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Un’altra fattispecie concreta, ampiamente considerata ipotesi tradizionale di donazione indiretta,311 che di recente ha sollevato dubbi circa la sua compatibilità con il divieto di cui all’art.771 c.c. è la co- intestazione di conto corrente bancario, che, come sappiamo, può essere voluta con lo scopo precipuo di riconoscere all’altro correntista, per spirito di liberalità, il diritto di fare proprie le somme depositate, nel corso della vigenza del rapporto bancario e anche successivamente alla morte del beneficiante. Di per sé la co-intestazione non rivela nulla, essendo compatibile con una varietà di rapporti sottostanti, per il cui inquadramento è necessario indagare l’animus donandi, da intendersi come intento di arricchire, che, assieme alla gratuità, consente di distinguere tra liberalità indirette e altre fattispecie.

Nell’ipotesi in esame, la liberalità indiretta si realizza per il tramite di un’operazione composita in cui sono essenziali la co-intestazione originaria o successiva all’apertura del conto corrente, il versamento di

311Lo ha ricordato anche la Corte di Cassazione, nella già analizzata Sentenza

n.18725 del 2017, che al contrario, nel caso concreto sottoposto al suo esame, aveva negato la sussistenza di una donazione indiretta, ritenendo piuttosto che il de cuius, titolare del contratto di conto corrente bancario che avesse attribuito in vita una delega alla convenuta per effettuare un’operazione bancaria di trasferimento del saldo sul conto corrente di questa , avesse semplicemente compiuto un’operazione legittima da correntista, senza usare il contratto di conto corrente bancario con un fine distorto. Pertanto, si ricordi, le SS.UU. ritennero che nel caso di specie ricorresse una liberalità attuata direttamente attraverso il contratto di conto corrente, integrante una donazione, nulla per difetto di forma solenne.

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somme appartenenti al beneficiante, il consenso al prelevamento in caso di gestione congiunta o la previa autorizzazione ravvisabile nella modalità “a firma disgiunta”, la rinuncia reciproca all’obbligo di rendiconto delle operazioni effettuate312 e la rinuncia al diritto alla restituzione nei confronti dell’istituto di credito.

Per ciò che concerne l’animus donandi, si ricordi che non si desume dal mero fatto della contitolarità, bensì occorre dimostrare che nel caso di specie la ragione della co-intestazione sia quella di donare il proprio denaro all’altro cointestatario, ricorrendo ad una modalità alternativa alla donazione diretta, gravando sull’asserito beneficiario l’onere di fornire la relativa prova, anche presuntiva, ravvisata dalla giurisprudenza nella circostanza che il titolare del denaro “non aveva, al momento della co-intestazione, altro scopo che quello della liberalità”.313

Un ipotetico conflitto con l’art. 771 c.c. potrebbe suggerire l’invalidità della liberalità attuata mediante la co-intestazione originaria di un conto quando le somme sono versate in momenti successivi.

Dall’analisi del divieto e della sua probabile ratio, sia come ricostruita in passato, per cui non si mette in discussione la validità della donazione di singoli e determinati beni futuri, sia secondo la lettura più recente, che riconduce il divieto alla necessità di porre un freno alla prodigalità del donante, la fattispecie in esame deve ritenersi estranea a questo perché la liberalità non si esaurisce in quell’atto iniziale, presupponendo i successivi versamenti: l’intento liberale si rinnova ad ogni versamento, con riguardo alle somme depositate volta per volta. Di recente la Corte di Cassazione, con Sentenza del 16 gennaio 2014, n.809, pronunciandosi sul tema della co-intestazione dei conti correnti

312Trib.Mondovì, 4 febbraio 2010, considera tale rinuncia un argomento per

escludere la ricorrenza dell’intento liberale.

313Cass., 12 novembre 2008, n.26983; Cass., 2 dicembre 2013, n.26991;

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annessi ad un conto deposito titoli tra coniugi in regime di separazione dei beni e sui criteri di ripartizione tra i correntisti delle somme ivi depositate da uno soltanto di essi, ha precisato che, affinché possa configurarsi una donazione indiretta della metà degli importi depositati nel tempo su un conto da uno soltanto dei correntisti, è necessario dare la prova dell’animus donandi che ha assistito ogni singolo versamento. In questa Sentenza, la Suprema Corte ha richiamato anche l’art. 771 c.c. sul divieto di donazione di beni futuri, e con ciò costituendo un elemento di novità nel panorama giurisprudenziale di legittimità.314 La Corte, ritenendo applicabile la norma in questione alle liberalità atipiche, per la sua ratio identificata nel tentativo di arginare l’esecuzione di liberalità avventate, essendo impedito al donante, per l’inesistenza del bene, di rendersi pienamente conto del significato giuridico economico e sociale della sua disposizione, utilizza questa argomentazione per rimarcare la necessità di un’indagine sulla sussistenza dell’animus donandi ad ogni atto di versamento sul conto, non in una prospettiva futura, bensì contestualmente ad ogni singolo deposito sul conto.

Pertanto, anche a seguito di questa pronuncia, emerge che il divieto ex art. 771 c.c., quali ne siano ratio e portata applicativa, non costituisce un ostacolo alla fattispecie di co-intestazione bancaria.

314La questione della rilevanza di tale norma in presenza di co-intestazione tra

coniugi in regime di separazione dei beni era già stata sollevata con riguardo ad un deposito di titoli, ma non aveva ricevuto attenzione della Corte.(Cass., 22 settembre 2000, n.12552 e Cass., 1 ottobre 1999, n. 10850).

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Conclusioni

Gli atti di liberalità continuano a sollevare questioni che, seppur oggetto di pronunce del Giudice di Legittimità, rendono auspicabili ulteriori interventi in merito.

Si pensi alla Sentenza delle Sezioni Unite del 27 luglio 2917 n. 18725 che, aldilà del principio di diritto enunciato, continua di per sè ad offrire spunti di riflessione intorno alla distinzione tra donazione diretta e indiretta. Eppure si tratta di una pronuncia da molti attesa per dissipare i dubbi interpretativi e applicativi propri di un istituto complesso, quale quello delle donazioni indirette.

La Suprema Corte conclude nel senso che il requisito che permette di realizzare l’effetto donativo a prescindere dal rispetto della forma solenne consiste nel perseguimento di uno scopo pratico ulteriore rispetto a quello di liberalità. Le SS.UU danno dunque continuità all’orientamento giurisprudenziale prevalente, ma il principio di diritto appare suscettibile di alcune precisazioni, pur avendo il merito di affermare la novità insita nella configurabilità di una donazione diretta ad esecuzione indiretta.

Con l’intento di offrire uno stabile criterio operativo all’interprete, la Corte esamina la giurisprudenza, e afferma che vi è donazione indiretta nel caso di contestuale perseguimento di una causa diversa da quella liberale.

Tuttavia, dalla motivazione addotta dalla Corte in Sentenza e dall’elenco delle fattispecie di donazione indiretta ivi riportate, si può notare che questa non pone l’accento sulla necessità di condurre un esame rigoroso in punto di sussistenza della causa donativa. La Corte avrebbe dovuto precisare che, rispetto ad alcuni negozi normalmente utilizzati per il perseguimento di una finalità diversa da quella liberale, è richiesto un vaglio rigoroso intorno all’intento donativo. Si pensi alla

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co-intestazione di somme di denaro o di buoni fruttiferi postali con firma e disponibilità disgiunte, che la stessa riconduce alle donazioni indirette sul mero presupposto che per suo tramite, si realizzerebbe un arricchimento senza corrispettivo; o alla rinuncia abdicativa, che nella casistica giurisprudenziale è comunemente ritenuta donazione indiretta, indipendentemente dall’accertamento della finalità non donativa.

La Corte, come evidenziato da esperti del diritto, avrebbe potuto cogliere l’occasione per fornire indicazioni più precise in materia di donazione indiretta, individuandone nuove ipotesi o delineando lo schema di base cui possono ricorrere i privati. Avrebbe inoltre potuto indicare se, a fronte di un disposto normativo (l’art. 809 c.c.) che lascia all’interprete un ampio margine di manovra, sia possibile fare uso di un criterio più ampio, e se il mancato rispetto della forma scritta possa trovare ragionevole giustificazione nelle caratteristiche o nel contesto del negozio o dell’atto, e dunque, se la deroga possa essere bilanciata dal perseguimento di un valore concorrente.

O ancora ci si poteva aspettare che affrontasse anche la questione inerente la difficoltà di provare l’esistenza dell’animus donandi, considerando appunto che nelle donazioni indirette la causa è quella tipica del negozio-mezzo, senza alterazioni dovute all’intento liberale, lasciando permanere quindi dubbi sull’eventuale necessità di un negozio di accertamento di tale causa.

Il problema non tarderà a riproporsi nella pratica, se solo si considera l’ampio numero di sentenze del Giudice di merito che paiono discostarsi dal principio espresso dalle Sezioni Unite.

Anche la Sentenza n. 5068 del 15 marzo 2016 offre l’occasione per alcune riflessioni che conducono a ritenere tale intervento, non propriamente decisivo.

Le SS.UU, per motivare il loro ragionamento, utilizzano l’argomento insito nella presenza o meno dello spirito di liberalità, argomentazione

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di per sé azzardata, data la difficoltà della questione della causa donationis.

Si legge in Sentenza che se l’atto è stipulato in assenza della consapevolezza dell’altruità del bene, manca lo spirito di liberalità, dunque la donazione è nulla per difetto di causa in concreto.

Alla Corte pertanto va il merito di aver affermato la piena validità della donazione obbligatoria di beni altrui, chiarendo che si tratta dell’unica modalità di donazione di beni altrui che attualmente possa essere disposta. Rimane vaga la questione circa la validità della donazione dell’esito divisionale, attraverso la quale il donante assume l’obbligazione di procurare l’acquisto del bene al donatario, con la sua assegnazione in sede di divisione. Le perplessità risiedono nella configurazione del contenuto dell’obbligazione in capo al donante. Si auspica, dunque, un intervento del legislatore che modifichi parte della disciplina della donazione, retaggio di un substrato storico oggi non più così attuale, che renda possibile al donante atti di disposizione che possano avere ad oggetto beni altrui e anche beni futuri, se ciò corrisponda al consapevole intento e volontà del donante.

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