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La responsabilità penale

Nel documento La consulenza tecnica nel processo civile (pagine 160-166)

Responsabilità e compens

3. La responsabilità penale

La responsabilità penale del consulente tecnico è frazionata fra il codice di procedura civile e quello di procedura penale. In particolare, l'art 64 c.p.c (analizzato in riferimento alla responsabilità civile), al suo prima comma, dispone l'applicabilità al consulente delle norme del c.p per i periti; al secondo comma prevede una fattispecie incriminatrice di natura contravvenzionale.207

205 “Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell'articolo 375 del codice di procedura civile” In Pluris Wolters Kluwer

206 M.Rossetti, Il CTU “l'occhiale del giudice”, Milano, Giuffrè, 2012, p.65 207 Art 64 c.p.c:”Si applicano al consulente tecnico le disposizioni del codice

penale relative ai periti. In ogni caso, il consulente tecnico che incorre in colpa grave nell'esecuzione degli atti che gli sono richiesti, è punito con l'arresto fino a un anno o con l'ammenda fino a diecimilatrecentoventinove euro. Si applica l'art 35 del codice penale. In ogni caso è dovuto il risarcimento dei danni causati alle parti.”

Ora, poiché il CTU assume la funzione di Pubblico Ufficiale ai sensi dell’art. 357 c.p., in qualità di ausiliario del giudice, può incorrere in una serie di reati direttamente connessi all'attività che va a svolgere: si pensi al peculato, alla corruzione, alla concussione e all’abuso di ufficio, nonché alla fattispecie specificatamente riferita alla figura dell’esperto dell’autorità prevista dall’art. 366 c.p. Tale ultima norma, infatti, punisce con la reclusione fino a 6 mesi o con la multa da 30 euro fino a 516 euro il consulente tecnico, nominato dal giudice, che ottenga con mezzi fraudolenti l’esenzione dall’obbligo di comparire o prestare il suo ufficio o il consulente che rifiuti di dare le proprie generalità, di prestare il giuramento richiesto o di assumere o di adempiere le proprie funzioni.

Ancora, ai sensi dell’art. 314 del codice penale, il Consulente che si trovi in possesso di danaro o di altra cosa mobile appartenente alla pubblica amministrazione, qualora se ne appropri o ne disponga per uso proprio o altrui, è punibile con la reclusione da 3 a 10 anni e con l’interdizione dai pubblici uffici. Nei casi in cui la reclusione sia prevista per un tempo inferiore ai 3 anni, la condanna comporta l’interdizione temporanea.

L’art. 373 c.p., riguardo falsa perizia o interpretazione, stabilisce invece la pena della reclusione da 2 a 6 anni per il perito che, nominato dall’autorità giudiziaria, dà pareri o interpretazioni mendaci o afferma fatti non conformi al vero.

Il verbale redatto dal Consulente in qualità di Pubblico Ufficiale costituisce atto pubblico, anche riguardo ai fatti che il CTU asserisca essersi verificati in sua presenza, per cui nei suoi confronti si può procedere con querela di falso; tale istituto non è invece ammissibile per il contenuto della consulenza tecnica, la quale non fa pubblica fede delle affermazioni o contestazioni o giudizi in essa contenuti.

L’art. 374 c.p., riguardo la frode processuale, punisce con la reclusione da 6 mesi a 3 anni il perito che, nell’esecuzione di una perizia, modifichi artificiosamente lo stato dei luoghi o delle cose o delle persone su cui si deve svolgere la consulenza.

Al Consulente Tecnico si applicano le disposizioni del codice penale riguardanti i periti, ma va ricordato che nel codice di procedura penale non vi è alcuna disposizione analoga al citato art. 64 c.p.c. Di conseguenza, la parte che abbia subito un concreto pregiudizio in conseguenza dell’operato dell’esperto in un processo penale, può far valere il diritto al risarcimento del danno ai sensi dell’art. 2043 c.c., innanzi al giudice competente.

Riguardo alla quantificazione del danno, normalmente esso comprende tutte le spese sostenute per l’adozione di provvedimenti ritenuti necessari in conseguenza di un errata consulenza, nonché le spese affrontate per dimostrare l’erroneità della consulenza d’ufficio. In relazione agli artt. 373 e 374 c.p., sono previste anche delle aggravanti oggettive (art. 375 c.p.): la pena della reclusione da 3 a 8 anni se dal fatto deriva una condanna alla reclusione non superiore a 5 anni; la pena della reclusione da 4 a 12 anni se dal fatto deriva una condanna superiore a 5 anni; la pena con reclusione da 6 a 20 anni se dal fatto deriva una condanna all’ergastolo.

L’art. 376 c.p., prevede poi la non punibilità per il colpevole che ritratti il falso e manifesti il vero non oltre la chiusura del dibattimento.

Inoltre, al perito si possono applicare, pur in assenza di uno specifico richiamo, le norme incriminatrici relative al delitto di patrocinio o consulenza infedele (art. 380 c.p.), nonché quelle relative alle altre infedeltà del patrocinatore o consulente tecnico (art. 381 c.p.), le quali comunque presuppongono, quale elemento costitutivo del reato, la sussistenza di un procedimento dinanzi all’autorità giudiziaria.

Un’analisi particolare meritano i vari casi di colpa grave da parte del CTU nell’esecuzione del mandato ricevuto. Questi sono regolati dall’art. 64 c.p.c., e si verificano quando: il CTU smarrisce documenti originali e non più riproducibili dal contenuto dei fascicoli di parte; il CTU perde o distrugge la cosa controversa o documenti affidatogli; il CTU omette di eseguire accertamenti irripetibili; il CTU non avvisa le parti sulla data d’inizio delle operazioni peritali provocando l’annullamento della consulenza su istanza di parte; il CTU redige una consulenza non idonea o incompleta con conseguente innovazione della stessa; il CTU assume l’incarico conferitogli dal Giudice pur non avendo un’adeguata e specifica conoscenza tecnica nel settore oggetto della consulenza richiesta e redige pertanto un elaborato viziato da errori.

Il citato art. 64, comma 2, c.p.c., punisce il Consulente che commette tali fattispecie di reato con l’arresto fino ad 1 anno oppure con l’ammenda fino a 10.329 euro, oltre alla pena accessoria della sospensione dall’esercizio della professione da 15 giorni a 2 anni (art. 35 c.p.).

Nell’ipotesi di colpa grave, come già detto, è dovuto anche il risarcimento dei danni indipendentemente dal fatto che sia applicata la pena pecuniaria.

Infine, ai sensi dell’art. 377 c.p., chiunque prometta denaro o altra utilità a un Consulente per indurlo a una falsa perizia, è punibile, qualora l’offerta o la promessa non sia accettata o sia accettata ma la falsità non sia commessa, con la pena di cui all’art. 373 c.p.(da 2 a 6 anni di reclusione) ridotta dalla metà ai due terzi e con l’interdizione dai pubblici uffici.208

4. Il caso

La Cassazione, ribadendo il concetto di responsabilità del consulente tecnico, sancisce in una recente sentenza che l'unico responsabile del proprio operato è il C.T.U. Nel caso specifico si trattava di un’azione di risarcimento dei danni patrimoniali subiti da due soggetti, che chiamerò i coniugi Rossi, i quali, avendo partecipato all’esperimento di vendita con incanto di un immobile, oggetto di procedura esecutiva, dopo esserselo aggiudicato in via provvisoria, vedevano vanificata l’aggiudicazione medesima per il fatto che il giudice dell’esecuzione ne disponeva la revoca, ordinando la restituzione delle somme versate. Questi, infatti, a seguito del ricorso presentato dalla parte esecutata e motivato sull’errore valutativo commesso dall'ausiliare nella propria stima aveva disposto una perizia integrativa da parte dello stesso C.T.U., dalla quale era emerso che il valore dell'immobile, tenuto conto della sua intera superficie e dell'aggiornamento della stima ai valori correnti, ammontava effettivamente ad oltre 800.000 euro. Nel frattempo però i coniugi Rossi, già aggiudicatari, avevano (s)venduto l’immobile del quale erano proprietari per procurarsi la provvista necessaria per il corrispettivo di aggiudicazione, e dopo aver visto sfumare questa possibilità avevano dovuto ricorrere al libero mercato per procurarsi un altro immobile, sostenendo tutti i relativi oneri. Da qui l’azione risarcitoria, intentata nei confronti del C.T.U. nonchè del Ministero della Giustizia, chiedendo la condanna in solido tra loro al risarcimento dei danni arrecati dalla errata valutazione dell'immobile, in relazione alle vicende appena descritte, che quantificavano in euro 200.000,00. La sentenza di primo grado dichiarava il difetto di legittimazione passiva del Ministero convenuto, ed accertata la fondatezza della domanda nei confronti del perito, lo condannava ad

un importo superiore a 100.000 euro, oltre interessi legali e spese di lite.

La sentenza d’appello confermava in linea di diritto la decisione di prime cure, dimezzando però il capitolo danni. La vicenda è stata definitivamente regolata dalla Corte Suprema di Cassazione, con una sentenza estremamente complessa per la molteplicità delle censure sviluppate, ma che ai nostri fini interessa cogliere in due passaggi determinanti della motivazione: il primo, nel momento in cui la Corte riconosce come corretta la decisione di merito ove ha ritenuto che la responsabilità civile per fatto illecito del C.T.U. è disciplinata dall'articolo 64 c.p.c., e di conseguenza è il predetto ausiliare del giudice che deve risarcire i danni che ha cagionato alle parti con la sua condotta colposa; il secondo, a corollario del precedente, nel senso che il Ministero della Giustizia non può essere chiamato a rispondere di tale condotta ne' si pone come garante delle obbligazioni risarcitorie di questi.

La Corte ha inoltre precisato che il C.T.U. svolge, nell'ambito del processo, quale ausiliare del giudice, una pubblica funzione, nell'interesse generale e superiore della giustizia, e su di lui grava una precisa responsabilità, oltre che penale e disciplinare, anche civile, con il consequenziale obbligo di risarcimento del danno cagionato in violazione dei doveri connessi all'ufficio. Aggiunge infine la Corte che, pur se il provvedimento di nomina dell'esperto per la stima del bene pignorato di cui all'articolo 568 c.p.c. è ritenuto atto preparatorio e non di esecuzione, e pur essendo tale nomina facoltativa, tanto non rileva ai fini della responsabilità anche civile del predetto ausiliare, una volta che il Giudice dell’esecuzione abbia proceduto a tale nomina ed il nominato abbia assunto l'incarico. Nel caso preso in esame si trattava di un’altra figura di ausiliare (esperto nella stima); tuttavia, le similitudini esistenti tra le due

inducono ad affermare che le statuizioni della Corte di Cassazione sul piano della responsabilità devono valere anche per il consulente tecnico, il cui operato assume un ruolo centrale nel processo, in tutti i tipi di processo, dal quale spesso dipende la decisione della lite. Sempre più frequentemente il giudice si trova, suo malgrado, nella condizione di non poter fare a meno delle competenze tecniche ed estimative del consulente, alle quali talvolta è costretto a fidarsi ed affidarsi per questa sua delicata funzione super partes. A questo punto è bene porsi qualche interrogativo, nel senso che sono i consulenti incaricati sempre consapevoli dell’importanza e delicatezza del loro compito? Hanno le conoscenze e le competenze necessarie per svolgerlo al meglio? Conoscono essi le regole del processo nel quale sono chiamati ad operare e ne sanno fare buon uso?

E' bene che l'insieme di queste domande se le ponga il consulente prima di assolvere l'incarico, specialmente se si rende conto di non essere all'altezza di risolvere una determinata situazione controversa. Ed ecco che da qui, comprendiamo non solo le responsabilità in cui incorre il C.T.U, ma anche quanto sia effettivamente gravoso il ruolo che egli va a svolgere 209

Nel documento La consulenza tecnica nel processo civile (pagine 160-166)