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Naturalizzazione dell'istinto materno nello shūshoku katsudō

11. Work-life balance e agency

Nonostante venga esercitato questo forte potere antropopoietico su ragazze e ragazzi proprio durante lo shūkatsu, l'antropopoiesi è comunque un'azione di costruzione dell'individuo su se stesso. Gli shūkatsusei sono sì, modellati, condizionati nelle loro scelte da un'azione antropopoietica esterna, ma ciò non toglie che possano trovare comunque i modi di raggiungere i loro obiettivi: il controllo non è mai perfetto, né totale, e prevede sempre, inevitabilmente, una resistenza. Quella che avviene durante lo shūkatsu è una negoziazione, tra studenti e aziende, della loro futura identità di shakaijin.

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Con tre delle mie interlocutrici, Mayu, Kanae e Ai, abbiamo parlato a lungo delle loro ambizioni, della carriera che volevano costruire e delle loro idee sulla famiglia e i figli. Tutte loro, nonostante fossero evidentemente influenzate dalla retorica sessista del work-life

balance, mi hanno dimostrato ambizione e una notevole maturità nel loro riconoscere i

problemi che dovranno affrontare per ottenere quello che vogliono, sul lavoro e nella vita privata. Ad esempio, Mayu mi ha detto più volte di non sopportare l'idea che le donne debbano fare certe cose e gli uomini altre, e riguardo il lavoro domestico mi ha detto che sapeva come sia difficile trovare un partner che sia disposto a dividerne l'onere, e che avrebbe probabilmente dovuto assumersene lei tutto il carico, ma, ha anche aggiunto: «demo tatakai

wa shimasu», «ma combatterò».

Mayu: [Mia nonna] si dedicava moltissimo alla casa. E ai bambini, non io ma mia madre. Era davvero una donna tutta d'un pezzo. Se penso a mia nonna trovo che sia ammirevole, e penso che voglio essere come lei. Ma non sopporterei di farlo solo perché sono una donna ed è dato per scontato. E quindi anche per le faccende, se fosse possibile, vorrei fare a metà. Io li farei, sicuramente, se lui mi aiutasse... Se si potesse fare a metà lo farei.

Anna: Quando dici “se è possibile”, da cosa dipende?

M: Bè, dal partner, no? Insomma, anche se la donna lavora tanto quanto, deve fare lei i mestieri di casa. Io penso che questo sia assurdo. E mi dà anche fastidio che si parli di “aiutare”. Mi infastidisce anche quel modo di ragionare. Se si parla di aiutare si tratta di alleviare, un po', il carico di lavoro dell'altro, no? A me non piace affatto l'idea che le donne devono fare i mestieri, ma che questa idea ci sia è una realtà. Anche se a me non piace (Mayu, Intervista 3).

Ai, relativamente alla sua prima scelta lavorativa, mi ha spiegato che sì, si informava sul sistema assistenziale delle aziende per non trovarsi poi in difficoltà se avrà dei figli, ma anche che non era tra le sue priorità per scegliere un lavoro. Ha inoltre dimostrato di essere molto consapevole del rischio che, nonostante le tante belle parole dei rappresentanti aziendali, la realtà dei fatti resti difficile per i dipendenti con figli, e proprio per questo ha deciso di scegliere in base ad altri criteri, come lo stipendio e il numero di dipendenti donne in posizioni manageriali.

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Anna: Quando inizierai a lavorare, vorresti fare carriera? Vorresti arrivare in alto?

Ai: Sì, vorrei arrivare in alto. Però ho sentito spesso che se sei donna è difficile fare carriera, e visto che la cosa mi infastidisce, mi informo anche su quello. Su come hanno fatto [ad arrivare lì] le dirigenti donna, in che modo le donne riescono a fare carriera, e le percentuali. E guardando le percentuali cerco di capire se sia così o meno. A volte faccio qualche domanda [alle aziende], le faccio assolutamente. Io non voglio ritrovarmi tra due o tre anni a fare le stesse cose che farò da neoassunta, non mi piacerebbe. Pian piano vorrei crescere [all'interno dell'azienda], vorrei pian piano iniziare a fare cose nuove, voglio arrivare a fare un lavoro di responsabilità. Quello è un tipo di lavoro che ha dei rischi, ma le responsabilità hanno sempre dei rischi quindi sarà sempre più difficile, ma io voglio fare questo tipo di lavoro (Ai, Intervista 1).

L'ultimo esempio di determinazione, consapevolezza e coraggio che vorrei fare è quello di Kanae, una ragazza la cui combinazione di una grande gentilezza e una altrettanto grande forza d'animo mi ha sempre colpita molto.

Anna: [Parlando degli uomini che chiamano le donne yajū] Ma cosa pensi dei ragazzi che la pensano così?

Kanae: Che pensano così?

A: Che pensano che le donne che lavorano tanto non sono kawaii.

K: Che sono vecchi. Vecchi. Penso che sia un modo di pensare del passato. A: Ma i ragazzi giovani pensano queste cose? La pensano così?

K: I giovani? Non penso dipenda dall'età, dipende dalla persona. E sicuramente la generazione dei nostri nonni e dei nostri padri, tra gli uomini più anziani ce ne sono tanti che la pensano così. In passato funzionava così, che le donne sposate non lavoravano e stavano a casa a fare i mestieri.

A: E gli uomini di oggi?

K: Gli uomini di oggi stanno accettando il fatto che anche le donne lavorino, senza differenze, credo. Ma credo ci siano ancora quelli che pensano che [quelle donne] siano delle yajū. Io non voglio che mi chiamino così... È interessante?

A: Sì! Il fatto che [le donne] lavorino allo stesso modo [degli uomini], non gli guadagna il loro rispetto?

K: Penso che ti rispettino anche. A: Ma non ti vedono come una donna.

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K: Esatto. Ti vedono allo stesso modo, come un pari. Ti rispettano, entrano in competizione con te. Ma non ti vedono come una donna. Anche se io non lo so per certo. Se mi dicessero quella cosa, non vorrei lavorare...

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A: E se ti chiamano yajū?

K: Vediamo, bè mi impegnerei perché non mi chiamino così. A: Cioè, cosa faresti?

K: Non saprei. Non gli farei vedere che mi impegno. Non lo so... A: Sembra difficile.

K: Lavorerei “di soppiatto” (Kanae, Intervista 2).

Kanae, che in altre interviste mi aveva parlato della sua ambizione di crescere in un'azienda fino ad arrivare a dirigere un team, accetta le conseguenze inevitabili della sua scelta di entrare nel sōgōshoku e quindi il rischio di essere assimilata alla cultura “maschile” dell'azienda, di non essere considerata una donna e per questo presa in giro e insultata solo per aver dimostrato di essere forte e dedita al lavoro quanto un uomo. Non per questo Kanae ha rinunciato a seguire la sua strada, ed è stata assunta da un'azienda molto prestigiosa, la Daiwa Securities, nella traccia sōgōshoku.

17 Questa parte dell'intervista è stata omessa per questioni di spazio. Per il passaggio completo si veda Kanae,

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Capitolo 4