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Capitolo 2 La riforma Mac Sharry (1992) e le novità di Agenda

2.3 La revisione della riforma dei Fondi strutturali

Nel 1993, come previsto nei trattati di Maastricht, viene creato un Fondo

di coesione per sostenere le iniziative di sviluppo, nel settore ambientale e

delle infrastrutture, in quei Paesi che hanno un PIL pro capite inferiore al 90% della media comunitaria (Spagna, Portogallo, Irlanda e Grecia). Per rafforzare il principio di coesione economica e sociale, in vista dell’unione monetaria, vengono raddoppiate le risorse in favore della ridu- zione delle disparità socio-economiche.

Le principali novità introdotte, rispetto alla riforma dei Fondi strutturali del 1988, riguardano:

- una maggiore semplificazione delle procedure di programmazione degli interventi;

- un aumento delle responsabilità degli organismi regionali;

- un miglioramento delle azioni di monitoraggio e valutazione sugli effetti dei singoli programmi.

La programmazione dell’intervento dei Fondi strutturali è fissata per sei anni, ad eccezione dell’obiettivo 2 suddiviso in due fasi di tre anni (1994- 1996, 1997-1999). Accanto alla procedura classica in tre fasi ( Piano di

sviluppo – Quadro comunitario di sostegno – programma operativo)6 ne viene proposta una semplificata in due fasi: la prima consiste sempre nella

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presentazione del Piano di sviluppo da parte dello Stato membro, mentre la seconda attiene alla predisposizione di un unico documento di programma- zione (DOCUP)7, contenente i piani di sviluppo e la relativa domanda di contributo. In tal modo la Commissione adotta un'unica decisione che tra- duce i piani nei quadri comunitari di sostegno e contemporaneamente ap- prova i programmi operativi.

Per il periodo 1994-1999 la normativa prevede, per ogni fase della pro- grammazione, il ricorso a un partenariato in cui intervengono tutte le auto- rità competenti designate da ciascuno Stato membro a livello locale, regio- nale o nazionale, incluse eventualmente le parti economiche e sociali. Vie- ne riconfermato il Comitato di sorveglianza.

Per quanto riguarda le azioni di monitoraggio e di controllo finanziario, la normativa prevede che gli Stati membri adottino tutti i provvedimenti ne- cessari per garantire la regolarità e l’integrità dei progetti finanziati. L’istituzione nel 1994 del Comitato delle Regioni ha ampliato e reso più incisivo il ruolo delle Regioni e degli Enti locali in quest’ambito.

Sulla base delle indicazioni contenute nel cosiddetto Pacchetto Delors II, approvato dalla Commissione nel febbraio 1992, vengono emanati nuovi regolamenti riguardanti i Fondi strutturali: il regolamento quadro 2081/93, il regolamento di coordinamento 2082/93 e i regolamenti 2083/93 per il FERS, 2084/93 per il FSE, 2085/93 per il FEAOG Orientamento, 2080/93 per lo SFOP8. Quest’ultimo, pur non essendo un Fondo strutturale a pieno titolo, finanzia azioni strutturali nel settore della pesca nell’ambito dei pro- grammi dei Fondi strutturali.

Con la riforma del 1993, la Commissione ha ulteriormente ampliato la de- finizione delle zone rurali, comprendendo non solo quelle con un basso li- vello di sviluppo socioeconomico, ma anche quelle con un elevato tasso di

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I DOCUP, così come i Quadri comunitari di sostegno e i Programmi operativi devono indicare: - un’analisi della situazione economica e sociale e i risultati conseguiti nel periodo di pro-

grammazione precedente;

- una descrizione delle strategie e delle risorse finanziarie previste; - uno studio di impatto ambientale e sui possibili beneficiari;

- l’indicazione degli obiettivi, il più possibile di tipo quantitativo, con le priorità di azione e l’elenco delle misure previste.

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Lo SFOP è lo Strumento finanziario di orientamento della pesca che viene scorporato dal FEA- OG Orientamento con il reg. (CEE) n.2080/93. Fino al 1993, la politica comunitaria per la pesca si divideva tra ambito produttivo, relativo alle strutture della pesca e dell’acquacoltura, e ambito commerciale, relativo alla trasformazione dei relativi prodotti. Tale distinzione viene meno il nuovo regolamento che ha come obiettivi quello di:

- contribuire al conseguimento duraturo di un equilibrio tra le risorse naturali e lo sfrutta- mento delle medesime;

- incentivare la competitività delle strutture operative e lo sviluppo di aziende economi- camente valide nel settore;

- migliorare l’approvvigionamento e la valorizzazione dei prodotti della pesca e dell’acquacoltura.

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occupazione agricola e con una bassa densità di popolazione9. Per pro- muovere lo sviluppo delle aree rurali, le politiche dell’Unione sono state indirizzate ad una maggiore diversificazione delle attività agricole in questi territori, allo sviluppo di altri settori produttivi, alla promozione del turi- smo e alla valorizzazione dell’ambiente naturale e delle risorse umane. Gli interventi hanno assunto progressivamente un carattere integrato in quanto, oltre ad interessare l’agricoltura, sono stati rivolti alle piccole e medie im- prese, allo sviluppo delle attività artigianali e al miglioramento delle infra- strutture e dei servizi. La coincidenza, poi, tra zone svantaggiate e aree di grande valore ambientale, ha sottolineato l’importanza delle azioni di svi- luppo rurale anche per raggiungere obiettivi di carattere generale come la salvaguardia del territorio e delle risorse naturali. Tuttavia, considerando il ruolo sempre più preminente delle Regioni per l’attuazione delle direttive comunitarie, occorre investire per aumentare le capacità progettuali, ge- stionali e di monitoraggio di quest’ultime per poter beneficiare al meglio delle iniziative dell’Unione europea.

La politica strutturale e lo sviluppo rurale sono stati oggetto, nel novembre

1996, della Conferenza di Cork. In tale occasione viene ribadito il ruolo

strategico delle politiche di sviluppo integrato nelle aree rurale quindi, la necessità di un loro rafforzamento, anche in termini di dotazione finanzia- ria, nell’ambito della riforma della Pac. Vengono individuati gli assi di o- rientamento delle politiche rurali, assumendo, sia pure tardivamente, una visione meno settoriale e produttivistica degli investimenti in campo agri- colo. Si riconosce infatti il carattere multifunzionale dell’agricoltura e quindi la necessità di remunerare gli agricoltori per tutti i servizi offerti al- la collettività, in particolare quelli rivolti alla tutela e alla salvaguardia del territorio. Nella Conferenza di Cork si suggerisce, in sostanza, un’impostazione della politica dello sviluppo rurale che segua il modello

LEADER10, ovvero che si basi su un approccio integrato delle politiche ter- ritoriali che, partendo da basso, punti sulla diversificazione delle attività economiche, il partenariato e la programmazione unica.

L’iniziativa LEADER, già prevista dal reg.(CEE) n.4253/8811

, opera dal 1991 a favore delle zone rurali dell’Unione europea promuovendo uno svi-

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Per essere ammesse nell’obiettivo 5b le regioni, nel periodo 1994-1999, devono avere un basso livello di sviluppo socioeconomico, valutato con il PIL pro capite. Inoltre devono essere soddi- sfatti almeno due dei seguenti criteri: tasso elevato di occupazione agricola, basso livello del reddito agricolo oppure bassa densità di popolazione e/o considerevole tendenza allo spopola- mento. L’ammissibilità può essere estesa ad altre zone situate al di fuori dell’obiettivo 1 e caratte- rizzate da un basso livello di sviluppo nonché da altri criteri contingenti.

10 LEADER è l’acronimo per "Liaison entre actions de développement de l'économie rurale", cioè

collegamento tra le azioni di sviluppo dell’economia rurale.

11 Il reg. (CEE) n.4253/88 prevede la possibilità da parte della Commissione europea di intra-

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luppo integrato e sostenibile delle aree rurali. Essa viene finanziata dal FEOGA Orientamento e si traduce, a livello locale, nell’elaborazione e concertazione di un piano di sviluppo multisettoriale e integrato gestito dai Gruppi di azione locale (Gal), costituiti da un insieme di partner pubblici e privati e da Operatori collettivi. L’attiva partecipazione degli operatori lo- cali allo sviluppo del proprio territorio, attraverso la creazione e il raffor- zamento dei legami esistenti tra il territorio, la comunità e le attività eco- nomiche, costituisce il vero punto di forza di quest’approccio. Il program- ma LEADER nasce come un esperimento di politica di sviluppo rurale in un territorio circoscritto per valutare gli effetti di alcuni strumenti e misure adottate. Dopo averne valutato l’efficacia e la validità, esso viene via via adottato in molteplici realtà territoriali.

Il reg.(CEE) n.4253/88 prevede tre fasi distinte di programmazione:

- LEADER I da attuarsi nel periodo 1988-1993;

- LEADER II da attuarsi nel periodo 1994-1999;

- LEADER + da attuarsi nel periodo 2000-2006.

Se la prima fase di attuazione del programma LEADER ha segnato l’inizio di una nuova politica di sviluppo rurale fondata su un’impostazione territo- riale, la fase di attuazione 1994-1999 ha contribuito certamente alla diffu- sione e al consolidamento di tale metodo, ponendo l’accento sull'aspetto innovativo dei progetti e sulle capacità di coordinamento e di progettazione locali.

2.4 Dal GATT al WTO: il nuovo accordo