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Shūshoku katsudō e antropopoies

6. Le tecniche del corpo degli shūkatsuse

Anna: Quando vai a un colloquio, qual è il giusto aspetto da avere, i giusti abiti da indossare?

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Ai17: Completo, trucco, capelli legati. A farla breve sono

queste tre cose. E il modo in cui porti la borsa. Non così [fa finta di portare una borsa a spalla], ma sarebbe meglio portarla così [piega il braccio e mi indica l'incavo del gomito]. Non va portata a spalla quando ti siedi, la devi appoggiare ai tuoi piedi, mi hanno detto. E poi devi tenere le gambe unite. È meglio indossare la gonna. Mi arrivano un sacco di informazioni. Chissà perché bisogna fare tutte queste cose. An: C'è questa cosa che si chiama business manners giusto? Sul modo di sedersi...

Ai: Sì. Il modo di sedersi per le ragazze è a gambe chiuse, ti dicono “non apritele assolutamente, eh?”, e anche se ti stanchi devi tenere le gambe ferme, devi tenere la schiena dritta come un fuso. E poi, mi hanno detto che anche l'aspetto è molto importante. E quindi il trucco. Io non mi trucco, vedi? Mi hanno detto che è meglio se mi trucco. Mi hanno detto che minimo minimo devi mettere il rossetto e disegnare le sopracciglia, e quindi è quello che faccio. E mi hanno detto che se hai i capelli lunghi li devi raccogliere.

An: E il colore dei capelli?

Ai: Del colore dei capelli non hanno detto niente però forse è implicito che è meglio averli scuri, no? (Ai, Intervista 1).

Gli studenti shūkatsusei devono acquisire una serie di tecniche del corpo per avere successo nello shūkatsu, e le università così come le aziende di recruiting, gli forniscono gli insegnamenti necessari tramite i corsi di shūkatsu manners: dei corsi dalla durata variabile (un massimo di un'ora e mezza, secondo la mia esperienza) in cui un esperto in materia spiega a ragazzi e ragazze come devono comportarsi durante gli incontri più o meno formali con le aziende e durante i colloqui per fare una buona impressione ai selezionatori.

17 Ai Nishimura, 20 anni. Al momento dell'intervista era al terzo anno del corso di Global Communication della

Musashino University, un'università minore di Tokyo (e per questo motivo il suo shūkatsu è stato forse più difficile, a quanto mi ha raccontato, delle altre interlocutrici). Ai ha vissuto all'estero, in diversi paesi dell'Asia, per tutta la sua infanzia, ed è tornata in Giappone quando era al liceo. Ci siamo conosciute a una fiera del lavoro al Tokyo Big Sight, che non distava molto dal campus della sua università, e quando le ho parlato della mia ricerca si è interessata molto e ha accettato di essere intervistata. Con Ai c'è stata subito molta confidenza e, anche se i nostri colloqui si sono limitati a due perché lei abitava a Yokohama e non frequentava molto Tokyo, si è subito instaurato un dialogo coinvolgente e interessante per entrambe.

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Non si tratta di un codice di comportamento da seguire solo durante lo shūkatsu: infatti le

shūkatsu manners sono più spesso chiamate business manners o shakaijin manners. Si tratta

dunque di quell'insieme di tecniche del corpo che lo shakaijin utilizzerà sul lavoro per interagire con i superiori, i colleghi senior o i clienti. Esiste però una differenza: se per gli

shakaijin questo codice è rispettato più o meno rigorosamente in base alla formalità della

situazione e alla gerarchia della relazione, per gli shūkatsusei, vista la loro posizione di ultimi arrivati nel mondo aziendale, dovrà essere applicato con il maggior grado di precisione. Queste tecniche regolano dall'uso delle parole, nel parlato e nello scritto, al modo di stare in piedi, di sedersi, di salutare, di inchinarsi; dall'intonazione della voce al modo di fare una telefonata o di scrivere una e-mail. Durante i nove mesi di ricerca sul campo ho avuto modo di andare a molti corsi di shūkatsu manners e di sperimentare in prima persona la difficoltà del tenere a mente tutti quei gesti. La lezione più completa a cui io sia mai stata, e anche quella più lunga, è stata quella organizzata proprio dall'università Waseda e tenuta dall'azienda Career Asset.

Era dicembre e avevo già avuto modo di partecipare a molti altri eventi del genere, ma quello di Waseda aveva fatto il record di presenze, nella mia esperienza: con un calcolo approssimativo potevo contare circa ottanta studenti e studentesse che ascoltavano attentamente e prendevano appunti mentre la rappresentante di Career Asset faceva la sua lunga, dettagliata spiegazione e ci faceva alzare in piedi per esercitarci nell'assumere le giuste posture. Tutte le lezioni di questo tipo a cui io sia stata sono iniziate nello stesso modo, ovvero parlando dell'importanza della dai ichi inshō, della prima impressione, per superare con successo le selezioni. Tutti, inoltre, citavano immancabilmente uno studio (di cui nessuno riportava mai la fonte) che dimostrerebbe come l'impressione che l'altro ha di noi a un primo impatto sia estremamente difficile da cambiare una volta formata, e che a crearsi impieghi non più di una manciata di secondi. Sarebbe quindi molto importante, affinché un colloquio abbia un esito positivo, fare attenzione a ogni dettaglio del proprio comportamento e controllare ogni parte del proprio corpo.

Durante la lezione a Waseda ci hanno spiegato come sia maleducazione entrare nell'edificio dove avrà luogo la selezione o la presentazione dell'azienda senza prima togliersi il cappotto.

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Avere questo riguardo significa che il candidato non porterà così lo sporco dell'ambiente esterno, depositato sul soprabito, all'interno di un luogo in cui è ospite e in cui deve dimostrare rispetto. Per cui è bene togliere, piegare con cura il cappotto e portarlo sull'avambraccio in modo che sia la fodera a essere rivolta verso l'esterno, la parte esterna “sporca” nascosta.

C'è inoltre una postura specifica da tenere quando si è in piedi, diversa per ragazzi e ragazze. Una ragazza, quando in piedi, deve tenere le gambe unite e separare leggermente le punte dei piedi. Le spalle devono essere rilassate e le mani devono sovrapporsi, con le dita unite e tese, appena sotto l'ombelico. Invece i ragazzi devono, al contrario, tenere le gambe leggermente aperte e lasciare le braccia lungo i fianchi tenendo le dita delle mani tese e unite. Anche la posizione da tenere quando ci si siede, anch'essa regolata nel dettaglio, è diversa in base al sesso. Ragazzi e ragazze devono entrambi evitare di appoggiarsi allo schienale sedendosi a metà della sedia, tenendo la schiena sempre ben dritta e le spalle rilassate, mentre le ginocchia devono descrivere un angolo di novanta gradi. Le ragazze, a cui si consiglia di indossare sempre la gonna per i colloqui per mostrare la loro onnarashisa, femminilità, in posizione seduta devono ancora una volta tenere le gambe unite, fare attenzione che la gonna non si alzi più di cinque centimetri sopra al ginocchio e appoggiare con delicatezza le mani sovrapposte in grembo, alla metà della lunghezza della coscia, con le dita ancora una volta tese e unite. Ai ragazzi, al contrario, si dice di evitare di assumere una posizione simile a quella appena descritta per evitare di risultare kawaiirashii, femminili18. Dovranno quindi tenere le gambe leggermente aperte e appoggiarvi le mani, vicino alle ginocchia, mantenendo le dita in un pugno rilassato (per il risultato finale, si vedano le fig. 2 e 3). Ragazzi e ragazze dovranno inoltre sforzarsi di mantenere costantemente un sorriso gentile e rilassato, di parlare in modo chiaro, senza mangiarsi le parole e con voce stentorea, e di usare con molta attenzione sonkeigo, il linguaggio onorifico usato per parlare dell'altro, e kenjōgo, il

18 Ho deciso di tradurre questa parola con l'aggettivo «femminile» anche se la parola kawaii (-rashii è aggiunto

all'aggettivo kawaii e rende una sfumatura di “impressione” o “percezione”, ovvero un “sembrare” kawaii) di per sé significhi “carino”. Infatti, kawaii è un aggettivo che è più spesso riferito alle ragazze, ai bambini, agli animali o agli oggetti che ai ragazzi o agli uomini, e il modo in cui l'istruttrice si è rivolta al pubblico maschile in occasione del corso tenuto a Waseda a cui mi riferisco nel testo sottintendeva chiaramente che assumere una posizione simile a quella delle ragazze avrebbe oltrepassato il confine di quello che è socialmente ritenuto appropriato per il loro genere.

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linguaggio umilifico usato per parlare di sé. Per mostrare rispetto, inoltre, sarà il caso di cambiare alcune delle parole che si usano nel contesto quotidiano con i corrispettivi più formali: ad esempio i pronomi per dire «io» – ore, boku, watashi, jibun – dovranno essere sostituiti dal più altisonante watakushi. Tutti questi aggiustamenti della posizione del proprio corpo e del proprio comportamento costituiscono una complicata costellazione di gesti che scolpiscono il corpo degli shūkatsusei in posizioni rigide e molto riconoscibili che li rendono identici gli uni agli altri. Non sono un semplice insieme di regole, così come acquisirli e metterli in atto non è una semplice esecuzione: questi moltissimi gesti sono imparati e poi “dimenticati” dagli shūkatsusei, sono tecniche del corpo che si inscrivono nella loro carne.

Fig. 2 La foto, tratta dal sito Intame, ritrae tre studenti a un colloquio nella posizione seduta diversa per ragazzi e ragazze. Per il link si veda la sitografia.

Non solo, ma quello che gli studenti vanno apprendendo è un modo di essere-nel-mondo, una

forma mentis, un habitus che li colloca all'interno di una struttura gerarchica, quella aziendale,

di cui devono essere pienamente consapevoli e in base alle quale devono modificare il loro aspetto e il loro comportamento, per avere successo nella selezione: molta parte di quello che viene considerato dei candidati è proprio la misura in cui sono in grado di controllare e ordinare il loro corpo.

Le tecniche del corpo dello shūkatsusei, le business manners, sono essenziali al suo ingresso nel mondo degli adulti sociali, gli shakaijin, e non saranno mai del tutto abbandonate ma anzi contribuiranno a forgiare quel mindful body, quel corpo-mente, che lavorerà per l'azienda. Incorporare tutte queste tecniche ha l'effetto di regolare l'ingresso degli studenti, che prima ne

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Fig. 3 Una pagina della rivista “Shūkatsu Beauty Book” (volume del 2014-15) spiega come le ragazze dovrebbero congedarsi dopo il colloquio: da come dovrebbero alzarsi dalla sedia a come dovrebbero salutare e chiudere la porta.

erano al di fuori e non dovevano rispettarne le regole, nel mondo aziendale. Almeno per quanto riguarda le aziende giapponesi (le aziende straniere e le start up potrebbero essere diverse), si inseriranno all'interno di una gerarchia ben precisa, all'interno della quale, essendo gli ultimi arrivati, si troveranno alla base: dovranno esprimerlo con il loro aspetto, il loro comportamento e le loro parole. Mentre i membri senior dell'azienda possono, a mano a mano che diventano dipendenti anziani e vengono promossi, abbandonare molte di queste tecniche (anche se dovranno sempre rispettarle nei confronti dei loro superiori), i neoassunti le dovranno praticare tutte. E quello dello shūkatsu è il momento in cui gli studenti dovranno in assoluto essere più precisi nel rispettare le business manners.

Infatti, al momento dei colloqui l'atteggiamento dei selezionatori così come quello degli studenti cambierà molto: se durante le fiere del lavoro e le setsumeikai delle aziende erano i

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responsabili delle risorse umane a profondersi in gentilezze ed inchini per guadagnarsi le simpatie degli studenti che invece – a seconda della formalità dell'incontro – non si preoccupavano di dimostrare un particolare rispetto con il loro corpo, durante i colloqui la situazione sarà ribaltata e saranno gli studenti a dover dimostrare il maggior grado di rispetto per fare una buona impressione.

L'incorporazione di queste tecniche del corpo produce un certo tipo di consapevolezza, di disposizione nello studente e nella studentessa, la consapevolezza di dover essere umile, dimostrando umiltà, e di dover portare rispetto, nel dimostrarsi rispettosi. Quest'insieme complesso di tecniche che lo studente imparerà ma che difficilmente, per il loro alto numero, potrà mai controllare completamente, mette il giovane in condizione di non potersi rilassare, di essere in soggezione nei confronti dell'altro. L'azione sul corpo produce una trasformazione, è un'operazione di antropopoiesi sullo shūkatsusei: una trasformazione che, attraverso un'azione sul corpo-mente degli studenti, è prodotta da una consapevolezza del loro nuovo modo di essere-nel-mondo, quello dello shakaijin.

Prima ancora di sapere che ci fosse un'esplicita codificazione della postura da assumere durante una situazione formale all'interno dello shūkatsu, mi sono trovata in una di queste situazioni e ho potuto osservare queste rigide posture e il contegno degli shūkatsusei con occhi ancora ingenui e avvertendo sulla mia pelle il disagio che l'essere diversa dagli altri provoca nello shūkatsu. Mi trovavo a un seminario in un grattacielo molto elegante di Otemachi quando ho notato per la prima volta e con un certo disagio che tutte le ragazze presenti (era un evento per sole ragazze) erano sedute allo stesso modo e con una rigidità che io non riuscivo, neanche facendo del mio meglio, a emulare. L'evento era chiaramente più formale degli altri a cui ero già stata, nonostante fosse ancora ottobre. Tutto di quell'incontro ne segnalava la serietà, a partire dalla sede, il gigantesco grattacielo lussuoso, austero e completamente vuoto, uno scheletro di vetro, acciaio e moquette grigia. Al piano dove si svolgeva l'incontro erano pronti ad accogliere le studentesse una lunga serie di membri dello staff (l'evento era gestito dalla rivista “@Type”) che ci salutavano con profondi inchini, erano molto cerimoniosi nel rivolgersi a noi ogni volta che dovevano fare un annuncio e ci davano indicazioni molto precise su dove sederci. Se non fosse bastato questo, vedere tutte le ragazze

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presenti indossare l'abito scuro da shūkatsu e sedute in silenzio con la schiena perfettamente dritta è sicuramente servito a farmi capire che quell'evento che a me sembrava un seminario come un altro era in realtà molto più formale. Infatti, come avrei capito solo in seguito, era prevista una seconda parte in cui le studentesse avrebbero potuto parlare direttamente con alcune shakaijin: era importante fare buona impressione e dimostrare rispetto adattandosi al contesto, sicuramente più vicino a quello lavorativo che a quello studentesco.

Quel pomeriggio ho provato sulla mia pelle due cose: la sensazione di disagio dell'essere l'unica partecipante “diversa”, perché non indossavo il completo e non sapevo comportarmi come le altre ragazze, e la fatica del mantenere il proprio corpo immobile in una certa posizione, tutt'altro che comoda, per diverse ore. In mezzo a un gruppo così omogeneo di ragazze vestite allo stesso modo e nella stessa posizione, ogni differenza finiva per risaltare molto. E non avendo, come loro, incorporato le tecniche del corpo degli shūkatsusei, io non riuscivo a tenere fermo il mio. Quel contegno e quella posizione sono notevolmente scomodi, ed è stancante mantenerli a lungo, e se sommati a tutte le altre accortezze che gli studenti devono avere sotto gli occhi attenti dei selezionatori è inevitabile il collegamento con le prove fisiche di tanti riti descritti dalla tradizione antropologica: «tutte prove tendenti, in qualche modo, a formarli, a farli uscire dallo stato preliminare e avviarli al loro pieno stato sociale, che deve renderli identici agli altri membri della comunità» (Segalen 2002:43).

Ed è proprio l'uniformazione l'effetto delle shūkatsu manners. Questa omologazione non avviene semplicemente e tutta in una volta, ma ci vorrà del tempo perché gli studenti apprendano tutte queste nozioni e facciano proprio questo sapere del corpo. All'inizio faranno degli “errori”, si presenteranno alle setsumeikai con delle scarpe nere dal tacco basso ma non esattamente dello stesso modello delle pumps da shūkatsu, porteranno la loro borsa invece di comprarne una nuova e più professionale, si dimenticheranno di rimuovere gli accessori o di evitare il profumo, avranno ancora i capelli tinti di castano o di biondo. D'altronde, nelle prime fasi della ricerca di lavoro questi errori passano solitamente inosservati, perché ancora non è iniziato il processo di selezione.

Anche il modo in cui gli shūkatsusei si inchinano deve essere modificato. In Giappone ci si inchina per salutare, per congedarsi, per ringraziare e per scusarsi, e ci sono molti modi di

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inchinarsi, dai più informali a quelli più formali, che sono necessari nelle situazioni lavorative. Gli studenti, che ancora non si trovano spesso in situazioni molto formali, di solito si inchinano senza quasi muovere la schiena, ma sporgendo il collo in avanti e senza abbassare lo sguardo. Invece per interagire con i selezionatori gli inchini devono esprimere molto più rispetto e consapevolezza del ruolo che si occupa all'interno della gerarchia della relazione. Come insegnano ai corsi di business manners, l'inchino deve partire dal bacino e la schiena deve scendere, dritta, a formare un angolo di circa quarantacinque gradi. Il collo deve rimanere fermo e lo sguardo deve fissarsi in basso. Le braccia devono restare tese e lungo i fianchi per i ragazzi, mentre le ragazze devono sovrapporre le mani all'altezza dell'ombelico. Inoltre, quando si deve ringraziare o ci si deve congedare è importante ricordarsi di finire di parlare prima di inchinarsi, altrimenti l'interlocutore non potrà sentire bene le parole dello studente e si darà l'impressione di essere approssimativi. Soprattutto per le ragazze, inoltre, la necessità di fare un inchino profondo e kirei, che significa “bello” e “pulito” allo stesso tempo, implica che debbano legarsi i capelli e assicurare le frange ai lati con delle mollette per evitare che i capelli cadano a coprire il viso durante l'inchino e che si debba poi sistemarli quando ci si rialza. Quest'ultimo elemento si ricollega a un'altra dimensione, fondamentale, delle tecniche del corpo degli shūkatsusei, ovvero quella del midashinami: l'aspetto “per l'altro”.