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PARTE II: IL CIELO TRA LE MANI: PROBLEMATICHE STORICO-CULTURALI

Capitolo 3. Origini Composite

3.2 Luci di fede

La Face di Campobasso, inglobata, in un processo di trasformazione scenografico, nel Mistero di Sant'Isidoro, è la più antica macchina processionale cittadina, risalente al XIV secolo. Faci o faglie sono lasciate in eredità alla chiesa di Sant'Antonio e all'ospedale: "testator legavit reliquid et dari voluit ecclesie Sancti Antonii hospitalis fraternitatis Campibassi Facem unam de cera librarum un- decim"1075. Il Corso gli attribuisce una funzione votiva: inizialmente i ceri, candelieri, gigli, faci, secondo la tradizione in cui s'inseriscono, sono parte dell'offerta rituale al patrono del paese da parte di associazioni di fedeli, fino a divenire, in un'evoluzione scenografica, "costruzioni sacre che pel origine e la forma stanno a rappresentare i primi ex voto"1076. Simili pratiche si trovano in tutte le regioni d'Italia e, a Campobasso, prendono il nome di Faci o Faglie. A Gubbio sono i "ceri" che il 15 maggio si portano in processione, evoluzione dei tre ceri o torticci del quattordicesimo secolo. La festa de "li cilii" a Palermo in occasione della processione dell'Assunta ricorda la devozione, scomparsa nel 1820, di offrire una determinata quantità di cera. A Catania, continua il Corso, il 4 febbraio si recano processionalmente candele tanto che la processione prende il nome di "cannalo- ra". Giovani e fanciulle a San Marino nella festa di Sant'Agata portano in processione ceri. La de- scrizione del rituale continua con la citazione di altre forme votive, tra cui spiccano i "Gigli" di No-

1072

V.E.Gasdia, Storia di Campobasso, vol.II,cit., p.551.

1073Ivi, pp.552-553. 1074

"Quest'ultima denominazione si diffuse dalla Francia ad opera dei confrères de la Passion di Nantes i quali dal 1374, sotto tale voce, cominciarono ad allestire, su palchi innalzati davanti alle chiese, composizione drammatiche i- spirate alla vita di santi ed alle Sacre Scritture. Mistero, quindi, parola intesa come simbolo e non un fatto incompren- sibile". A. Trombetta, Fascino e suggestione, cit., ppp.21.

1075

V.E. Gasdia, Storia di Campobasso, vol.I, cit., p. 394, p. 579. cita in nota: AAMC, Fondo Gasdia, Codice diplomatico

campobassano, b.57, 30 aprile 1354; Ivi, b.57, 10 agosto 1373. 1076R. Corso, I carri sacri in Italia, cit., p.336.

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la e le Palme di Nulvi, macchine sopravvissute nel tempo, al contrario delle Faci di Campobasso. E' la storiografia dei Misteri ottocenteschi ad attardarsi nei ricordi di queste semplici macchine proces- sionali. "Un torchione di legno intonacato di cera, sulla cui cima poneasi un pezzo di torchio acce- so, essa però somigliava più a colonna, che a torcia, però che era rizzata sopra un piedistallo, ed a- veva due capitelli dai quali vedeansi sventolar banderuole e pender fiori e spighe di grano ancor verde. Non vi si ponevano persone viventi, ma due grossi angeli di legno, dorati, in piedi, ed in atto di reggerla"1077. De Luca descrive così le due faglie portate in processione la vigilia del Corpus

Domini e la mattina della festa. Albino in una nota offre ulteriori particolari: "le faci (dette anche

faglie) erano due grossi torchioni di legno, vuoti al di dentro, ed intonacati di cera al di fuori, ornati di spighe, di piume, di nastri, di fiori, di banderuole ed altre cose simili. Sulla sommità ardeva una fiammella, simbolo della fede, ed erano fissati sopra barelle portavano in giro per la città a spalla d'uomo, nella vigilia del Corpus Domini e nel mattino della detta festa, innanzi alla processione del Santissimo. Queste faci che dapprima furono due, una dei coloni e l'altra degli artigiani, man mano si moltiplicarono e si trasformarono in diversi altri misterii e congegni, e ciascuna classe di artigiani fece il suo. La Face dei coloni fu sostituita dal misterio di San Isidoro, la Face degli artigiani dal misterio di San Crispino"1078. Secondo gli autori l'usanza, radicata nelle corporazioni degli artigiani

e dei contadini, presenti nelle confraternite, era in uso fino agli anni della modifica apportata dal Di Zinno che, dovendone razionalizzare la presenza l'avrebbe sostituita con il Mistero di Sant'Isidoro e San Crispino. La novità, commenta De Luca, non trovò i consensi delle corporazioni che misero in atto una protesta contro le confraternite, continuando nell'antica costumanza. Di qui l'idea scenotec- nica dello scultore e la presenza del grosso "torchione" nel Mistero di Sant'Isidoro. L'idea piacque al punto che la struttura fu costruita a spese degli agricoltori e per un secolo è stata finanziato dagli stessi1079. Addentrandosi nella spiegazione etimologica del nome Trotta la rinviene in una specifica tradizione di Capua del XVII secolo descritta dal Monacho in modo minuzioso. La ritualità è pre- sente nella festa della vigilia revelationis Sancti Stephani precisamente il 2 agosto. La sera una luce rischiara la notte capuana. La Faia è portata in processione fino alla chiesa di Santo Stefano dove continua ad ardere. Il termine, di origine longobarda, significherebbe "arbor glandifera" e va ad i- dentificare una "machina festiva composta da una pertica alta e sottile, o vero canna, con tre cerchi a tre punti, equidistanti tra loro, i cerchi sono ornati di bastoni, nel suo vertice si estolle il segno del- la croce, intorno al piede di esso pendono fronde e falde di papiro di tre o quattro colori, con intagli vaghi e queste sono attaccati ai cerchi, perché non si spostino. Insomma rappresenta la figura di una torre di forma rotonda" 1080. Fin qui la citazione del Trotta che omette una parte importante per ca- pire l'origine della ritualità che, in verità, si avvicina molto alla Faglia natalizia di Oratino, in pro- vincia di Campobasso. Andando a consultare la fonte originale, il Monaco formula un'ipotesi: ini- zialmente queste machine erano definite pharos, seu pharas, seu phara, successivamente, nella corruzione lessicale assunsero il nome di faios o faia. Commentando afferma:"infatti i fari sono lucerne o lampade poste in alto che esistevano di frequente nelle chiese..."1081. Nel caso di Capua le sette chiese della cittadina le accendevano nella festa di Santo Stefano per dar luce ai ministri che

1077C. De Luca, Ricordanze patrie, cit., p.37. 1078

M. Ziccardi, I Cappuccini in Campobasso,o la Pace. Cronaca del secolo XVI, ristampata in più facile lettura, cit., nota a, p.147.

1079"Col capitale assegnato a questo misterio fu comprato una porzione di terreno, che volgarmente chiamasi la pezza

della faglia, e della cui rendita pagava anzitutto che abbisognava per la macchina". C. De Luca, Ricordanze patrie, cit., p.35.

1080

L.A.Trotta, Reliquie dei Misteri in Molise, cit., pp.45-46.

1081Sanctuarium Capuanum, collectore Michele Monacho, Neapoli, apud Octavium Beltranum, MDCXXX, pp.529-530.

Il Trotta l'aveva trascritta a sua volta da un'altra citazione del Dufresne che era incompleta rispetto alle notizie regi- strate dal Monacho. Carolo Dufresne, Domino Du Cange, Glossarium ad scriptores mediae et infimae latinitatis, Editio nova locupletior et auctior, tomus tertius e-k. Venetiis, apud Sebastianum Coleti, MDCCXXVIII, col.292 (p.162).

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cantavano processionalmente l'officio notturno in processione. Un fine pratico che ben presto di- venta un rituale devozionale tramandato nei secoli. Gli allestimenti erano l'orgoglio, in Campobas- so, delle corporazioni, che arricchivano il tronco con "due capitelli dai quali vedeansi sventolar banderuole e pender fiori e spighe di grano ancor verde. Non vi si ponevano persone viventi, ma due grossi angeli di legno, dorati, in piedi, ed in atto di reggerla" 1082. La compagnia accompagnava per le vie la struttura, condotta a spalla, vestita a festa, con "nastri al cappello" e con suonatori di zampogna e di pifferi1083. La Face degli artigiani, inghirlandata di nastri e fiori, era animata musi- calmente da suonatori di violino1084. Ci sono diverse versioni sul materiale con cui era costruita la Face1085: legno intonacato di cera1086, due lunghi cerri lisci rivestiti di cera1087, ordigni somiglianti a faggio1088. Per il Gasdia le Faglie erano "costituite da un fusto di pioppo, pulito e incerato fin quasi alla cima a simulare un tutt'uno con la parte di cera e lo stoppino acceso" 1089. Ciò che risalta è l'uti- lizzo processionale del cero acceso, durante la sera della vigilia, a rappresentare, per il Filippone, "che la vera luce, quale dà vita all'anima, fu sparsa sulla terra col cristianesimo"1090. Riprendendo la stessa motivazione e strumentalizzandola nell'economia della propaganda della Ruralissima Fazio commenta: "inoltre non a caso è innanzi agli altri perché simboleggia l'agricoltura nelle terre del Molise, principale occupazione del nostro popolo e fonte di benessere. Già questa nostra diletta ter- ra fu dichiarata la prima regione agricola, in tempi non molto lontani" 1091.