• Non ci sono risultati.

Shūshoku katsudō e antropopoies

9. Panoptismo, potere “poietico” e agency nello shūshoku katsudō

È importante, in conclusione, sottolineare che intorno alle business manners – in generale a tutte le tecniche del corpo dello shūkatsusei – e alla loro importanza per questa tanto temuta prima impressione, aleggia un alone di mistero: gli studenti non sanno se tutte queste regole siano davvero importanti, se i selezionatori facciano davvero attenzione a tutti questi elementi eppure, che sia vero o meno, tutti gli studenti e le studentesse shūkatsusei hanno una forte consapevolezza di essere sempre “guardati”, anche se non sanno che cosa di loro venga osservato. Con le parole di Rina: «a quanto pare ci osservano» (Rina, Intervista 1).

101

Rina: Mi è capitato di andare [a un colloquio] senza stirare [la camicia]. Ma avevo comprato una di quelle che non devono essere stirate. Però, alla fine, anche quelle hanno qualche piega. E quando sono tornata a casa mia mamma22 mi ha detto “ma come, sei andata senza stirare la

camicia?”. E mi ha detto che devo fare attenzione anche a queste cose, che non posso sapere

che cosa [i selezionatori] osservino di me (Rina, intervista 1).

L'unica informazione che talvolta hanno, se è richiesto esplicitamente nella mail che li invita al colloquio, è se sia il caso o meno di indossare il completo. Anche quando non è richiesto esplicitamente, o addirittura anche quando la convocazione invita a vestirsi liberamente, come è successo ad Ayuko (si veda l'estratto dell'Intervista 1 ad Ayuko riportato all'inizio di questo capitolo), c'è quella che Ayuko e Ai hanno chiamato anmoku ryōkai, letteralmente “tacita comprensione”, del fatto che sia preferibile mettere l'abito.

La questione dello sguardo indagatore dei selezionatori, di cui i candidati sono consapevoli e di cui non conoscono la portata (ma di cui allo stesso tempo sospettano l'onnipervasività) ci porta alla questione del potere “poietico”: quello di chi svolga la funzione di modellamento dei giovani, in questo caso, quell'alleanza di aziende e governo che formano l'enterprise-state giapponese. Gli studenti, infatti – come dimostrano le parole di Rina, le preoccupazioni di Mayu e gli avvertimenti delle lezioni di midashinami – sanno precisamente che tipo di domande gli verranno fatte, ma hanno solo una vaga idea di quello che sarà “guardato”, osservato, di loro. Non possono avere la certezza che sia davvero necessario mettere un completo nero invece che uno blu scuro, o che sia davvero così importante avere i capelli neri, ma tutto quello che gli viene detto, dai senpai, dai genitori, dagli insegnanti, dai commessi dei negozi di abiti da ufficio, insinua in loro il dubbio che tutto questo sia effettivamente osservato dai selezionatori. Bisogna inoltre considerare un elemento, che viene spesso usato per “spaventare” gli studenti durante le lezioni di business manners e di midashinami: la distanza che intercorre tra i selezionatori e i candidati a colloquio. I candidati sarebbero infatti fatti sedere a una distanza sufficiente da poter essere visti in tutta la loro figura dai selezionatori, durante il colloquio. Per questo motivo, dicono i rappresentanti delle agenzie di

recruiting, bisogna fare attenzione a ogni minimo dettaglio del proprio aspetto e della propria

102

postura. Come mi ha detto Mayu, non possono sapere quanto peso abbiano questi elementi sulla decisione finale, ma se lo avessero è preferibile evitare di ridurre le proprie possibilità e adattarsi quindi alle regole.

Si crea dunque questa anmoku ryōkai, tacita comprensione, negli studenti che sia importante comportarsi come tutti gli altri. Lo sguardo indagatore dei selezionatori, insieme alle indicazioni fornite agli studenti da una grande varietà di fonti – i senpai, i genitori, conoscenti

shakaijin, agenzie di recruiting – che si confermano a vicenda, e alla distanza tra selezionatori

e candidati ai colloqui ricordano molto il panopticon di Bentham utilizzato da Foucault come simbolo di un potere, il panoptismo, che sostituisce quello apertamente coercitivo del sovrano con un potere che si auto-riproduce senza “sforzo”, perché saranno proprio gli studenti a “sorvegliare” se stessi, a interiorizzare quello sguardo indagatore e a controllare costantemente il proprio corpo, durante l'attività di shūkatsu, senza che sia nessuno a imporglielo. L'inverificabilità del panoptismo è una caratteristica fondamentale di un potere così strutturato: «the inmate must never know whether he is being looked at any one moment; but he must be sure that he may always be so» (Foucault 1995:201). In questo caso, non è necessario che ci sia quindi un'istituzione che eserciti un potere esplicito, perché chiunque può esercitarlo: gli studenti stessi che interiorizzano, incorporano, lo sguardo del selezionatore, gli studenti che osservano e giudicano gli altri studenti, i genitori che avvertono i figli dei rischi di presentarsi a un colloquio senza rossetto o con una camicia non stirata. Gli shūkatsusei accettano quindi di auto-sorvegliarsi. E per Foucault il panoptismo ha come luogo privilegiato di realizzazione il corpo:

The body of the king, with its strange material and physical presence, with the force that he himself deploys or transmits to some few others, is at the opposite extreme of this new physics of power represented by panopticism; the domain of panopticism is, on the contrary, that whole lower region, that region of irregular bodies, with their details, their multiple movements their heterogeneous forces, their spacial relations (Foucault 1995:208).

Il panoptismo dello shūkatsu opera non solo attraverso il sospetto che lo sguardo dei selezionatori indaghi ogni dettaglio, ma anche attraverso la consapevolezza – che investe molte altre situazioni sociali oltre allo shūkatsu – che risaltare, essere diversi (medatsu) sia

103

qualcosa di negativo. Questo aggiunge una dimensione ulteriore, anche se strettamente legata, alla sorveglianza che gli shūkatsusei interiorizzano, quella della vergogna, che MacLachlan spiega citando lo studio di Fredrickson e Roberts del 1998.

Shame is the entwinement of negative self-evaluations and the fear of this being made public, and this is exactly what our betraying body does when it pushes through a blush. Shame (and its anticipation through an ever-present appearance, where ‘body ideals are taken as moral ideals’ (MacLachlan 2004:177).

Il panoptismo foucaultiano, inoltre, può efficacemente inserirsi anche all'interno della teoria dell'antropopoiesi, laddove Remotti parla di potere “poietico” come del potere di modellare gli altri. Per Remotti il potere “poietico” ha un'azione molte importante, molto forte, all'interno dei processi antropopoietici consapevoli e inconsapevoli dei gruppi, ma non è ineludibile: esiste sempre la possibilità, per i “modellati”, se non di sottrarsi alla plasmazione, di modificare, fino a sovvertire, gli agenti e i modelli di plasmazione. Non potrebbe essere altrimenti: l'antropopoiesi è un compito imprescindibile, una riflessione e un'azione su noi stessi che non cessiamo mai di operare, e anche quando ne affidiamo una parte ad “altri” – le istituzioni, la religione, gli anziani del gruppo – non cessa mai di essere una cosa che ognuno di noi attivamente fa. Allo stesso modo gli shūkatsusei possono scegliere, per esempio, di sottrarsi del tutto al temuto sguardo indagatore del selezionatore dell'azienda giapponese e mandare la sua candidatura solamente ad aziende internazionali o a start up, come ha fatto Ayuko. Oppure possono imparare le tecniche del corpo dello shūkatsusei, seguire il codice di comportamento adeguato, ma con la consapevolezza che questo per loro è solo un mezzo per un fine, quello di “accontentare” i selezionatori ed ottenere il posto, come ha fatto Ai, che non ha mai smesso di mettere in discussione le business manners.

A questo punto, anche all'interno di una visione del potere, quella foucaultiana, che lo immagina come una rete multifocale e non come un nucleo ben identificabile, sorge spontaneo chiedersi chi sia a beneficiare del disciplinamento dei corpi degli shūkatsusei, dei giovani giapponesi. Fu lo stesso Foucault a evidenziare il collegamento tra capitalismo e disciplina (nella forma del panoptismo), tra produzione e controllo della popolazione.

104

If the economic take-off of the West began with the techniques that made possible the accumulation of capital, it might perhaps be said that the methods for administering the accumulation of men made possible a political take-off in relation to the traditional, ritual, costly, violent forms of power, which soon fell into disuse and were superseded by a subtle, calculated technology of subjection. In fact, the two processes – the accumulation of men and

the accumulation of capital – cannot be separated; it would not have been possible to solve the

problem of accumulation of men without the growth of an apparatus of production capable of both sustaining them and using them; conversely, the techniques that made the cumulative multiplicity of men useful accelerated the accumulation of capital. (…) Let us say that discipline is the unitary technique by which the body is reduced as a 'political' force at the least cost and maximized as a useful force. The growth of a capitalist economy gave rise to the specific modality of disciplinary power, whose general formulas, techniques of submitting forces and bodies, in short, 'political anatomy', could be operated in the most diverse political régimes, apparatuses or institutions (Foucault 1995:220-221, corsivo mio).

Nel contesto dello shūkatsu, sono sicuramente le aziende, e in definitiva l'enterprise-state, a beneficiare di questa disciplina, poiché potranno così riprodursi e riprodurre la loro forza- lavoro, accorpando nel loro organico, idealmente, individui adatti a inserirsi nella gerarchia aziendale senza metterla in discussione. Il progetto antropopoietico che le aziende giapponesi attuano nello shūkatsu ha lo scopo di produrre corpi docili: apprendendo le tecniche del corpo dello shakaijin gli studenti si uniformano tra loro e all'immagine del sarariiman stereotipico. I loro corpi, prima liberi di assumere qualsiasi “forma”, si solidificano in rigidi movimenti, prendendo quella, precisa, dello shakaijin. Il mindful-body così prodotto è uno talmente controllato, sorvegliato e trattenuto nei suoi movimenti e nella sua espressione che non può non produrre una predisposizione all'umiltà e all'obbedienza: ogni parte del proprio corpo deve saper dimostrare rispetto per i superiori e consapevolezza del proprio grado. I ragazzi e le ragazze che, finito lo shūkatsu, si apprestano a entrare in un'azienda giapponese sono stati forgiati per essere compiacenti con il sistema in vigore: i neoassunti non decideranno loro in quale città lavoreranno, non decideranno che tipo di lavoro svolgeranno, non gli verranno affidati lavori di responsabilità finché non avranno raggiunto il livello di anzianità necessario, il loro stipendio sarà basso, si troveranno sul gradino più basso della gerarchia aziendale e la loro opinione non sarà richiesta. Per diversi anni dall'assunzione il loro potere decisionale riguardo il loro lavoro sarà nullo e questo perché le aziende giapponesi rispondono in questo modo agli effetti negativi causati dall'immobilità del mercato del lavoro e dalla costante

105

carenza di personale, dovuta anche al rapido invecchiamento della popolazione: disponendo liberamente dei propri dipendenti, che dovranno essere il più flessibili possibile nel sacrificarsi per il bene dell'azienda. Si capisce quindi come sia importante che i mindful-

bodies dei nuovi assunti debbano essere, per non destabilizzare queste strutture così rigide e

gerarchiche, perfettamente inquadrati nel sistema preesistente. Come in un esercito, devono imparare il valore dell'ordine, della disciplina, del rispetto dei gradi, imparare a credere nella

mission dell'azienda e nel loro ruolo di pedine di cui l'azienda dispone. Come in un esercito,

anche sul lavoro il disciplinamento del corpo è essenziale per raggiungere tale scopo.

Questo potere antropopoietico, però, non è un meccanismo perfetto ma ha sempre dei limiti, nonostante le fila di shūkatsusei tutti somiglianti, nell'aspetto e nei comportamenti gli uni agli altri, possano far pensare a una perfetta omologazione. Alcuni la rifiutano del tutto, come Ayuko che ha scelto una start up molto diversa dalle aziende tradizionali giapponesi, o Nanaka che ha deciso di continuare a studiare. Alcuni la criticano, come Yongh Ah, che non ha voluto vestire secondo il suo gusto durante lo shūkatsu. Altri la considerano un mezzo per un fine e non vi si identificano completamente, come Kanae, che alla fine, cambiando negozio, è riuscita a comprare il completo blu che voleva. «Non c'è altro da fare» diceva Mayu relativamente al colore dei capelli (Mayu, Intervista 1), eppure anche laddove non sembra esserci, sembra esserci, gli shūkatsusei trovano il modo di scegliere.

106

Capitolo 3