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I percorsi della poesia

3. Nel progetto di un freddo perenne 1 Persona

3.4 La poesia in cris

Nel Progetto, per la prima volta, la necessità della poesia convive con l’ipo- tesi di una sua insufficienza in un nesso ambivalente impossibile da sciogliere rispetto al quale il personaggio lirico e la terza persona femminile separano i loro destini: ciò che per l’io è necessario e insuperabile, ovvero il ricorso alla poesia per negare la realtà, annullare il tempo e proteggersi dal dolore e dalla morte, non dev’esserlo anche per lei, per la quale si aprono possibilità alternati- ve di esistenza. Tale spostamento di prospettiva si manifesta con evidenza nella nuova, problematica declinazione assunta dalla galassia dei motivi metapoetici a cavallo tra oralità e scrittura.23

I due testi lunghi (Margine escluso) della prima sezione convergono sul mo- tivo dell’insufficienza del racconto, e più precisamente del racconto che l’io, qui distanziato alla terza persona, fa della terza persona femminile e della loro relazione:

Quante risposte gli si sono fatte avanti? si posa ancora illesa in giochi di vecchio

la sua reticenza

dal momento che tacque una volta per tutte, anomalia desta sempre accesa perfino serena

che se ne va, incontro a ciò che è già successo ferma nelle braccia che accolgono sogni

ma le curve, i contorni non tengono più l’intera storia.

[Deve muoversi il meno possibile] 23-29

23  Prima di venire ai casi più impegnativi, segnalo per cominciare il trattamento critico dei motivi della lettura e dei libri: [Alle quattro si gela] 10-11 «e nessuno adesso ti dice il perché / dell’odio per tutto quello che di notte leggevi»; [«contenta che non sia venuto?»] 24-25 «e da te non mi viene nessuna speranza / solitudine forse in questo posto pieno di libri». Nel primo testo è il tu femminile a restare nel presente privo di una spiegazione del proprio atteggiamento aggressivo indirizzato alle proprie letture, nel secondo invece è l’io lirico a lamentare, rivolgendosi al tu femminile, lo stato di solitudine nel quale il tu l’ha messo; i libri che affollano il luogo dell’enunciazione sono qui tanto quelli letti quanto quelli scritti (cioè la propria stessa poesia).

Si tolse di casa, e poi che altro c’è?

Adesso che da tanto raccontarla non puoi essere saziato

credi che morirà, le vesti nella fusoliera ardente ma non trovi più i suoi piedi scalzi.

[Può avere udito il tonfo] 32-35

Le curve, i contorni che non sono più capaci di contenere sono quelli della poesia, prima evocata dalla reticenza e dai giochi di vecchio. La figura femminile che tacque una volta per tutte è di certo la stessa di Persona, così come, forse, la struttura sintattica di «sempre accesa perfino serena» rimanda alla coppia “in progressione” di male evitato e bene possibile. Figura femminile e poesia coin- cidono nell’«anomalia desta», il cui movimento in direzione del passato evoca per noi l’orientamento dei fossili. La circolarità delle curve e la chiusura dei con- torni ritornano nello specchio, presente in entrambi i testi, ennesimo emblema

della poesia e del contegno malinconico del soggetto.24 Con uno spostamento

prospettico che sarà da ricondurre al percorso conoscitivo messo in atto nel libro, ciò che nel secondo estratto è l’impossibilità, per l’io, di trovare soddisfa- zione nel racconto di lei, ritorna nella terza sezione come richiesta, fatta da lei stessa, che la propria storia sia l’oggetto di un racconto più vicino alla verità del vissuto ([«L’acqua precipitando] 18-28):

Ho imparato a starmene tranquilla ma chi

racconterà la storia di un’altra timidezza l’attenzione il sangue di pensieri libertini che solo per me stessa nutrivo?

Ho finto di esser cieca e mi scoppia la testa

sapendomi infelice addormentata

sempre uguale – se amo un Altro che è lontano – e ho una casa un nome ed ebbi

padre e madre.

Ma dimmi, tu per quanto tempo?

per sempre?»

I lessemi raccontare e storia, già comparsi, ritornano con altra pregnanza in quello che sembra essere l’appello di una donna in carne e ossa, col quale essa chiede la reintegrazione memoriale della propria storia reale in un contro-canto

24  [Deve muoversi il meno possibile] 3-6 «Tutto quello che vede, un riflesso asportato, / sconfina dai suoi occhi dalla pioggia dai cani: / la mano destra più grossa della testa / si ritrae tra patos ed esperienza»; 30-32 «Così dalla parte sbagliata sempre più stretta la città accesa / si chiude qui in mezzo a sacche di freddo / e tu dalla specchio ritira da ogni congedo quella mano»; [Può

avere udito il tonfo] 5-7 «Un cerchio di specchi opachi / ancora nella luce a picco unica guida

/ annuncia come sarà la tua vita abituale». Il primo componimento è, come nota Bonito 1996, 52-53, in larga parte un assemblaggio di frammenti del Self-Portrait in a Convex Mirror di John Ashbery, componimento che dà il titolo all’omonima raccolta e che s’ispira alla celebre tela del Parmigianino. Sull’importanza dello specchio nell’iconografia della malinconia ha insistito Starobinski 2006 [1997] in un suo libro di letture baudelairiane.

che recuperi il dinamismo della vita sfuggendo al livellamento imposto dalla poesia (nel testo: finzione, cecità, infelicità, sonno, fissità). Più avanti nel me- desimo componimento la figura femminile tornerà a lamentarsi della fissità e del confinamento impostigli dall’io, in un passaggio che combina il tema del discorso con il rovesciamento della vita intrauterina, ora propria di lei rinchiusa nel ventre dell’io-figlio: «e nemmeno qui parliamo in una sola lingua di me viva / perché nel tuo grembo paterno / nessuna benda mi nasconde / obbediente bersaglio dove vivo / separata l’una dall’altra mai guarita / ed illesa tutta condi- visa» (vv. 62-67). L’incompatibilità della poesia con la vita e il tempo appare, più indietro nel libro, anche nel secondo testo della seconda sezione ([Ne ha pieno il

sangue e il cervello] 3-7): tutto il percorso lento

una sola digressione ininterrotta finalmente inspiegata non da spiegarsi di nomi e rumori pungente25

fatta di anni finalmente, di figli che si persero.

Il presente è per lei il tempo di un’attesa ricompensata, quando un estenuan- te girare a vuoto giunge finalmente al termine; non perché arrivi a toccare un qualche centro, ma perché finalmente non è più necessario spiegare alcunché e le parole si fanno inutili. La stessa sostanza della digressione non è più verbale o fonica, ma vitale, e consiste nel tempo che è passato e in una serie di tragiche vicende, date per sineddoche nell’immagine dei figli che si persero. Una vita recuperata al tempo, agli anni, la quale evoca per contrasto la non-vita del sog- getto che ancora alla fine del libro «più niente ha a che fare / con gli anni» e tutta si esaurisce «correndo intorno a un solo nome» [Trasfòrmati in parole] 4-6.

L’incompatibilità di vita e poesia coinvolge però anche l’io, che deve limitar- si a registrarla, oramai consegnato a una difficile doppia fedeltà. Così per esem- pio nel testo seguente, che la particella avversativa divide esattamente in due distici, uno per ogni polo del conflitto: prima la poesia figurata come alimento vitale e, per una volta, relazione tra lo scrittore e il lettore; poi la vita non del tutto esaurita o repressa, schiacciata all’interno ma ancora capace di pungere; è questa, per inciso, la prima attestazione del motivo vitalistico della gemma che nuovo rilievo assumerà nel Serraglio:

Poi dici che ti si nutre il cuore a ricordarlo forse uno che ti ascolta ma dentro ti duole la gemma stipata quasi morta che preme e ributta

25  L’aggettivo «pungente» getta un ponte tra questo testo e l’explicit del Serraglio: «Stella su stella fino alla stella del mattino / illumina questa nudità che parla / libera e fredda incrostata d’oro / e di sapori densi nel buio pungente» (Stella 10-13).

Un’ultima rete di corrispondenze stringe tra loro due testi della prima sezio- ne, [Viene dopo anni di guai] e [Tutto comunque è qui] 1-5, e uno della seconda, [Forma una seconda nebbia]:

Viene dopo anni di guai

vivendo ancora secondo la legge della sua carne. Si affila il becco nell’aria fredda poi muta colore dolce e senile nei gesti cancellando

5 l’ultimo atto di resa.

In moto o in quiete non c’è nebbia attorno alla sua immagine

che il dio non invoca dei muri e delle porte. Tutto comunque è qui

in queste pause gonfie e incomplete nel clima un poco impaziente

che l’aria attraversa matronale 5 colpendo l’orlo delle rose

Forma una seconda nebbia

intonando ancora potenti

e nere pause più che sua vera voce

nell’ottusa consonanza al tuo torpore 5 è rotta voce che le ore notturne

sommesse ti consente ma tanto gravi e scure

che in pieno giorno non s’interrompe il silenzio

I versi 3-5 di [Viene dopo anni di guai] mostrano la trasformazione in atto della figura femminile da essere alato a donna reale; il venir meno o la sempli- ce assenza della nebbia che accompagna tale metamorfosi consente di vedere chiaramente l’immagine femminile, alla quale non corrisponde alcuna richie- sta di protezione fatta al dio domestico dei muri e delle porte, dunque nessuna angoscia da medicare ricorrendo alla chiusura del sé entro spazi protetti. Il ri- formarsi della nebbia, ennesima figura della poesia, accompagna non a caso in [Forma una seconda nebbia] un’altra figura della poesia, ovvero l’anonima voce che intona ancora una volta, con significativo paradosso, non melodie ma in- tervalli di silenzio, pause potenti e nere. Al superamento del consueto orizzonte chiuso e luttuoso segue quindi a qualche distanza, nel disordine temporale che caratterizza il “racconto” della raccolta, un nuovo ripiegamento, nemmeno esso però del tutto immune da crepe. La voce che intona i silenzi poetici è rotta e prima implicitamente falsa (per il fatto di sostituire la «vera voce»). Un’analoga criticità ritorna nel giudizio finale: il silenzio della poesia consente al sogget- to di superare le ore notturne, riducendo il peso dell’angoscia, a condizione però di estendersi al resto della giornata allontanando la vita. Ulteriori e forse

più evidenti spiragli di luce promanano dall’unica occorrenza precedente delle «pause» poetiche, [Tutto comunque è qui], dove il clima è «un poco impaziente» e i silenzi della poesia sono qualificati negativamente come gonfi e incompleti.