L’individuazione delle ragioni del divieto di donazione di beni futuri, già previsto all’art. 1064 del Codice Civile del 1985293, non è stata una
prova semplice per la dottrina, che tradizionalmente le rinveniva a partire dalla massima di diritto consuetudinario francese
291Cass., 5 agosto 1992, n.9282, dove si spiega che se la donazione indiretta è
un negozio che, pur non avendo la forma della donazione, è mosso dal fine di liberalità ed ha lo scopo e l’effetto di arricchire gratuitamente il beneficiario, l’arricchimento di questi ben può essere effetto di un negozio che il donante ha concluso con un terzo.
292La futurità, o altruità, potrà, per esempio, riguardare solo l’arricchimento
del beneficiario, mentre l’impoverimento del donante è contestuale all’atto di liberalità indiretta. Cass., n. 1257/1994 con nota di De Lorenzo, “Intestazione
di bene in nome altrui: appunti in margine a una giurisprudenza recente”, in Foro it., 1995.
293Che recitava testualmente: “La donazione non può comprendere che i beni
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(reminiscenza, a sua volta, di una regola di diritto romano), per cui “donner et reteir ne vaut”.294 La donazione di beni futuri non era
considerata ammissibile perché, nel contesto di una realtà ancora influenzata dalle vestigia della traditio, il donante non si sarebbe spogliato, in modo attuale e irrevocabile, dei beni donandi, “dipendendo sempre dall’arbitrio di questo di acquistare o no quei beni che poi dovranno essere oggetto della donazione e dopo acquistati di conservarli per il proprio donatario o invece di venderli o consumarli in debiti”.295 Tutto questo, sul presupposto che l’irrevocabilità e
attualità dello spoglio fossero requisiti propri della donazione, come indicato dall’art. 1050 del Codice civile abrogato.296
Questa tesi è stata largamente avversata sull’assunto che la traditio sia un elemento attinente più all’esecuzione della donazione che alla sua esistenza, e che l’irrevocabilità non sia legata al fatto che il contratto abbia ad oggetto un bene presente, ma sia piuttosto un principio generale dettato in materia di contratti, applicabile anche ai negozi a consenso anticipato.297
Altra parte della dottrina collegò invece il divieto ex art. 771 c.c. al divieto dei patti successori di cui all’art. 458 c.c., che, già dal diritto francese, era concepito in funzione della donazione di tutti i beni presenti e futuri (donatio omnium bonorum), e inizialmente la donazione si dichiarava nulla anche rispetto ai beni presenti.298
294 A.Ascoli, Trattato delle donazioni, Milano, 1935, pag.23; la tesi è ripresa
da C.Giannattasio, Delle successioni- Divisione Donazione, in Commentario
al Codice Civile, Torino, pag.214.
295 A.Ascoli., op., ulti., cit., pag. 236.
296 Il quale recitava che:” La donazione è un atto di spontanea liberalità, col
quale il donante si spoglia attualmente e irrevocabilmente della cosa donata in favore del donatario che l’accetta”.
297D.Rubino, La compravendita, in Trattato di Diritto Civile e Commerciale
diretto da Cicu-Messineo, Milano, 1952, pag. 149, ripreso da Torrente, La donazione, in Trattato di Diritto Civile e Commerciale diretto da Cicu- Messineo, Milano, 1956, pag.406.
298 B.Biondi, Le donazioni, in Trattato Vassalli, Torino, 1961, pag. 335 e ss,
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Secondo questa impostazione, la validità della donazione di singoli e determinati beni futuri non sarebbe mai stata messa in discussione e, quindi, non sarebbe affatto vietata dall’art. 771 c.c., e ciò troverebbe conferma nella stessa dizione della legge. L’art. 769 c.c. stabilisce, infatti, letteralmente, che “la donazione non può comprendere che i beni presenti” e che essa, “se comprende beni futuri è nulla rispetto a questi”; per l’Autore che meglio espone questa teoria, le espressioni “non può comprendere che” e “se comprende” dimostrerebbero che la donazione contemplata dalla norma concerne solo e soltanto un complesso di beni, tra i quali rientrano i beni futuri.299
Infine, altra dottrina, ha dichiarato che a giustificare il divieto contenuto nell’art 771 c.c., vi sia “una ragione di politica legislativa che si riconduce alle direttive fondamentali seguite nella disciplina
l’epoca classica, il divieto non esisteva né poteva esistere”, perché la
donazione non era configurata come un negozio tipico, ma come causa di atti traslativi e costitutivi diversificati, e quindi “si trattava di vedere, per
ciascun atto, considerata la sua struttura, se potesse avere come oggetto cose future”; b) le basi generali del divieto furono poste nella legislazione
postclassica, quando la donazione era diventata un negozio tipico, perché tale divieto, pur non essendo esplicitamente formulato, si poteva desumere dalla forma richiesta dalla legge. Infatti, dato che ai fini dell’esistenza dell’atto era necessaria la traditio, ne risultava evidente che la donazione non potesse avere ad oggetto che cose presenti; c) se con Giustiniano la limitazione appena richiamata svanì, perché la traditio non divenne più elemento necessario ai fini del perfezionamento dell’atto, nondimeno si presentò la questione della “donazione omnium honorum, la quale fino a Diocleziano,
era efficace solo se per ciascun bene fosse stato compiuto il relativo atto attributivo, mentre con Giustiniano può farsi mediante unico atto”. E “di fronte al silenzio della legge, si discuteva tra gli interpreti se la donazione di tutti i beni comprendesse anche i beni futuri”.
299Biondi, op., ult., cit., pag. 338, il quale richiama a supporto anche quanto
statuito da Cass. 24 aprile 1957, n.1398, Sentenza in cui è stato affermato che. “L’art. 771 c.c., non esclude che, di fatto, anche l’attribuzione di beni
futuri possa essere compresa nell’oggetto di una donazione, ma si limita a sancire la nullità della donazione stessa per quanto attiene ai predetti beni futuri”.
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della donazione”; e tale ragione “consiste nella necessità di frenare la prodigalità del donante”.300
Pertanto, mentre nell’ambito dei rapporti onerosi le contrattazioni sui beni futuri rispondono alla funzione di alimentare il commercio, di provvedere al domani e di assicurare la programmazione delle attività produttive, nei negozi gratuiti questa esigenza non sussiste e si deve dare rilevanza alla necessità di frenare le liberalità; necessità che, sul piano tecnico-giuridico, si traduce in un limite posto, per ragioni di ordine pubblico, al potere di impoverimento proprio per arricchire altri, che l’ordinamento riconosce al soggetto donante.301
Se questa fosse la ratio del divieto di donare beni futuri, l’art. 771 c.c. dovrebbe qualificarsi come norma materiale della donazione, e, in quanto tale, applicarsi anche alle liberalità indirette riconducibili all’art. 809 c.c.
Ciò detto, simile ratio, si presta ad essere rivisitata alla luce della realtà attuale.
Al giorno d’oggi il fenomeno della prodigalità è più facile da controllare, sia a livello sociale che familiare, tuttavia resta la necessità di contrastare la donazione compiuta dal soggetto che non abbia piena consapevolezza di ciò che sta donando come avviene, per esempio, nel caso della donazione di cose future, là dove il loro contenuto o il loro
300A.Torrente, La donazione, op.cit., pag. 491, U.Carnevali, L’oggetto della
donazione, in Tratt. Dir. Priv. Diretto da Rescigno, Torino, 1982, pag.489,
secondo il quale “la ratio dell’esclusione, più che nel contrasto con l’asserito
principio dello spoglio attuale, è stata esattamente individuata nello sfavore con il quale l’ordinamento considera le attribuzioni a titolo gratuito e nello scopo di porre un freno alle liberalità avventate”.
301Significativa anche l’affermazione di A.Trabucchi, Istituzioni di Diritto
Civile, Padova, 1960, pag.896.”La nullità della donazione di cose future, che colpisce anche l’eventuale donazione di cosa altrui, costituisce un opportuno freno, La donazione di cose future esporrebbe al pericolo di compromettere le future possibilità economiche. È utile poi che il donante senta concretamente il peso del sacrificio che incontra con la sua liberalità”.
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valore non sia identificabile nel momento in cui si esplicita l’animus donandi.
Pertanto, alcuni autori propongono di individuare la ratio dell’art 771 c.c. nella tutela della “libertà informata” del donante, con ciò intendendosi un concetto di informazione come risultato di una vera e propria presa d’atto e di coscienza, da parte del donante, dell’oggetto della donazione.
Nonostante ciò, ancora oggi, la maggior parte della dottrina e della giurisprudenza considera la norma de qua uno strumento per frenare la prodigalità del donante, pur essendo da alcuni giudicata incompatibile con la scelta legislativa di consentire la cd. donazione universale avente ad oggetti tutti i beni presenti del donante.302
Qualsiasi ipotesi di individuazione del fondamento del divieto di donazione di beni futuri o altrui si decida di seguire, nessuna di queste sembra poter valere in tutti i casi in cui il “donante indiretto” scelga, avvalendosi di uno degli schemi quali contratto a favore di terzi e, in generale, intestazione di bene in nome altrui, di effettuare un pagamento in denaro o cedere in permuta un proprio bene presente per far ottenere al beneficiario la proprietà di una cosa futura o di una cosa altrui.303
Tenendo presenti le diverse possibili ratio sottese all’art. 771c.c., lo si potrebbe ritenere inapplicabile alle donazioni indirette, nei casi in cui il disponente esaurisca la sua prestazione al momento del perfezionamento del negozio-mezzo, ossia quando ceda in permuta un suo bene presente come corrispettivo di un bene da donare, o quando sia lui a pagare il prezzo di acquisto del bene da donare, in via indiretta, al beneficiario. In questo caso infatti, la futurità o altruità
302G.Bonilini, Le donazioni, op.,cit., pag. 440.
303C.De Lorenzo, Divieto di Donazione di beni futuri e donazioni indirette,
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riguarda solo l’arricchimento del beneficiario, mentre l’impoverimento del donante è contestuale all’atto di liberalità indiretta.304
Al contrario, potrà considerarsi applicabile l’art. 771 c.c. alle donazioni indirette, in quei casi in sui sia proprio il disponente ad assumere, nel negozio-mezzo, il ruolo di colui che cede la cosa futura o la cosa altrui come corrispettivo di una somma di denaro o di un altro bene del quale si intenda arricchire il beneficiario.305