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Prescrizione estetica e antropopoiesi dell'identità femminile nello

1. Il trucco per lo shūkatsu

Le agenzie di recruiting, le stesse che organizzano le fiere del lavoro, predispongono dei

seminar, lezioni, su vari aspetti dello shūkatsu: quelli sul work-life balance sono già stati

esaminati, ma ce ne sono altri che riguardano la jikobunseki, la “autoanalisi” degli studenti, la scrittura delle candidature o il modo di sostenere un colloquio. Tra questi ne esistono di specifici sul trucco per lo shūkatsu, che a volte sono a sé stanti e altre sono all'interno di lezioni sul midashinami, che si aggiungono a una lunga serie di riviste, libri e pagine web sullo stesso argomento. In questi seminar predisposti per le ragazze che possono durare anche delle ore, esperti truccatori e formatori spiegano alle studentesse che tipo di trucco sia appropriato e quale sia fuori luogo per la ricerca di lavoro. Il midashinami delle ragazze è molto più complesso perché si estende al volto e include quindi molte più regole e prescrizioni di quello maschile. Il primo esempio, di questa differenza, che ho incontrato sono i volantini di Aoyama, uno dei due negozi di abiti da ufficio dove quasi tutti i ragazzi acquistano i loro completi: nell'area dell'emporio di Waseda dedicata allo shūkatsu, dove sono esposti gli abiti maschili e femminili, si trovano dei volantini del negozio contenenti buoni sconto per il “pacchetto shūkatsu” tutto compreso e indicazioni sui principali criteri da rispettare quando si compra un completo e i vari accessori. Su una pagina c'è la foto di un modello uomo, sull'altra una modella donna: la spiegazione del midashinami delle donne

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occupa molto più spazio, quasi il doppio di quello dedicato agli uomini, e a motivare questa sproporzione è tutta la parte relativa al trucco.

Durante la ricerca sul campo, una volta capita l'importanza del trucco per lo shūkatsu e scoperti questi eventi, ho preso parte a moltissime lezioni di trucco, che di solito si concentrano nei primi mesi dello shūkatsu, quando le grandi aziende devono ancora iniziare le loro selezioni ufficiali e si respira un aria rilassata mentre gli studenti si preparano ad affrontare la ricerca di lavoro, ma non hanno ancora le agende piene di setsumeikai e colloqui come succederà a partire da marzo. Come per la mia prima setsumeikai per ragazze, anche gli eventi relativi al trucco non ho dovuto cercarli: mi sono imbattuta in essi. Alle prime lezioni facevo molta fatica ad annotare, o anche solo a ricordare, tutte le istruzioni che ricevevamo: erano tantissime, sembrava che il viso truccato di una donna dovesse rispettare talmente tanti criteri che solo una specialista, una truccatrice, poteva ricordarli tutti. Quando mi guardavo intorno, nel pubblico sempre pienissimo di questi interventi, vedevo che anche le altre ragazze, nonostante non avessero come me un interesse a documentare la lezione in corso, prendevano disperatamente appunti, cercando di annotare tutti i dettagli, che nemmeno loro conoscevano. Come per le business manners o le shūkatsu manners, anche per il trucco si tratta di una tecnica del corpo: tutti quei minuziosi gesti, quell'attenzione al minimo dettaglio del proprio viso, la scelta dei colori e il disegno delle linee del viso sono un apparato complesso di tecniche che le shūkatsusei devono incorporare. Proprio come me, le ragazze che frequentavano queste lezioni si trovavano confuse e frastornate di fronte a tutti questi gesti che avrebbero dovuto imparare.

La lezione più completa a cui io abbia assistito si è svolta all'interno di una fiera del lavoro a Shibuya, era tenuta da una truccatrice della Shiseido, il più importante produttore giapponese di cosmetica, e prevedeva addirittura una dimostrazione su una modella. La sala, che avrà contenuto un centinaio di posti, era piena, e le ultime arrivate, che non erano riuscite a trovare posto, riempivano ogni spazio libero lungo le pareti. Quasi tutte prendevano appunti mentre la truccatrice spiegava lo scopo del trucco nello shūkatsu. Iniziò il discorso come ogni evento sul midashinami a cui sia mai stata: con una spiegazione pseudoscientifica di quanto sia

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importante la prima impressione che gli shūkatsusei danno ai selezionatori e con la spiegazione della differenza tra oshare – il modo in cui decidi del tuo aspetto in base ai tuoi gusti, alla moda del momento, e in cui ti vesti e ti trucchi per te stessa, per essere più carina – e midashinami – il modo in cui scegli di apparire quando tieni in considerazione le persone che avrai di fronte, quello che loro penseranno e vuoi presentarti al meglio. Lungi dall'essere una questione superficiale, nonostante riguardi pur sempre la “superficie” dei corpi, la truccatrice ci ha spiegato che il midashinami serve a mostrare agli altri le proprie caratteristiche interiori («jibun no nakami»). In particolare, ci sono tre caratteristiche che una

shūkatsusei deve dimostrare di avere attraverso il suo viso truccato: seiketsukan, pulizia

esteriore (sintomo di affidabilità) e interiore (onestà, chiarezza); iyoku, volontà, entusiasmo; e

chisei, intelligenza. Spesso le mie interlocutrici hanno usato gli stessi termini, o parole

analoghe, per descrivermi il messaggio che un volto truccato deve comunicare ai selezionatori e cosa sia considerato, di conseguenza, inappropriato.

Anna: Quindi il trucco, l'attenzione per il proprio aspetto fisico non è per apparire più bella? Rina: Kichinto, seiketsukan, apparire in forze, in salute, sono le cose importanti. Essere sorridenti. Ma per esempio l'eyeliner non si deve vedere troppo, non come l'ho messo io oggi. Deve arrivare fin qui [all'angolo esterno dell'occhio], l'eyeliner. Io per lo shūkatsu ho usato l'eyeliner marrone. A quanto pare il nero ti fa sembrare un po' arcigna, quindi io ho usato il marrone.

A: Cosa succede se ti trucchi troppo?

R: Se ti trucchi troppo... Vediamo. Sicuramente non va bene. E poi nei libri sullo shūkatsu c'è scritto che [il trucco] deve essere naturale. E poi, bisogna farsi le foto, no? Per gli entry

sheets1. Anche lì [negli studi fotografici] di solito ti truccano, io mi sono fatta truccare. Anche allora mi hanno detto che l'ombretto deve essere di un certo colore, per il fondotinta bisogna usare questa precisa quantità, di questo colore. Se ti trucchi troppo sembra che tu debba uscire. Quindi è una cosa diversa (Rina, Intervista 1).

Finita l'introduzione, iniziò la dimostrazione sulla modella, che per tutta quella mezz'ora mantenne la stessa posizione sulla sedia e la stessa espressione sul viso, un sorriso appena

1 Come per i curriculum vitae in Italia, in Giappone va allegata una fototessera agli entry sheets, i moduli con

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accennato e artificiale. Cominciò dalla “base”, un liquido che si stende sul viso per far sì che il trucco che si applicherà sopra di esso si mantenga il più a lungo possibile: infatti, per le

shūkatsusei il dover mantenere il trucco intatto per tutta la giornata è un problema

considerevole. Spesso non c'è il tempo di ritoccare il trucco, che comunque, consigliava, bisogna sorvegliare costantemente per assicurarsi che non ci siano sbavature. A proposito di questo, la signora Sakai, una truccatrice che ha tenuto la prima lezione sul trucco per lo

shūkatsu che io abbia seguito, ci aveva avvisate: se non siamo disposte a ritoccare

costantemente il trucco, non ha senso truccarsi affatto.

Dopodiché, procedette con il fondotinta, una crema colorata, che a detta sua non era obbligatorio usare ma è utile per coprire le occhiaie e gli eventuali nikibi, brufoli: non nasconderli potrebbe dare un'impressione di trascuratezza. Per fissare il fondotinta, applicò una cipria. Passò poi alle sopracciglia, una parte del viso che, poiché lo avevo ormai imparato, sapevo essere fondamentale: possono cambiare l'espressione del viso e coprirle con una frangia o non scurirle con una matita potrebbe quindi non far trasparire dal volto le caratteristiche delle shūkatsusei, attraverso le sue espressioni. Si dovrà quindi disegnare la linea delle sopracciglia con una matita di una sfumatura marrone leggermente più chiara del proprio colore di capelli (il nero sarebbe troppo scuro, e per lo shūkatsu consigliano di non usare mai colori vivaci o troppo decisi), seguendo un preciso schema: il mayuyama, la parte più alta dell'arco delle sopracciglia dovrà essere disegnato proprio sopra la linea immaginaria che parte dell'angolo esterno dell'occhio, e le due estremità dovranno essere alla stessa altezza. Il colore non dovrà essere omogeneo, ma dovrà essere più scuro verso l'attaccatura del naso, più chiaro verso le tempie, e lo spessore dovrà superare leggermente quello delle vere sopracciglia.

Si dedicò poi agli occhi. Ci raccomandò di usare un piegaciglia, perché se le ciglia non sono arricciate verso l'alto ma puntano in basso tendono a dare un aspetto serioso allo sguardo. Ha poi applicato un eyeliner per disegnare la linea degli occhi: va disegnata solo sulla palpebra superiore, perché applicarla anche a quella inferiori non sarebbe “naturale”; deve essere molto sottile e non estendersi oltre l'angolo esterno dell'occhio; deve essere di colore marrone scuro

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e non nero (perché, ancora una volta, il nero sarebbe troppo vistoso). Sulle palpebre va applicato un ombretto che può essere soltanto una sfumatura di beige o di rosa: qualsiasi altro colore sarebbe inappropriato in quanto innaturale. Per finire, va poi applicato il mascara, che deve essere waterproof, per evitare che si sciolga macchiando le palpebre di nero durante un colloquio. Per le guance ancora una volta la sua spiegazione si fece molto schematica e precisa e ci mostrò che la linea immaginaria su cui dovevamo applicare il blush, che doveva essere di un colore aranciato per dare un'impressione di “freschezza”, era quella che partiva dall'orecchio e arrivava fino alla punta del naso. Il rossetto, infine, non può essere lucido, ed è consigliabile indossarne uno di una delicata sfumatura di rosa o di arancione.

La sua spiegazione, che constava anche di tutti i gesti con cui applicare tutti questi prodotti e che si è dilungata molto di più sui colori da scegliere o sulle linee da seguire di quanto io potessi annotare, per alcuni elementi si distanziava da altre lezioni a cui ho assistito, che non sono state sempre uguali fra loro, ma conteneva una serie di costanti del discorso sul trucco per lo shūkatsu: i colori devono essere “naturali”, ovvero sfumature di rosa e marrone, mentre i colori più decisi sono considerati inappropriati; il trucco deve essere visibile, ma non deve essere particolare o “eccessivo”; l'immagine che il volto truccato deve trasmettere è una di

seiketsukan, “pulizia” ma anche “onestà”, “chiarezza”; l'apparente scientificità delle regole

del trucco per lo shūkatsu, illustrate con schemi e presentate come universali.

Bisogna tenere presente che, come è chiaro se consideriamo che a tenere questa lezione era un'azienda di prodotti cosmetici, c'è anche un aspetto economico del trucco per lo shūkatsu, così come per gli abiti: le aziende che tengono queste lezioni hanno degli interessi economici nel predisporre tali eventi per le shūkatsusei, che quindi compreranno i loro prodotti. Ma questo non basta a spiegarne l'esistenza, il numero di ragazze che prendono parte a queste lezioni e il fatto che la totalità di esse sia consapevole di come sia necessario truccarsi per affrontare un colloquio e, alla lunga, per affrontare la vita lavorativa in generale. Infatti, per quanto siano numerose le ragazze che seguono queste lezioni, molte di più sono quelle che non le seguono (solo Ai, tra le mie interlocutrici era stata a uno di quei seminar), e il motivo è che non ne hanno bisogno: sanno già come truccarsi e, soprattutto, sanno come truccarsi per

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lo shūkatsu. È chiaro quindi che, in primo luogo, come c'è un'offerta c'è anche una richiesta di queste lezioni di trucco e, in secondo luogo, non è solo in quel contesto che le ragazze vengono istruite sull'argomento e sull'obbligo a truccarsi.