emotivo non è un fatto isolato, e trova conferma nel fatto che l’emi- liano è convocato sulla scena del testo altre due volte nella sesta sezione, tramite
una dedica («a Attilio Bertolucci»)73 e tramite un’allocuzione posta in apertura
di componimento («Caro Bertolucci, se la durata / è maga e infermiera […]»). L’insistenza con cui Bertolucci è chiamato a farsi presente, nella sua sostanza reale di individuo e poeta, nei testi di Ortesta, suggerisce che in gioco sia prima di tutto la vita dei due individui coinvolti, le cui parabole esistenziali possono incrociarsi in virtù di quanto essi hanno scritto – e letto, e tradotto, come nel caso già ricordato delle Fleurs du mal.
La sesta, omonima sezione del Serraglio conta ventuno testi, di cui dicianno- ve monostrofici e due bistrofici; la lunghezza dei singoli componimenti è gene- ralmente breve (13/21 fino a 10 versi), da un minimo di 2 ([Monotona patria in
mani paterne si chiude]) a un massimo di 18 versi ([La spalla d’avorio di Penelo- pe), e complessivamente, per quanto concerne le forme, la sezione non si allon-
tana dagli standard della raccolta. Che la forma non muti in corrispondenza con il passaggio, dichiarato, a una scrittura almeno all’apparenza secondaria, è un segnale di come per Ortesta non vi sia contraddizione né competizione, quanto piuttosto integrazione e contaminazione fruttuosa tra la sua parola e quella di Bertolucci, divenuto in questo frangente suo alleato in un’impresa comune. E lo stesso si può dire per la scelta del titolo e di chiudere di fatto il libro – essendo l’ultima sezione, Stella, composta di un solo testo – con la messa in scena della dipendenza della propria parola da quella altrui. È, questa, una legge generale della poesia ortestiana, nella quale la verità del soggetto è spesso e volentieri affidata allo schermo protettivo di un’altra voce. Protezione davvero fondamen- tale, se si pensa che Ortesta sta infatti tentando una strada emotiva e cognitiva inedita e incerta – la possibilità di aprirsi al passaggio temporale e medicare così i propri traumi –, una strada, anzi, che egli sa già di non poter percorrere fino alla fine data la sua incompatibilità con l’ossatura delle proprie disposizioni interiori (con annesse ricadute poetiche): fissazione, chiusura, intenzione lut- tuosa, esorcismo della morte.
Dei ventuno testi della sesta sezione, soltanto due – il sesto [Torbida imma-
gine] e il quattordicesimo [Lento, in ritardo] – non includono alcun frammen-
to riconoscibile del testo della Camera. La prima questione a porsi investe il rapporto che la struttura della sezione ortestiana intrattiene con il macrotesto della narrazione in versi: se lo percorre in lungo e in largo o si limita invece a selezionarne pochissimi punti scelti; e ancora, se ne rispetta e quindi riproduce
73 La dedica è premessa al terzo componimento della sezione, [Del Correggio la dolcezza
la scansione narrativa degli eventi e dei capitoli, oppure se la altera in maniera significativa. Il grande organismo della Camera (quarantasei capitoli per un to- tale di 9728 versi) è attraversato in tutta la sua estensione, idealmente percorso e interiorizzato nella totalità della sua articolazione; senza evitare, e anzi forse privilegiando quelli che sono i luoghi del trauma e della ferita e, in generale, le tappe fondamentali della storia interna, psichica e affettiva, del protagonista A. Ortesta si ricorda del distacco, a sei anni, dalla casa e dalla madre, divenu-
ta «irraggiungibile» (XI Il bambino che va scuola, a sei anni; XII In collegio);74
della scoperta del sesso come cifra affascinante e dolorosa del mondo adulto
(XVI In città),75 dell’autoerotismo puberale (XIX A tredici anni),76 come anche
del frequente affiorare del nodo edipico e dell’amore materno (XX Il venditore
di ostriche; XXI Il ritorno);77 si ricorda, ancora, dell’inizio della relazione tra A.
e N. (XXX Il capanno), della morte del padrino don Attilio (XXIII O salmista)78
74 [Entra nella siepe ciecamente] «Entra nella siepe ciecamente / si ferisce guarendosi da solo / bambino malinconioso che si esalta» < XI 1-4 «Il bambino che va a scuola, a sei anni / muta profondamente la sua vita, / si ferisce di continuo e guarisce / da solo, i ginocchi e i polsi». [Passa
la notte nel cieco scontro] 1-3 «Passa la notte nel cieco scontro di morti e di vivi / tutti vivi in
sogno adesso che nel cuore dell’alba / fangosa gli manca il farmaco celeste» < XII 26-29 «Ma una mattina, dopo che la notte / passò in un cieco, / in un silenzioso scontrarsi di morti / e di
vivi, tutti vivi in sogno»; XII 33-35 «poi il farmaco / del cielo celeste / dentro gli occhi troppo
svelti e assorti…»; [Passa la notte nel cieco scontro] 5-8 «e poi, al calare della sera, i bambini estenuati esaltati / annunciano che tutti i giorni si prepara la festa / accesa di rose vertiginose / come l’irraggiungibile madre» < XII 172-73 «Qui al chiuso del convitto / la festa si prepara tutti i
giorni»; XII 177-80 «la finzione più vera / del vero di quelle rose vertiginose / dal soffitto ramato e
incannucciato: / o madre irraggiungibile, primavera perpetua».
75 [Intonaco e crepe svela la luce quieta] 1-3 «Intonaco e crepe svela la luce quieta / se appena nell’occhio scuro si addensa / l’autunno e ti sporca del suo amore» < XVI 128-31 «dà una luce
quieta e fissa / svelando / bellezza e caducità intonaco / e crepe. Soltanto qualche volta la domenica»;
166-67 «Nessuno s’è accorto dell’oscuro dolore / entro l’occhio fisso»; 183-85 «Tu hai sentito /
addensarsi la pena, e covare quasi un rancore / nell’occhio già ridente»; 190-91 «t’acccoglie la città
e ti sporca / del suo amore e dolore in questo».
76 [La ghirlanda degli anni a te assegnati] 6-7 «in questa plaga ventilata infruttifera / ma vulnerata da un lucore inconoscibile» < XIX 162-68 «È una plaga folta / ma non fetale non viscerale […] / arborea, avvolgente, / ma ventilata: / l’ultimo luogo sulla terra / dove ci si possa recare, in questa stagione infruttifera»; 180 «in una nuova esistenza inconoscibile». Quanto all’aggettivo
vulnerato, invece, Ortesta se ne dimostra particolarmente affascinato sganciandolo dai relativi
contesti testuali (Camera VIII 43-44 «vita di giovinetta vulnerata / da quattro maternità»; XVI 65 «un’anima vulnerata dall’amore») e utilizzandolo più volte nell’intera sezione.
77 [La ghirlanda degli anni a te assegnati] 1-5 «La ghirlanda degli anni a te assegnati, / sangue così ricco e cangiante / nella stagione invernale ancora luce / indugia incurante nel giallo aurato / dei giorni lentamente sconsacrati» < XX 61-63 «nel suo sangue troppo ricco / la bella ghirlanda degli
anni a lei / assegnati, cangiante come rose»; 68-69 «Per questo, per quanto resiste di giorno / nel cielo invernale, fu inviato in luoghi»; 76 «si muove indugiando fuori di casa, incurante»; 99-100
«le cui trame consunte ardono di gialli / aurati sotto un azzurro che si anima»; 84 «segato, sino ai cieli sconsacrati e sbiaditi». La seconda parte del componimento di Ortesta (vv. 9-16) attinge ancora estesamente dal medesimo canto: i vv. 8-9 da XX 121-24, i vv. 10-11 da XX 65-67, i vv. 12- 16 da XX 138-40 e 161-62.
e dell’improvvisa morte della madre Maria (XXXIV Maria), infine della nascita del primo figlio Bernardo (XXXIX Lo spaniel custode) come di altrettante tappe di crescita e parziale ma decisiva fuoriuscita dalla gabbia infantile. Il percorso con cui l’individuo diviene sé stesso, attraverso l’esperienza dirompente dell’e- vento traumatico che altera il corso del tempo, ma in seguito anche attraverso la sua lenta e faticosa elaborazione, è seguito da Ortesta per l’intera durata del suo svolgimento. Coerente con ciò è poi il fatto che la scansione narrativa del poema, seppure non perfettamente rispettata, non sia nemmeno eccessivamen- te disturbata, cosicché si ha l’impressione – a mio avviso fortemente voluta dall’autore – che le poesie siano nate in virtù di un irresistibile impulso alla
scrittura durante, e non dopo, la lettura della Camera.79 Un impulso, questo,
isolabile delle successive, inevitabili operazioni di limatura e redistribuzione, e quasi certamente dovuto all’improvvisa, imprevista e quasi violenta risonanza che le parole di Bertolucci hanno potuto trovare nella mente del suo più che grato lettore.
La poesia del Serraglio, nella misura in cui prosegue e approfondisce l’in- chiesta intrapresa dal Progetto, si distingue per l’affiorare in essa di tensioni, affetti e desideri che implicano la forzatura dello spazio dell’anaffettività in di- rezione di una più ricca partecipazione vitale. Proprio rispetto a tali esigenze la
Camera è in grado di fornire utili indicazioni, anzitutto a partire dall’immagine
fondativa della bedroom, intesa come spazio protettivo – esattamente come la casa e i suoi analoghi in Ortesta – ma anche come luogo che si fa testimone del ciclo vitale di nascita e morte, eros e thanatos, ponendosi come simbolo stesso del passaggio temporale. Così, «la casa bassa e lunga / con portefinestre pittu- rate in verde / e la vigna» «si disfano ammutolite / consenzienti a che del tutto
incenerite / un angelo custode di grande pazienza / insensibilmente l’avvia nel dominio / di ruggine e ghiaccio alla nuova fiamma» < XXIII 33-34 «finito il tempo degli scoiattoli e delle nocciole, /
scaduto il sonno dei sensi, che cosa»; 18-20 «un angelo custode di grande / pazienza e persuasione
a sviarlo / insensibilmente / dal dominio familiare di boschi e improvvisi»; 39 «del ghiaccio e della
ruggine, della fiamma eretta». [Scaduto il sonno dei sensi] 6-9 «Una bianca ebbrezza lo trascina /
alla precoce prostrazione in una valle macchiata / di viola e di giallo turbata / alla prima bufera di vento» < XXIII 92 «piccola ebbrezza e prostrazione di prima»; 89 «al frumento marzuolo, al trifoglio macchiato di viola»; 137 «la nausea, alla prima bufera di vento, arida». [Scaduto il sonno
dei sensi] 11-12 «Non certo l’acqua fuggitiva paradiso e nuvole / dell’anima infantile» < XXIII 284
«quell’acqua fuggitiva, che non ritorna, non ritorna più»; 289 «di un’anima infantile». [Scaduto il
sonno dei sensi] 13-16 «Insonne l’immoto apostolo sull’abisso / già muore con l’occhio sfiorando
/ la tenera terra nera / in una fine ingloriosa per tremore» < XXIII 299 «tenera terra nera, vermi. Sul colle»; 307 «a dimenticarlo: la sua fine ingloriosa»; 314 «ne avrò accettato in lascito con gioia e tremore». La domanda del v. 10 («E chi proteggerà l’atroce pellegrino della mente?») riecheggia infine vagamente XXIII 240-43.
79 I capitoli della Camera sono ripresi – con l’eccezione del XXX, ipotesto di [Viene un’altra notte
serena…] – da Ortesta nel seguente ordine: VIII-XI, V, VIII, XII, XVI, XIII, XIX-XX, XX-XXI, XXIII,
XXXIV, XXXVI, XXXIX, XL. Come si vede, le alterazioni rispetto alla sequenza originale sono minime.
insonne / non si prolunghi l’adolescenza» [La casa bassa e lunga] 1-3, 9-11; oppure, più debolmente, «Malandata è la casa che lui ama». Come già accadeva nel Progetto, gli spazi chiusi che difendono il soggetto dall’irruzione delle forze della vita vengono meno, mentre l’impiego “spostato” dell’aggettivo «ammu- tolite» identifica quegli stessi spazi con la poesia, la cui sopravvivenza è messa a rischio dalla sopraggiunta inutilità della sua funzione protettiva. Tuttavia, in modo paradossale, le forze della vita sono anche, in corrispondenza con la vec- chiaia che ormai caratterizza il personaggio lirico, le forze della morte, figurata come imminente o già in atto: nonostante sia finalmente «scaduto il sonno dei sensi / finito il tempo delle passioni incenerite», «insonne l’immoto apostolo sull’abisso / già muore con l’occhio sfiorando / la tenera terra nera / in una fine ingloriosa per tremore» [Scaduto il sonno] 1-2, 13-16. L’approdo al silenzio, ovvero la dismissione della poesia, è dunque connesso non solo all’irrompere di una vita a lungo trattenuta fuori, ma anche al precipitare nell’assenza, sog- getti alla forza dell’«acqua impetuosa che si porta via le parole» [Il bel giorno
d’ottobre] 7-8; dove l’immagine luttuosa dell’acqua, rubata al cap. XXXIV della