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Yuriko Koike, è la prima donna eletta governatrice di Tokyo, carica che ha assunto nel 2016. Nonostante l'elezione di una donna sia stata una novità, le sue posizioni sono tutt'altro che nuove nel panorama politico giapponese, che ha visto il partito conservatore Jimintō (Liberal Democratic Party) al potere quasi costantemente dal 1955 a oggi. Koike si definisce

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nazionalista e conservatrice: tra le sue prese di posizione più emblematiche sono annoverate il sostegno alle istanze del revisionismo storico, che vorrebbe minimizzare i crimini di cui si è macchiato il paese durante la seconda guerra mondiale, come lo stupro di Nanchino e l'utilizzo delle comfort women; e la promozione delle visite al santuario Yasukuni, per rendere omaggio ai caduti e commemorare la fine della guerra il 15 agosto, visite che sono diventate sempre più un'istanza politica nazionalista da quando, nel 1954, le autorità hanno deciso di permettere che fossero inclusi tra le anime venerate al tempio anche quelle dei criminali di guerra, quattordici dei quali condannati per crimini contro la pace.

In linea con la Womenomics di Abe, parte del suo impegno per la città è devoluto alla questione femminile sul lavoro. Come il primo ministro, Koike parla di una Tokyo in cui “le donne risplendano”, josei ga kagayaku tōkyō. Il 21 dicembre 2017, presso il Tokyo Women's Plaza di Shibuya, ho assistito alla tavola rotonda a cui partecipavano Yuriko Koike e due donne che avevano avuto particolarmente brillante. Il titolo della conferenza era lo slogan già citato “Una Tokyo dove le donne risplendano” e il sottotitolo “Dipingi il futuro del tuo colore. Un career design su cui riflettere prima di iniziare a lavorare”. Il contenuto dell'incontro, le parole di Koike, ma anche la scelta del posto, la logistica dell'evento e il modo in cui le relatrici si rivolgevano al pubblico costituiscono una buona panoramica della politica di Tokyo sulle pari opportunità. L'evento era chiaramente rivolto a un pubblico femminile, come dimostrato dai colori pastello dei manifesti e dalla parola “donne” nel titolo, eppure la stessa Koike ha ripetuto diverse volte che sarebbe necessario predisporre un ambiente lavorativo in cui tutti, uomini e donne, possano fare le proprie scelte liberamente a prescindere dal loro genere. Inoltre, come esplicitato nell'apertura da Koike, l'evento era rivolto in particolare alle donne che vogliono conciliare il lavoro con la maternità: nonostante sia Abe che Koike facciano degli sporadici riferimenti ai padri lavoratori, dalla loro retorica emerge principalmente la preoccupazione di tutelare le madri. Viene spontaneo chiedersi come possano gli uomini essere incoraggiati a ridurre il tempo passato in ufficio e ad aumentare quello passato con i figli se sono solo le donne a cui questi eventi si rivolgono. Il pubblico presente era infatti quasi totalmente femminile e molte donne avevano portato i loro figli piccoli, incoraggiate dai volantini informativi a dimostrare la disponibilità del governo di

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Tokyo a includerle. Koike ha spiegato che il Tokyo Women's Plaza, dove aveva luogo l'incontro, era attrezzato con un asilo per permettere alle donne con figli piccoli di frequentarne le attività e che era stato messo a disposizione anche al pubblico della conferenza: dando quindi per scontato che le madri ne siano le principali responsabili. Un'altra contraddizione evidente aleggiava nella sala: non solo gli uomini erano assenti da una tavola rotonda sulle pari opportunità e rarissimi tra il pubblico, ma tutto il discorso verteva sulla retorica del jibunrashiku hataraku, ovvero del “lavorare a mio modo”. Non sono stati tirati in causa gli ostacoli che le donne incontrano nel mondo del lavoro o le strategie tramite cui Koike abbia intenzione di lavorare per ridurli, ma è stato invece ripetuto, a partire dal titolo fino agli esempi offerti dalle due relatrici sulla loro carriera, che il modo per ottenere un

work-life balance per le donne è quello di fare un'auto riflessione: capire che cosa si desidera

dalla vita e poi trovare il contesto lavorativo che permette di realizzare quel desiderio. Le due relatrici, Hoshino e Yamashita, la prima una manager della Nissan e la seconda della P&G, hanno raccontato le loro storie e di come siano entrambe riuscite a entrare a far parte delle alte sfere delle rispettive aziende aggirando gli ostacoli. Hoshino, che lavora in un'azienda giapponese con una lunga tradizione, è arrivata alla Nissan e al suo ruolo attuale scegliendo di lasciare l'azienda dove aveva precedentemente lavorato e dove non avevano accontentato la sua richiesta di trasferimento all'estero: le era stato detto che erano solo gli uomini a essere trasferiti e quindi lei ha deciso di licenziarsi per fare due anni di studio all'estero e poi tornare in Giappone. Yamashita invece, ha scelto la P&G, una gaishikei kigyō, ovvero un'azienda estera, perché già sapeva che la sua carriera sarebbe stata più facile che in un'azienda giapponese. Entrambe hanno sottolineato di non aver rinunciato ad avere figli per la carriera. Le loro scelte sono state portate a esempio di come le donne di oggi dovrebbero aggirare gli ostacoli alle loro ambizioni. Koike ha detto a più riprese, in riferimento a questo, che l'obiettivo delle donne non debba essere quello di lavorare come gli uomini ma quello di lavorare a “modo loro”, jibunrashiku. Nelle sue parole torna ancora, come nella Womenomics di Abe, l'eco delle idee novecentesche sulle presunte differenze tra i generi, usate già in passato come giustificazione per la segregazione di genere sul lavoro. Per quanto le parole di Koike possano sembrare ragionevoli, se guardate all'interno del contesto politico e legislativo

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più ampio, in una prospettiva storica e guardando agli effetti di queste politiche fino a ora, questa retorica non può che ricordare una pericolosa arma a doppio taglio.

Per riassumere, gli elementi fondamentali della retorica sulle pari opportunità di Koike sono: in primo luogo, l'assunto che siano le donne ad avere la necessità di conciliare aspirazioni lavorative e un naturale desiderio di avere figli e che la cosa invece non riguardi gli uomini; in secondo luogo, l'assunto che le donne, per queste loro diverse necessità, debbano trovare un modo di lavorare diverso da quello degli uomini; in terzo luogo, che sia responsabilità delle donne impegnarsi nel definire questo diverso modo. Il sistema aziendale, e il modo di lavorare “maschile”, non è quindi stato messo in discussione, ma anzi sono state le donne a essere esortate a cambiare. La governatrice ha salutato il pubblico con l'esortazione: «Continuiamo tutte a impegnarci al massimo».

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Capitolo 2