6. Sentenza n 5068 del 15 marzo 2016
6.1. Questione relativa alla disposizione della c.d “quotina”
Supremo Collegio circa la possibilità per il coerede di disporre con effetti reali immediati della quota del singolo bene appartenente alla massa ereditaria ancora indivisa (c.d. quotina). Mi limiterò in questa trattazione a riportare la conclusione raggiunta dalle SS.UU, per poter dedicare maggior attenzione alla questione oggetto del presente capitolo.
La vicenda, come già accennato, era sorta da una donazione da parte di uno di tre fratelli, ad un nipote, di una quota di comproprietà di un immobile costituita in parte da una quota di comproprietà in comunione ordinaria e da una parte di un bene in comunione ereditaria. Per il trasferimento della prima, nulla quaestio, in quanto reso possibile dall’art. 1103, comma 1 c.c., il quale consente che “ciascun partecipante possa disporre del suo diritto e cedere ad altri il
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godimento della cosa nei limiti della sua quota”. I dubbi sorgono riguardo la possibilità di disporre con efficacia immediata traslativa della seconda.
Si trattava in sostanza di valutare se l’oggetto cd. mediato del negozio, in questo caso un bene in comproprietà tra donante e terzi coeredi, fosse idoneo ad essere dedotto in un rapporto giuridico.
A tal proposito le SS.UU statuiscono che “la posizione del coerede che dona uno dei beni compresi nella comunione (nel caso in cui la comunione abbia ad oggetto una pluralità di beni) non si distingue in nulla da quella di qualsivoglia altro donante che disponga di un diritto che, al momento dell’atto, non può ritenersi incluso nel suo patrimonio”. Il coerede non può disporre con effetti reali della quota di un singolo bene ereditario, dovendo tale bene considerarsi altrui fino alla divisione e all’assegnazione del bene al coerede disponente.229 La
pronuncia richiama il disposto dell’art. 757 c.c. che, nel ritenere il coerede solo e immediato successore in tutti i beni componenti la sua quota o a lui pervenuti dalla successione, impedirebbe allo stesso di disporre di una quota del bene prima ancora che la divisione venga operata, esistendo una mera quota ideale della proprietà di questi beni in capo al donante fino a tale momento. Il principio giurisprudenziale affermato dalle SS.UU è quello per cui la cessione di un bene in comunione ereditaria da parte di uno solo dei coeredi può avere effetto
229 A tal fine la Corte rileva come non vi sia differenza tra “bene altrui” e
“bene eventualmente altrui”, trattandosi in entrambi i casi di beni non presenti, nella loro oggettività, nel patrimonio del donante al momento dell’atto. Si veda in senso contrario Trib. Vallo Lucania, 13 aprile 1992, secondo cui “la donazione di cosa altrui è nulla in base alla previsione
dell’art. 771 c.c. che non consente la donazione di beni futuri; il concetto di bene futuro va, infatti, esteso non solo in senso oggettivo, come bene non esistente in rerum natura, ma anche soggettivo, come bene che non fa parte del patrimonio del donante. Peraltro, la donazione da parte di un coerede di beni ricadenti nella massa ereditaria non costituisce donazione di cosa altrui, ma di cosa solo eventualmente altrui; con la conseguenza che trattasi di valida donazione, sottoposta alla condizione sospensiva che i beni donati rientrino nella quota assegnata, in sede di divisione, al coerede donante”.
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meramente obbligatorio, essendo la sua efficacia traslativa subordinata all’assegnazione del bene al coerede- disponente attraverso la divisione.
La questione in ordine alla validità dell’atto dispositivo di quotina era già stata affrontata dalla Suprema Corte con la Sentenza n. 9543 del 2002, con cui sanciva l’inapplicabilità, in caso di vendita da parte di un coerede di un bene facente parte di una più ampia massa comune, del principio generale in tema di comunione ordinaria di cui all’art. 1103 c.c.230
La Corte di Cassazione fornisce dunque un’interpretazione dell’art. 757 c.c. tale per cui, data l’impossibilità di conoscere, nella vigenza della comunione ereditaria, i beni che saranno attribuiti a ciascun comunista nella futura divisione, il coerede non è legittimato a disporre
230Cass., 1 Luglio 2002, n. 9543 in Foro.it, 2004, con nota di Chiarolla, in Riv. Not, 2003: “non può ritenersi che la vendita di un bene, rientrante nella
comunione ereditaria, da parte di uno solo dei coeredi, produca effetti reali relativamente alla quota ideale del coerede alienante, in quanto questi, per effetto dell'assegnazione in sede di divisione, potrebbe non risultare mai proprietario del detto bene o di parte di esso (questa volta pro diviso). In questo caso la vendita ha solo effetto obbligatorio, essendo la sua efficacia reale subordinata all'assegnazione del bene al coerede-venditore attraverso la divisione (Cass. civ., 13 luglio 1983, n. 4777). Pertanto, fino a tale assegnazione il bene continua a far parte della massa comune da dividere (Cass. civ., 23 giugno 1981, n. 4105). Il compratore di un bene in comunione ereditaria da uno solo dei coeredi, data la comunione e finché essa perdura, non può ottenere la proprietà esclusiva di una singola parte materiale della cosa. Neppure può ottenere la quota ideale di un singolo bene, in proporzione alla quota di eredità che compete al coerede alienante, per il semplice motivo che, giusto il principio che emerge dall'art. 757 c.c. e più in generale dal sistema ( art. 477 c.c. che prevede la vendita di diritti di successione, ed art. 765 c.c., che prevede la vendita del diritto ereditario), non esiste una quota ideale della proprietà di quel bene in capo al coerede, il quale è titolare solo di una quota di eredità, intesa come universitas, che è già di per sé un diritto alienabile (artt. 1542 e segg. c.c.), mentre la proprietà del bene non necessariamente deve rientrare in quella quota, al momento della divisione. In altri termini, mentre nella comunione normale di un bene il rapporto tra il comproprietario del bene (che poi aliena) ed il bene è diretto ed è dato dall'unico diritto esistente, quello di comproprietà, nella comunione ereditaria il rapporto non è diretto, ma passa attraverso il diritto alla quota ereditaria".
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con effetti reali di una quota-parte di un singolo bene della comunione, dal momento che, in seguito alla divisione ereditaria, egli potrebbe divenire proprietario di un bene diverso da quello ricondotto alla c.d. quotina, e ciò con effetti retroattivi all’apertura della successione. Le SS.UU ritengono pertanto che l’art. 757 c.c. si riferisca esclusivamente alla comunione ereditaria, sebbene larga parte della dottrina e della giurisprudenza lo ritengano applicabile anche alla comunione ordinaria in forza dell’art. 1116 c.c.231
La soluzione proposta dalle Sezioni Unite si basa altresì sul concetto di eredità, qui intesa come universitas, in ragione del quale il coerede non sarebbe titolare di una quota ideale su ogni singolo bene ereditario, ma solo sull’intera eredità.232
Sul punto, pur non essendovi contrasti in giurisprudenza, ferma nel negare che il coerede possa disporre con effetti reali immediati della “quotina”, la motivazione offerta dalle SS.UU non è pienamente accolta in dottrina.233 Secondo una parte della dottrina infatti, ciascun coerede è proprietario pro quota di ciascun singolo bene ereditario, potendo di conseguenza disporne con effetti reali immediati, trovando
231G.Branca, Comunione, condominio negli edifici, in Comm. Cod. civ, diretto
da A.Scialoja, S.Rampolla, Della divisione, in Comm. Cod.civ diretto da E.Gabrielli, Utet, 2001.
232Sul concetto di eredità come universitas si veda F.Santoro- Passarelli,
Dottrine generali del diritto civile, Jovene, 1966, pag. 85, secondo cui
l’eredità è una universalità di diritto poiché ha una sua unità oggettiva, che è opera della legge. La dottrina più recente sembra voler negare tale qualifica all’eredità. Si veda in tal senso M. Trimarchi , Universalità di cose, in Enc.
dir., XLV, Giuffrè, 1992, 810, il quale afferma che «la configurazione dell’universalità come collegamento di beni capace di fornire una nova utilitas pone già una limitazione logica alla possibilità di includervi anche l’eredità (…) che per le diversità di struttura e funzione non consente alcuna assimilazione alle varie forme di universalità. Nell’eredità, in altri termini, manca un dato essenziale e sostanziale caratterizzante l’universalità, l’utilità risultante dall’insieme complessivamente considerato come utilità diversa da quella che le singole cose sono in grado di fornire».
233Secondo De Lorenzo, Le Sezioni Unite e la donazione di bene altrui:
quando Davide ci riprova con Golia, in Foro.it, 2016, con la pronuncia in
rassegna “la Cassazione ha perso un’occasione per rimeditare
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applicazione l’art. 1103 c.c. in virtù del richiamo di cui all’art. 1100 c.c.234 Non è questa la sede per approfondire le ragioni a sostegno di una tesi o di un’altra.
Ciò che maggiormente qui interessa è la trattazione della questione relativa alla disponibilità della quota pro indiviso che, come evidenziato da molti autori in sede di analisi e commento della Sentenza, viene affrontata solo marginalmente dalla Cassazione. Le SS.UU, nell’affermare che la posizione del coerede che dona la quotina non si distingue in nulla da quella di qualsivoglia altro donante che disponga di un diritto che al momento dell’atto non è incluso nel suo patrimonio, sostiene la tesi per cui il coerede che dona la “quotina” dona essenzialmente un bene altrui. Richiama pertanto il concetto di mancanza di titolarità del diritto in capo al disponente-comunista, lasciando dubbi, data la laconicità della motivazione, in merito a chi sia veramente titolare, manente comunione, di detto diritto.
In mancanza di adeguata concettualizzazione della nozione di “bene altrui”, questa pronuncia in realtà non permette al giurista di trarne alcun indice interpretativo e non offre nuovi spunti riflessivi per il confronto tra le diverse e opposte posizioni sulla natura giuridica della comunione e sul contenuto del diritto di ciascun comunista.
234In tal senso, ad es., D. Pastore, op. cit., 1213 ss. e spec. 1216 s.; G. Recinto, Vendita di quota indivisa e di bene comune da parte del coerede, in
Notariato, 2010, 4, 431 ss.; F. Magliulo, La donazione di quota indivisa su un bene facente parte di una più ampia massa comune, Studio n. 380-
2009/C, in Studi e materiali, 2010, 2, 360 ss.; Id., Gli atti di disposizione sui
beni indivisi, in Riv. not., 1995, 1-2,119 ss.; M.R. Morelli, La comunione e la divisione ereditaria, II ed., Torino, 1998, 56; A. Burdese, La divisione ereditaria, in Trattato di diritto civile italiano, fondato da Vassalli, Torino,
1980, 37 ss.; A. Fedele, La comunione, in Trattato di diritto civile diretto da Grosso e Santoro-Passarelli, Milano, 1967, 293 ss. Recentemente hanno espresso contrarietà alle statuizioni delle SS.UU. sul punto L. de Stefano,
Donazione di quota di bene indiviso: nulla per mancanza di causa?, in Foro it., 2016, 6, I, 2084 ss.; C. De Lorenzo, op. cit., 2089 ss.; M. Bellinvia-F.
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6.2. La donazione di beni altrui. I principi enunciati dalle SS.UU Abbiamo già visto che la donazione di beni altrui, a differenza di altri negozi aventi ad oggetto beni altrui come la vendita ex artt. 1478 e ss c.c., o il legato di cosa dell’onerato o di un terzo ex artt. 651 e ss c.c., o l’ipoteca su beni altrui ex art. 2822 c.c., non trova una disciplina espressa all’interno del codice. Come già accennato, la tesi della nullità di tale fattispecie, traeva spunto da un’applicazione ora diretta, ora analogica (in senso lato), del divieto di cui all’art.771 c.c.
Secondo il primo orientamento, suddetta norma sarebbe suscettibile di applicazione diretta, in quanto disciplinerebbe non soltanto i beni futuri ivi espressamente richiamati, ma anche i beni altrui. Ciò in base ad un’equivalenza semantica o, meglio, un rapporto di continenza, tra i concetti di “futurità” e “alienità” per cui la nozione di bene futuro andrebbe intesa in senso ampio, ossia oggettivo, come bene non esistente in rerum natura, sia soggettivo, come bene esistente nella realtà fenomenica ma non presente nel patrimonio del donante.235 Si tratterebbe quindi di applicare l’art. 771 c.c. ad un’ipotesi già ricompresa nella fattispecie astratta.236
235Considerando pertanto i beni altrui come species del genus beni futuri, in
senso ampio.
236D. Pastore, Donazione di quota di bene ereditario e donazione di cosa
altrui, in Riv. not., 2014, pag. 1210 ss.; osserva M. Onorato, Donazione del bene altrui e donazione del bene presente nell’asse ereditario indiviso, in Riv. dir.priv., 2006, pag. 839 «sicuramente la locuzione di appartenenza ‘del donante’ risulta logicamente inidonea a specificare un dato temporale. Il riferimento genitivo al donante è insuscettibile di precisare un’esistenza temporale, la quale si coniuga esclusivamente con un prima e un dopo, un oggi e uno ieri. (...) Il riferimento al soggetto ‘del donante’ parrebbe allora designare un’assenza nello spazio. Non si tratta di un luogo reale, individuabile attraverso dati topografici; bensì di uno spazio artificiale e normativo: la sfera ideale delle situazioni giuridiche non delimitata da confini fisici, e tutta raccolta intorno al soggetto giuridico, quale centro di imputazione di diritti e di obblighi. Su questa linea, quel ‘del donante’ parrebbe un’espressione ellittica, la quale sta per ‘nel patrimonio del donante’. L’essere presente è cioè considerato rispetto ad uno spazio tipicamente normativo (il patrimonio giuridico), retto e costituito da norme giuridiche».
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Tale conclusione poggia le sua basi sulla asserita ratio della norma in questione che, come già evidenziato, è quella di inibire liberalità anticipate da parte del donante, tutelandolo da eccessivi e non ponderati slanci di prodigalità: ciò consentirebbe quindi all’art. 771 c.c. di assurgere a norma “di sistema”, espressione di un principio generale in materia di donazione.237 Sarebbe contraddittorio un ordinamento che, repressivo della donazione di cosa futura, ammettesse la donazione di cosa altrui.238
Secondo un altro filone interpretativo, la nullità della donazione a non domino discenderebbe invece dall’applicazione in via analogica dell’art. 771 c.c. Si ricorrerebbe all’analogia legis, per colmare la lacuna normativa, in ragione della medesima ratio sottesa ai divieti in questione.239 Questa impostazione propende per un’interpretazione
meno estesa del concetto di futuritas, ossia come futurità meramente oggettiva, da riferirsi ai soli beni non esistenti in rerum natura. Perciò la donazione di beni altrui sarebbe ammissibile purché, come precisa parte della dottrina, il donante sia consapevole dell’altruità del bene in quanto ciò gli consentirebbe di rispettare la ratio dell’art. 771 c.c.240 La Suprema Corte di Cassazione, per rispondere alla questione rimessagli dalla Seconda Sezione con l’ordinanza interlocutoria, ha seguito un diverso e innovativo percorso argomentativo, ritenendo che “ alla questione debba essere data risposta nel senso che la donazione di cosa altrui, o anche solo parzialmente altrui, è nulla, non per
237 U.Carnevali, Le donazioni, in Tratt. Dir. Priv, diretto da P.Rescigno,
1997; G.Oppo, Adempimento e liberalità, 1947; G.Balbi, La donazione, in
Tratt. Dir.civ, diretto da G.Grosso e F.Santoro Passarelli, 1964; A.Palazzo, Donazione, Utet, 1991.
238 A.Torrente, La donazione, in Tratt. Dir. Civ. e comm., diretto da A. Cicu e
F.Messineo, a cura di U.Carnevali e A.Mora, 2006; L.Mengoni, Gli acquisti
a non domino, Giuffrè, 1957.
239 G.Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, Utet, 2013. 240 F.Magliulo, Il problema della validità della donazione di beni altrui, in
Notariato, 2009; F.Rinaldi, La donazione di beni altrui tra nullità ed inefficacia, in Nuova giur. Civ. comm., 2001.
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l’applicazione in via analogica della nullità prevista dall’art. 771 c.c. per la donazione di beni futuri, ma per mancanza della causa del negozio di donazione”.
Anche le Sezioni Unite, senza seguire l’argomentazione basata sulla natura eccezionale o meno dell’art. 771 c.c., distinguono due diverse configurazioni di donazione di bene altrui. La prima è quella di una donazione dispositiva, come delineata dall’art. 769 c.c. ove dispone che “ una parte arricchisce l’altra, disponendo a favore di questa di un suo diritto.”. In tal caso la non appartenenza del bene al patrimonio del donante impedisce che si verifichi l’effetto traslativo e il conseguente arricchimento del donatario. La donazione dispositiva di beni altrui è dunque, secondo la Corte, nulla per mancanza della causa stessa della donazione.
La seconda delle due configurazioni è quella in cui le parti sono consapevoli dell’altruità del bene donato e il donante si assuma formalmente ed espressamente, nell’atto di donazione, l’obbligo di procurare l’acquisto al terzo donatario. In questo caso, conclude la Corte, la donazione di bene altrui è valida come donazione obbligatoria.241
Le SS.UU hanno seguito il ragionamento di un noto Autore,242 per cui “ se è vero che la donazione può consistere anche nell’assumere verso il donatario un’obbligazione”, è certa la distinzione che l’art. 769 c.c. compie tra queste ipotesi e quella della donazione dispositiva, cioè “diretta al trasferimento di un diritto dal donante al donatario, rispetto alla quale enuncia espressamente il requisito della suità del diritto da parte del donante, ovverosia il requisito dell’attualità dello spoglio,
241Ritenendo esclusa da questa configurazione l’ipotesi in cui il donante
ritenga per errore suo il bene donato, poiché la mancata conoscenza dell’altruità del bene determina pur sempre l’impossibilità dell’effetto traslativo e impedisce quindi la realizzazione della causa della donazione, come nella donazione dispositiva.
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giusta la regola romana donari non potest, nisi quod eius fit, cui donatur”. Anche il fondamento della nullità della donazione dispositiva non è dissimile, giacché Mengoni lo motiva con la mancanza di attualità dello spoglio, e la Cassazione con l’impossibilità di realizzare la causa dell’attribuzione, cioè l’arricchimento del donatario con correlativo depauperamento del donante.
Pertanto, la Corte ritiene che deve considerarsi valida la donazione di beni altrui allorché costruita come negozio avente affetti meramente obbligatori (donazione obbligatoria di dare)243, purché l’altruità sia conosciuta dal donante e tale consapevolezza risulti da un’apposita espressa affermazione nell’atto pubblico (art. 782 c.c.).244
6.3. Nullità della donazione di cosa altrui per mancanza di causa donandi
Proseguendo l’analisi della Sentenza n. 5068/2016, è bene soffermarsi sulla soluzione esegetica proposta dalla pronuncia in commento, che
243Discusso in dottrina è se si tratti soltanto di un’obbligazione di dare: se il
donante di obbliga a procurare la proprietà del bene al donatario, anzitutto si obbliga ad acquistare il bene dal terzo proprietario, realizzando un’attività contrattuale oggetto di un’obbligazione di facere. L’obbligazione di dare sarebbe solo successiva: una volta divenuto proprietario del bene, il donante è obbligato a trasferirlo al donatario (obbligazione di dare). Da qui le differenze con la disciplina codicistica della compravendita di cosa altrui ex art. 1478 c.c., che consente al compratore di divenire automaticamente proprietario nello stesso momento in cui il venditore acquista la cosa dal terzo proprietario. Questo meccanismo, che si basa su un doppio trasferimento automatico e istantaneo al terzo, non è riproducibile nella donazione obbligatoria di beni altrui, perché farebbe difetto l’atto solenne di trasferimento del bene al donatario ex art. 782 c.c.
244 Scrive Mengoni, op., ult., cit., pag. 26 e ss : “l’obbligazione di procurare
all’altra parte un diritto che al momento del contratto appartenga ad un terzo può ricollegarsi a una donazione, ma solo in quanto la volontà del donante sia precisamente diretta all’assunzione di tale obbligazione ( non si tratta quindi di semplice consapevolezza dell’alienità della cosa)”. E conclude: “ma in tal caso non si tratta di donazione di cosa altrui in senso tecnico, la quale si configura come contratto dispositivo, e pertanto è nulla, valida essendo secondo l’enunciato dell’art. 769 c.c., soltanto la donazione con cui il donante dispone di un suo diritto”.
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conclude per la nullità del negozio liberale a non domino in ragione della mancanza di causa donandi. Il Supremo collegio mette a punto l’iter argomentativo già intrapreso con la Sentenza n. 10356/2009 che, come già in precedenza segnalato, nel dichiarare l’invalidità dell’atto donativo, non chiarisce il suo preciso fondamento tecnico- giuridico. Quest’ultima sentenza infatti affermava la nullità della donazione a non domino non in ragione di un vizio strutturale, bensì operando un generico richiamo alla funzione del negozio245. Non era chiaro quindi se la nullità discendesse dal contrasto con una norma imperativa, derivante dalla ratio di arginare la prodigalità del donante, o da una