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2. La donazione indiretta nella teoria generale del negozio

2.1. Liberalità atipiche non negoziali

La prima obiezione è che la donazione indiretta non si attua necessariamente nel campo negoziale. L’arricchimento può costituire la conseguenza di un mero atto in senso stretto o mero fatto giuridico o, in generale, di comportamenti positivi o negativi. Le ipotesi principali, tra quelle tradizionalmente ricondotte all’area delle cd. liberalità non negoziali, sono quelle della costruzione, semina o piantagione su suolo altrui, in modo che il proprietario del terreno acquisti per accessione la proprietà della piantagione o dell’edificio (art. 963 c.c) e il comportamento omissivo (astensione volontaria dall’esercizio di un diritto) al fine di permettere che si compia l’usucapione a favore del possessore o nel lasciar decorrere la prescrizione perché se ne avvantaggi il debitore. Tradizionalmente, è inquadrata nell’ambito delle liberalità non donative anche l’ipotesi disciplinata dall’art. 179 comma 1, lett f), cc., in tema di comunione legale: il coniuge che acquista un bene con il prezzo del “trasferimento dei beni personali o col loro scambio”, se omette di dichiarare espressamente all’atto di acquisto che tale bene rientra tra quelli personali, fa si che venga acquisito in comunione, ricavandone l’arricchimento in capo all’altro coniuge.

In dottrina ci sono orientamenti contrastanti in merito alla questione della natura giuridica di tali ipotesi.

Dobbiamo prima di tutto ricordare che i sostenitori della tesi delle liberalità atipiche117, non potendo ricorrere all’istituto del negozio indiretto, si trovano sprovvisti di uno schema di base sul quale

116V.Caredda, Liberalità diverse dalla donazione, Giappichelli editore,

Torino, 1997, pag 50 e ss.

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ricostruire le varie ipotesi, dovendo ricercare un nucleo attorno al quale far ruotare le caratteristiche di ogni singola fattispecie. Questo nucleo viene individuato nel negozio, cosicché ci saranno ipotesi di liberalità atipiche negoziali e non, a seconda del fatto che si realizzino tramite il negozio o no. Quelle che utilizzano il negozio saranno le ipotesi tradizionali di donazione indiretta, le altre liberalità atipiche non negoziali, essendo la liberalità la volontà di arricchire un altro nella consapevolezza di non esservi tenuto, presupporranno una sorta di accordo tale che l’intento liberale sia condiviso da entrambe le parti. Ecco l’incongruenza della tesi delle liberalità atipiche (negoziali e non), che seppur rifiutando l’inquadramento nel negozio indiretto, finisce poi col doverne condividere la struttura laddove afferma che ogni liberalità atipica ha la sua fonte in un negozio e pertanto conclude che tra le parti debba sussistere un accordo integrativo col quale convenire circa il significato liberale dell’atto.118

Appurata quindi la debolezza della tesi delle “liberalità atipiche”, è d’obbligo precisare le diverse ricostruzioni in merito alla natura delle liberalità non negoziali realizzate mediante gli atti o i fatti sopra elencati.

Secondo un primo orientamento un atto non negoziale può avere luogo donationis causa in quanto questa possibilità risulta contemplata dal tenore letterale dell’art. 809 c.c. che parla genericamente di atti.119 Tali

comportamenti risulterebbero far parte delle liberalità poiché “preordinati al fine di determinare un arricchimento e tenuti per spirito di liberalità”, e dotati quindi dei caratteri di tutte le liberalità.

118A.Palazzo, Trattato di diritto della successioni e donazioni, diretto da

G.Bonilini, Giuffrè, Milano, pag 153 e ss., pur affrontando il tema delle liberalità non negoziali, se ne discosta affermando che “Queste ipotesi, in

tanto generano una liberalità in quanto la volontà dei soggetti è a tal fine preordinata”.

119B.Biondi, Le donazioni, in Trattato di diritto civile, diretto da F.Vassalli

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Un’autorevole dottrina sostiene invece che nelle suddette ipotesi l’effetto giuridico dell’arricchimento non sia riconducibile al fatto materiale, bensì ad un atto negoziale, specificamente alla rinunzia all’indennità o al rimborso dovuti ex art. 936c.c o allo stesso diritto di proprietà o rinunzia al diritto di interrompere l’usucapione o ad esercitare il diritto soggetto a prescrizione.120

L’acquisto della proprietà, secondo una valutazione strettamente giuridica,non si compie per effetto della volontà della semina,della piantagione o dell’edificazione: esso si produrrebbe anche se il cadere del seme sul suolo altrui avvenisse per distrazione,per errore o addirittura per dispetto. Pertanto, è evidente che la fonte dell’effetto acquisitivo deve essere ricercata altrove,e più precisamente in una volontà ad hoc diretta all’arricchimento altrui. Escluso, dunque che la causa dell’arricchimento sia il mero fatto materiale, la fonte della liberalità indiretta va ravvisata nella rinunzia all’indennità prevista dal secondo comma dell’art. 932c.c. Com’è noto, l’acquisto della proprietà della piantagione,in favore del proprietario del suolo è un fatto giuridico che non si esaurisce in sé. Esso genera nel proprietario il diritto alla scelta tra l’eliminazione e la ritenzione. La ritenzione genera a sua volta, il diritto del piantatore, seminatore, costruttore, all’indennità (ex art. 936c.c.), ed è rispetto a questo diritto che può esplicarsi il potere di disposizione del titolare,mediante il cui esercizio si realizza l’attribuzione patrimoniale.

A questa ricostruzione è stato obiettato che il ricorso alla rinunzia sia forzato e poco aderente al reale intento delle parti. Colui che costruisce su terreno altrui nella maggior parte dei casi vuole che il proprietario del suolo si avvantaggi della costruzione, e non dell’importo dell’indennità considerata nell’art. 936 c.c. In realtà, leggendo quest’ultima norma, si evince che l’indennità sarà pari

120A.Torrente, La Donazione, cit., pag 23 e ss; U.Carnevali, Le Donazioni, in

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alternativamente alla somma del valore dei materiali e della manodopera o all’aumento del valore del fondo, pertanto i due valori (della costruzione e dell’indennità) se non si eguagliano, non si discostano tanto da ritenere fondata la sopra esposta critica.121

Un’ultima soluzione dottrinale è quella fatta propria da chi sostiene che le fattispecie esaminate possono considerarsi delle rinunce e ammette però la possibilità che nell’attività delle parti la liberalità “si sostanzi in un accordo, determinante ai fini della liberalità, tra beneficiante e beneficiato che investe l’oggetto immediato dell’implantatio o dell’inaedificatio, in altri termini delle piante o dei materiali”.122 La volontà delle parti, proiettata ai fini della liberalità, si

somma alla condotta tenuta (attiva o omissiva) alla quale è collegato un effetto acquisitivo legale, tale da far apparire l’attribuzione liberale come la risultante di un fenomeno complesso. Effetto che si risolve in un acquisto prodotto per volontà legislativa da una fattispecie non negoziale. Secondo questo orientamento, il comportamento che conduce alla fattispecie acquisitiva legale, deve essere sostenuto dal profilo della volontarietà e dell’animus donandi.

Se ne conclude quindi che l’effetto acquisitivo può essere considerato un effetto liberale solo in quanto i comportamenti necessari a produrlo siano tenuti volontariamente e siano deliberatamente volti a realizzare un intento liberale. Questa sorta di “attribuzione di significato”, rievoca la figura dell’accordo configurativo, espressione del potere di autonomia privata, che imprime il significato liberale ai comportamenti necessari per la produzione degli effetti incrementativi già descritti. Pertanto, se l’acquisto è qualificato in termini di liberalità, sarà applicabile l’intera disciplina delle liberalità, eventualmente adattata alle peculiarità delle fattispecie non negoziali.

121A.Torrente, La Donazione; G.Capozzi, Successioni e Donazioni.

122A.Palazzo, Le donazioni, in Trattato di diritto civile, diretto da F.Vassalli,

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