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I percorsi della poesia

2. La nera costanza 1 Dal titolo al libro

2.8 Il margine dei fossili

le acque provenienti dagli abissi si congiunsero a quelle, dando luogo a crolli e al conseguente…

inondazioni derivarono e sedimenti

nel ripetersi della sovrapposizione. Non tutte le pietre 5 ma solo massi spezzati stettero alla base

II nell’ardesia si vedevano di frequente forme di pesci esattamente come fra le mani

bocche si scolpiscono aperte nelle impronte schiacciate III

è chiaro che i pesci dello stesso stagno 10 da un’unica massa sono stati schiacciati.

Le impronte dei pesci provengono dunque da veri pesci.

IV

ossa raggruppate e disposte lungo la roccia in piccole o grandi nicchie naturali 15 dal 1923 al 1925, senza mandibole,

numerose fra i crani a m. 1,20 dal suolo orientate da est a ovest

V

per questa ragione il cranio e le ossa lunghe sulle alture o su rami non portano

20 con sé

ogni mutamento di sede VI tranquilli nei giorni più frequenti nella calma che preme al di qua dei successivi movimenti, quasi incerti 25 i fossili verso il margine del bosco

meno denso

gli occhi si rompono

VII evitando che le ossa

30 siano dai cani divorate ricoperte nuovamente di carne di un giovane orso bruno, gli si tagliano canini e incisivi con sega sottile

VIII 35 è vietato spezzare le ossa di cui

si è mangiata la carne sgozzata la sera:

bersagliate e legate le vidi le une accostarsi alle altre 40 in festa echeggiante.

Su di esse muscoli e fiotti fiorivano

IX questi depositi, offerte di primizie, abbattute presso popolazioni artiche 45 resti di animale

nella limpida traccia del dio caduto fra il cacciatore e la preda

X su una placca di ardesia incisa si distingue avvolto in una pelle 50 con coda di cavallo e corna

di cervo sulla testa che finisce a becco

XI i suoi vicini di parete sono l’uomo e il rinoceronte: 55 la testa è priva di lineamenti

ma il ventre

si affaccia a proteggere

mento suddiviso in undici stazioni numerate, brevi e monostrofiche, che reca l’enigmatico titolo Il margine dei fossili. È il secondo componimento della quarta sezione, Elementi di stabilità, che riprende e ampia la sequenza comparsa con lo stesso titolo nell’undicesimo «Almanacco dello Specchio», dove il Margine già

compariva nella sua redazione definitiva.71 In virtù della loro posizione la sezio-

ne e il testo sono essi stessi elementi di stabilità, sui quali il macrotesto poetico poggia un po’ come avveniva nel Bagno con La passione della biografia – anche se lì, lo ricordiamo, più che di un basamento si trattava di un filtro, di un agente dinamico attraverso il quale la galassia dei traumi poteva farsi poesia a patto di passare attraverso la scrittura del corpo. Vitaniello Bonito ha identificato nelle stazioni dalla prima alla terza la presenza di lacerti provenienti un saggio stori-

co-scientifico di Paolo Rossi, I segni del tempo,72 dedicato alla ricostruzione del

dibattito europeo sei-settecentesco sulla storia della Terra.73 Sempre da Bonito

apprendiamo che lo studio di Rossi era in realtà già presente sullo sfondo del

Bagno, nel quale la memoria della fonte andava quasi certamente a saldarsi con

l’esperienza diretta dell’autore, testimone di piccoli riti domestici di lettura del

futuro.74 Ciò che però Bonito non dice, è che lo stesso sintagma «elementi di sta-

bilità» proviene dal paragrafo di Rossi filtrato nel Margine, incentrato sul con- tributo filosofico al dibattito scientifico e paleontologico di Leibniz, per il quale gli elementi di stabilità consistono in quell’ossatura di monti e cavità oceaniche formatasi in seguito ai grandi sconvolgimenti primordiali e destinata a forma- re la struttura fondamentale del pianeta, non più suscettibile di mutamenti, le catastrofi successive essendo capaci di sortire unicamente trasformazioni locali

e di più modesta entità.75 Riferito al nostro testo, un simile discorso si presta

71  Cfr. supra, pp. 87-88. 72  Rossi 1979.

73  Bonito 1996, 43-46.

74  Il testo in questione è Per lei, 1-5 «Guardando un tuorlo d’uovo / in un bicchiere d’acqua / per me quello che vedo / è un monolocale per la vecchiaia / per te un’agata venata». Glossa Bonito (1996, 26): «Per interpretare questo aspetto della poesia di Ortesta, offre soccorso il Paolo Rossi de

I segni del tempo, da cui il poeta estrae lacerti verbali assai indicativi: “hanno riconosciuto Apollo e

le Muse nelle venature di un’agata […] o delle “donnette superstiziose” che sperano di indovinare il futuro guardando un tuorlo d’uovo in un bicchiere d’acqua”». Il paragrafo del saggio di Rossi è il medesimo che Ortesta ricorderà scrivendo il Margine.

75  «[Leibniz] Ritiene […] di aver individuato le “cause generali” alle quali è da far risalire “lo scheletro e, per così dire, l’ossatura visibile della Terra e la struttura dell’insieme”. La catena dell’Himalaia, dell’Atlante, le Alpi, costituiscono questa ossatura e, insieme alle cavità oceaniche, danno luogo alla struttura della Terra. Tale struttura presenta elementi di stabilità: è il risultato di un iniziale processo di formazione al termine del quale si produce “uno stato più consistente derivante dalla cessazione delle cause e dal loro equilibrio (donec, quiescentibus causis atque aequilibratis, consistentior emergeret status rerum)”. Una volta che il globo si è consolidato in questa equilibrata struttura, che è nelle linee generali la sua struttura presente (Leibniz usa le espressioni: solidatus, iam, ut nunc, globus), possono certo intervenire mutamenti ulteriori, come crolli, inondazioni, interruzioni di corsi d’acqua, emersione e interramento di vulcani. Si tratta

a un’interpretazione psichica, relativa alla storia interna del soggetto, fatta di piccoli crolli e smottamenti che poggiano su alcuni grandi traumi fondativi, responsabili di una struttura di personalità che rimane costante.

Si potrebbe pensare che la riscrittura di un testo saggistico, a fronte delle numerose e più comuni riscritture di testi poetici, rappresenti un’anomalia; si tratta invece piuttosto di un caso-limite che, proprio in quanto tale, chiarisce il fenomeno della riscrittura – o forse meglio della co-scrittura – nella sua in- terezza, in modo analogo a quanto avviene con il centone da Giudici che sarà

oggetto d’analisi nella seconda parte di questo studio.76 L’esemplarità del rap-

porto tra il Margine e I segni del tempo risiede nel fatto che la memoria poetica ortestiana è indifferente ai generi del discorso e ai supporti, purché il testo altrui appaia sintonizzato con le frequenze del proprio discorso interiore, palesandosi alla lettura come parola propria incarnata in quella altrui. La metafora acustica vuol rendere il primato che l’urgenza interiore ha su qualsiasi motivazione più estrinseca legata alle necessità di posizionamento nel campo sociale della poe- sia nel configurare il rapporto tra il proprio testo e quelli di cui si esso si nutre. Proprio di questa che molto impropriamente definiremmo un’“operazione” è un rapporto ambivalente con la parola altrui nel quale forza e debolezza coincido- no: la debolezza è quella di un autore che si protegge dai rischi di un’eccessiva esposizione di sé nascondendosi sotto la voce dell’altro, affidando quanto gli è più caro a un’enunciazione indiretta; la forza sta invece nell’arbitrio pressoché assoluto col quale la parola altrui è estrapolata dal proprio contesto di prove- nienza per vedere il proprio senso riconfigurato in modo radicale. «Decostruiti, alienati dal proprio contesto, i frammenti del testo di Rossi vengono rilanciati in nuove scansioni del discorso, aggiungendo al loro tenore originario una nuova cadenza di senso: quella poetica, appunto; con effetto di straniamento, di rottu-

ra di genere e significativo potenziamento simbolico-percettivo».77 Tutto ciò si

concretizza in una riadozione piuttosto disinvolta della lettera altrui, fatta og- getto di robusti interventi di taglio, modifica, alterazione dell’ordine sintagma- tico, condensazione o all’opposto ampliamento. In tal senso procedono i gesti

però – e la distinzione è importante – di “cause particolari” e non di cause generali» (Rossi 1979, 81).

76  Cfr. infra, pp. 334-39.

77  Bonito 1996, 43. Forse non è inutile aggiungere che il gesto ortestiano si colloca agli antipodi dal

cut up e dalle più recenti forme di scrittura non assertiva: l’azione verbale del poeta non si limita

mai al semplice taglia e cuci e si configura piuttosto come inclusione o endogena riemersione dei frammenti del testo altrui, chiamati a contribuire alla creazione di un tessuto testuale autonomo e integralmente soggettivo; tanto il fine (l’enunciazione di una verità individuale-universale) quanto la concreta pratica della scrittura (la combinazione dei segmenti attinti all’esterno con altri propri) tendono a una parola dell’io, il quale semmai è un soggetto relazionale, lontano da ogni pretesa di assolutezza.

riscrittori visibili nelle prime tre stazioni del Margine, tra i quali spicca l’inver- sione come mezzo per instaurare l’ordine poetico del discorso: Rossi 1979, p. 81 «ne derivarono inondazioni che dettero luogo a sedimenti» > Margine v. 3 «inon- dazioni derivarono e sedimenti»; p. 83 «sono stati schiacciati da una massa» > v. 10 «da un’unica massa sono stati schiacciati».

Sul piano dei temi, il Margine risulta nettamente bipartito tra una sezione geologica e una sezione rituale, mentre sul piano argomentativo ciò corrispon- de solo imperfettamente a uno sviluppo in due fasi distinte: la linea geologica occupa le stazioni I-III (coincidenti con il filtraggio di Rossi) e VI, la linea rituale invece le stazioni IV-V e VII-XI. Un’ulteriore corrispondenza mancata è quella con la bipartizione degli stili, la quale è risolta in una compenetrazione fluida di stile saggistico impersonale e lineare sul piano sintattico e stile poetico ritmi-

camente teso e ambiguo.78 Vediamo nel dettaglio le prime tre sezioni. L’inizio è

contrassegnato da eventi catastrofici, i quali danno luogo tra l’altro a una lacuna

testuale segnalata dai puntini che facilmente allude al trauma; 79 le violente tra-

sformazioni del pianeta allegorizzano dunque le rotture fondative dell’infanzia, e lo stesso si può dire per i massi spezzati ai quali spetta di fare da base agli strati superiori. Le stazioni seconda e terza introducono il tema dei fossili, ponendo l’accento sull’equivalenza tra animale e umano («forme di pesci esattamente come tra le mani / bocche si scolpiscono») e sull’origine vitale delle impronte stampate sulla roccia («Le impronte dei pesci provengono dunque / da veri pe- sci»). Persiste dunque la dimensione traumatica, che però si lega al motivo della forma o traccia come residuo vitale, alludendo dunque alla scrittura poetica come forma in cui si deposita un residuo di vita passata.

La quarta stazione ospita un intervallo temporale non compatibile con la cronologia di Rossi (15 «dal 1923 al 1925») e, insieme alla quinta, introduce il motivo delle ossa (nella quinta specificate in crani e ossa lunghe), solidale a quello dei fossili ma diverso; è chiaro inoltre che tali resti sono l’oggetto di manipolazioni umane (13 «raggruppate e disposte lungo la roccia»), mentre la precisione della data e dell’indicazione spaziale (16 «a m. 1,20 dal suolo») fa

78  Tale compenetrazione si realizza all’interno della singole strofe sfruttando minimi fatti stilistici: ordine marcato dei costituenti (30 «siano dai cani divorate»; 38-39 «bersagliate e legate le vidi / le une accostarsi alle altre»); semplificazione dei nessi preposizionali (19 «sulle alture o su rami non portano»; 40 «in festa echeggiante»); scelte lessicali marcate in senso figurale (41-42 «Su di esse muscoli e fiotti / fiorivano» 57 «si affaccia a proteggere» – si aggiunga che il verbo transitivo rimane privo di oggetto); ripetizione lessicale, come quella di «pesci» in III; omofonie e allitterazioni (2-5 conseguente : sedimenti : frequente; 22-24 frequenti : movimenti; 41-42 fiotti /

fiorivano).

79  Per altro, conto altre due attestazioni del sostantivo lacuna nell’opera ortestiana, la prima nella

Costanza (Cinque poesie per C. N. Ledoux, 1 9-10 «al riparo del verde lacuna di campagna / ferita

acquattata nel fango superbo»), la seconda nel Serraglio ([Al cantare del gallo uccello dell’aurora] 7-8 «lacuna femminile che vai dedicando / a una calce di vespro il tuo intelletto»).

pensare a un loro concreto ritrovamento. Il cambio d’argomento in direzione antropologico-rituale va di pari passo con la cessazione dell’influenza dei Segni

del tempo di Rossi, il che però non significa che il prosieguo del componimento

sia privo di ipotesto. Le stazioni IV-V e VII-XI consistono infatti quasi intera- mente di un assemblaggio di citazioni provenienti dal primo capitolo del primo volume, Dall’età della pietra ai Misteri Eleusini, della Storia delle credenze e delle

idee religiose di Mircea Eliade,80 dedicato ai Comportamenti magico-religiosi dei

paleantropi.81

Prima però che il tema rituale trovi modo di esplicarsi pienamente, una nuo- va interruzione, all’altezza della sesta stazione, riporta il motivo dei fossili al centro del discorso in corrispondenza di un cambio di passo stilistico, insieme

metrico e sintattico,82 il quale segnala al lettore che l’unica voce a parlare è ora

quella dell’autore, per un attimo sprovvisto di filtri e mediazioni. E un’ulteriore conferma che qualcosa di decisivo sta accadendo è data dal ritorno del sintagma del titolo. I «movimenti» ai quali segue la calma propria dei fossili o dei giorni più tranquilli nei quali essi sono temporalmente situati richiamano fonicamente le «acque provenienti» e i «sedimenti» della prima stazione e, tramite essi, gli eventi traumatici dai quali tutto è cominciato. La calma che segue a tali scon- volgimenti è però una calma che preme, dunque una pressione che si sostituisce alla violenza esplicita ma non la supera o annulla del tutto. In questa situazione, che è con tutta evidenza la traduzione allegorica di una condizione psicologica, si svolge l’azione dei fossili, azione ridotta al minimo che consiste in un orien- tamento (ma le già le ossa al v. 17 apparivano «orientate da est a ovest») verso

80  Eliade 1979 [1976], con una prima ristampa nel 1981 e un’altra nel 1984.

81  L’intera stazione IV seleziona e ricompone frammenti di un lungo passaggio di p. 24: «le ossa erano raggruppate e disposte, sia lungo la parete, sia in nicchie naturali della roccia, sia in una specie di cassa di pietra. Dal 1923 al 1925 Bächler esplorò un’altra grotta, Wildenmannlisloch; vi trovò numerosi crani di orso, senza mandibole, e ossa lunghe poste fra i crani. […] ove K. Hoermann scoprì dei crani di orso in nicchie a m 1.20 dal suolo. Dal pari, K. Ehrenberg nel 1950 trovò nella Salzofenhöhle (Alpi austriache) tre crani di orso collocati in nicchie naturali della parete, insieme con ossa lunghe, orientate da est a ovest». I frammenti che compongono la stazione V sono invece attinti a due luoghi diversi: «per questa ragione il cranio e le ossa lunghe / sulle alture o su rami» < p. 18 «[…] per questa ragione il cranio e le ossa lunghe vengono esposti su rami

o su alture»; «non portano / con sé / ogni mutamento di sede» < p. 19 «[…] di conservare i crani

dei genitori morti e di portarli con sé ad ogni mutamento di sede».

82  La sesta stazione si caratterizza per la tensione sintattico-intonativa indotta dal ritardo del soggetto, il quale compare soltanto al v. 4 («i fossili»); lo stesso soggetto non si aggancia ad alcun predicato verbale e rimane fluttuante, mentre la predicazione è piuttosto affidata all’avverbio di direzione («verso») e presuppone forse un verbo essere sottinteso. Un’analoga costruzione ascendente interessa il distico finale, dove la comparsa del soggetto («gli occhi») segue la qualificazione aggettivale e la subordinata gerundiale. Il versante fonico-ritmico è più denso che nelle stazioni precedenti: una rima (frequenti : movimenti) e un omoteleuto quasi perfetto (movimenti : incerti), l’insistenza finale sulle sdrucciole (deboli, perdendosi, rompono) generata dal verso che contiene i due sostantivi-chiave (margine, fossili).

la zona più esterna del bosco, dove il rigoglio della vegetazione è meno fitto. Sappiamo da numerosi riscontri intertestuali che il bosco, e in esso i suoi recessi più profondi, rappresenta l’inavvicinabile precluso a ogni percezione diretta e

rappresentazione, il trauma come limite invalicabile del discorso.83 I fossili al-

lora prudentemente si orientano verso il bosco, ma assumendo come proprio limite il margine, quella zona di passaggio dove l’interno e il buio entrano in comunicazione con l’esterno e la luce. L’azione minimale dell’orientarsi è infine contrapposta a quello che, pur rimanendo di fatto implicito, sembra essere l’av- vicinamento degli occhi fino a toccare il lembo vegetale, tentativo di contatto diretto che si conclude negativamente con la rottura degli occhi stessi. Ora, che

cos’è la rottura oculare se non un perfetto sinonimo del bagno degli occhi?84 Il

rimando palese alla prima raccolta schiude al lettore la possibilità di un’inter- pretazione metapoetica che a partire da questi versi si estenda al componimento nel suo complesso. Già Giudici se ne era accorto, presentando il testo alla sua prima uscita:

il mondo fossile che, per fragmenta, aggredisce il lettore aprendo la sua immaginazione alla vita di cui quei reperti si offrono a testimonianza (vita regressa, inghiottita dal tempo, e tuttavia non cancellata, persistente) – è correlativo, infatti, del modo di costruire proprio di questo autore. […] Ortesta costruisce un sistema di emergenze: aggancia coi loro ami il lettore, lo tira giù, lo costringe a esplorare un ben più vasto e narrabile sommerso, a dargli corpo come storia di passioni e di vita. Il fossile, è evidente, non è più di una metafora che chiede (al lettore) di essere costruita in sensi umani e ad libitum come da un ossicino di Cuvier.85

Se l’inevitabile polo d’attrazione della poesia rimane la zona più interna e recondita del bosco, ovvero ciò che non è possibile vedere direttamente a costo di perdere la vista (il sole e la morte, direbbero La Rochefoucauld e Orlando), il

83  Il bosco è una presenza ricorrente fin dai primissimi testi (dove però occorre nelle varianti della foresta e della selva), per lo più coinvolto in contesti semantici che ne fanno un’entità animata oppure mentale, una presenza e un teatro tutto interiore. Troviamo così i nomi composti

forestafaccia e facciaselva, nelle poesie del 1977 (Ortesta 1977a) poi non confluite in volume;

il «bosco / che s’inarca» in Parola stessa, nel Bagno degli occhi; il «bosco immaginato / d’alto fusto» di Lichene o moscardino, nella Costanza, raddoppiato in Nel progetto di un freddo perenne dall’«altra specie di bosco» di [L’acqua precipitando]; infine, Nella sfera del bosco è il titolo della prima sezione di Serraglio primaverile, dove il rigoglio vegetale si associa con la chiusura e la perfezione astratta della sfera, rendendo evidente il carattere di simbolo del groviglio inconscio e materno che il bosco tende ad assumere.

84  A ben vedere, l’immagine-concetto originariamente prevede proprio la rottura, e non il bagno, degli occhi. Il sintagma presente nel Margine riprende infatti esattamente un luogo poetico degli esordi: «rottura sugli occhi mi prende / splendore chi dice / rovina negli organi / a me / con fiocchi tenuti / e bande in giardino gelando» [Non salto da globo a sonno] 4-9. Il testo è tra quelli pubblicati su «Niebo» nel 1978 (Ortesta 1978b) e poi non confluiti nel Bagno degli occhi, su cui cfr. supra, p. 59.

groviglio inestricabile delle pulsioni e dei traumi e delle paure legate alla morte, come può la poesia porvisi in relazione? La soluzione proposta nel Bagno, ovve- ro lo sregolamento linguistico correlato alla simulazione schizofrenica e conse- guente al tentativo di una presa di contatto diretta con la catastrofe individuale, è dichiarata qui fuori uso, fallita. A essa si sostituisce la più cauta strategia dei fossili, che interpreteremo come la pietrificazione in forme solide, inerti, capaci di alludere indirettamente nella loro fissità al movimento che le ha precedute. Non si cerca più di entrare nel bosco, ma di circondarlo e perimetrarlo affidan- dosi alle indicazioni che i fossili provvedono attraverso la loro natura di trac- ce dolorose e il loro orientamento. Come suggerito da Giudici, Ortesta sembra proporre al lettore la condivisione di un metodo indiziario vicino a quello inau- gurato dalla paleontologia ottocentesca: risalire inferenzialmente dal fossile e dal frammento osseo all’essere vivente nella sua interezza, dalla forma poetica

compatta e controllata alle pulsazioni e ai grumi della sofferenza vissuta.86

A partire dalla settima stazione, Ortesta si serve quasi esclusivamente delle parole di Eliade per comporre il proprio discorso, limitandosi ad interventi mi- croscopici e a un ruolo di montatore. Le stazioni VII e VIII ospitano due delle numerosissime prescrizioni rituali di una cultura primitiva della caccia, relative al trattamento delle ossa degli animali uccisi (vv. 29-30 e 35-37), e alludono alla credenza nella rinascita degli stessi a partire proprio dalle ossa (vv. 31-32 e 38-

42).87 La precedente menzione di generiche ossa, del cranio e delle ossa lunghe

può essere reinterpretata come allusione a un contesto rituale grazie all’espli- citazione di quest’ultimo data a IX 43-44: «questi depositi, offerte di primizie

/ abbattute presso popolazioni artiche».88 Nella stessa stazione si menziona la

«limpida traccia del dio caduto / fra il cacciatore e la preda» (vv. 46-47)89 e lo

stesso dio è il soggetto sintattico della successiva X, dove la menzione dell’ar-