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di Isabella Patt

2.1 Il neo-nomadismo come attitudine mentale

2.1.1 Il movimento neo-nomade: genes

È in funzione di una visione evolutiva che avrebbe portato l’animale uma- no dal suo stato primitivo, lo “Stato di Natura” di Hobbes – nomade e guer- riero – al suo attuale stato civilizzato dalla cultura – sedentario e lavoratore – che i “nomadi contemporanei” o “nuovi nomadi”, quando provengono da società tradizionalmente nomadi o da gruppi sociali recentemente coinvolti dalle pratiche di spostamento, sono percepiti come espressioni o riattivazio- ni di stili di vita primitivi (Pedrazzini, 2013).

Di conseguenza, il loro posto nel mondo moderno non è percepito n come normale n come funzionale e lo scopo della società stanziale è an- cora quello di limitarne il numero e di reinserirli nel limbo dell’attuale siste- ma sociale. A volte, come alcune tribù delle pianure dei paesi post-sovietici dell’Asia centrale, questi individui continuano a vivere vite semi-nomadi o semi-sedentarie mescolando pratiche a loro tradizionali al carattere innova- tivo di habitat stanziali moderni, compresa l’abitazione. È innegabile che se un certo numero di popoli nomadi sono sopravvissuti nel rispetto delle loro pratiche, la loro esistenza rimane dipendente dalla buona volontà di quegli Stati di cui essi possono non rispettarne i confini che altrimenti dividerebbero i territori e limiterebbero i loro movimenti. È il caso degli abitanti dei grandi deserti del Nord Africa (i eduini del Sahara e i oscimani del alahari), dell’America, dell’Asia (i pastori erranti del deserto del obi) o dell’Ocea- nia (gli Aborigeni australiani), popolazioni verso cui gli Stati moderni tentano di imporre da secoli una sedentarizzazione forzata con sistemi più o meno autoritari, legali o violenti. In Europa, i casi più emblematici sono quelli dei Rom, degli Tzigani, i Sinti e i itani. L’attuale globalizzazione economica e politica dell’Europa ha “inserito” anche queste popolazioni nel novero dell’e- terno popolo dei poveri migranti i cui movimenti sono principalmente dovuti

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all’insicurezza cronica, e ha causato la nascita di nuove forme di discrimi- nazione sociale, razziale, culturale e linguistica di cui queste popolazioni continuano a essere vittime sin dalle leggendarie origini del loro “viaggio” attraverso il continente europeo.

Oggi i “nomadi contemporanei” o “nuovi nomadi” sono una sorta di so- cietà globale che, solo simbolicamente più che nella realtà, assicurano un certo legame tra i nomadi antichi e quelli moderni. Il termine “nuovo noma- de”, infatti, definisce lo stile di vita5 d’individui o di gruppi di persone che vivo- no in legami relativamente mobili e organizzazioni sociali approssimative e che si raccolgono in modo piuttosto casuale in diversi “punti” del territorio per soggiorni momentanei o per attività economiche stagionali e non .

li elementi costituitivi dell’identità comune dei nuovi nomadi si basano su specifiche pratiche di mobilità, usi alternativi di veicoli trasformati in habi- tat mobili, e una posizione definibile “a margine” della società e dei suoi valo- ri dominanti tra cui, soprattutto, la sedentarietà e la residenza fissa7. Queste pratiche possono derivare da tradizionali situazioni d’insicurezza economica ma più di sovente sono una vera e propria scelta di rottura con una società di mercato in cui la mobilità non è altro che la capacità di operare nel sistema ( aufmann, 2008, p. 42). Così, in generale, di là dalle questioni economiche, sono le scelte ideologiche a spingere, oggi come nel passato, i nuovi nomadi a viaggiare.

Quello dei nuovi nomadi “per scelta” è un fenomeno emergente seppur presente nei margini della società contemporanea già da alcuni decenni. Na- sce alla fine del secolo scorso, negli anni ’80, nel Regno Unito e i suoi primi sostenitori – accomunati da una critica radicale al liberalismo thatcheriano che aveva messo per la strada migliaia di persone del proletariato post-in- dustriale – si autodefiniscono travellers, ispirandosi liberamente alle popola- zioni psie irlandesi: abbandonano le città e le abitazioni sovrappopolate per scegliere di vivere per strada e viaggiando8. In seguito, e attraverso la

5 Per “stile di vita” s’intende una composizione – nel tempo e nello spazio – delle attività e

delle esperienze quotidiane che danno senso e forma alla vita di una persona o di un gruppo. La bibliografia su quest’argomento è assai approfondita e variegata, per una disamina di massima si rimanda ai testi seminali di D. Chane (199 ), Lifestyles e P. Valette-Florance (1989), Les

styles de vie, Fondements, méthodes et applications, e alla relativa bibliografie in appendice

ai testi.

Il nomade è caratterizzato dalla mobilità del suo habitat; il “nuovo-nomade” dall’uso di vei- coli che trasforma in una casa mobile, mettendosi così al di fuori delle società contemporanee, dominate dai valori dello stile di vita sedentario e della residenza (Pedrazzini, 2013).

7 Uno stile di vita sedentario favorisce la stabilità e gli ancoraggi sociali e spaziali. Nelle

società occidentali contemporanee, gli stili di vita sedentari mirano a evitare il più possibile i cambiamenti sociali e spaziali, diventando il contrario del nomadismo.

8 I travellers sono giovani senza fissa dimora che hanno attraversato l’Inghilterra a bordo di

furgoni, camion militari riattati e vecchie auto; utilizzano Internet per mantenersi in contatto gli uni con gli altri e darsi appuntamento per i Free Festival, gli happening musicali itineranti auto- gestiti a ingresso libero; il fenomeno ha avuto una chiara matrice anglo-americana ma ha preso

cultura techno, è nei rave party in Inghilterra, poi in Francia, e infine in tutta Europa che i travellers forniranno un immagine controversa di queste nuove forme di nomadismo, combinando la precarietà economica, la critica sociale e la cultura urbana in un movimento eterogeneo, spostandolo sulle strade dell’Europa, dell’Africa settentrionale e dell’Asia. Il legame con le culture gi- tane non è solo aneddotico come sembra, ma è innegabile che per capire la cultura, l’economia e la politica dei travellers bisogni riferirsi alle società incerte, post-urbane, post-metropolitane, “liquide” direbbe gmunt auman (200 ) di oggi piuttosto che alle popolazioni dei grandi deserti della Terra.

A tale riguardo, alcuni dei più recenti studi socioculturali e antropologici di questi fenomeni hanno contribuito a mantenere, se non addirittura a sostan- ziare, la parola-chiave “viaggio-instabilità” con la conseguenza di potenziare l’incomprensione della realtà innovativa di queste comunità liquide che in- vece sono perfettamente comprensibili, sia culturalmente che socialmente, se tenute in linea con lo stato caotico della nostra società e non alle sole si- tuazioni del quarto mondo e ai casi sociali. Tale incomprensione di fondo ha portato a ignorare, soprattutto politicamente, il carattere significativo, se non addirittura esemplare, delle intere comunità che essi rappresentano: a titolo esplicativo ma non esaustivo, le tribù metropolitane dei ravers, i cyberpunk, i neohippy, gli stessi travellers.

li obiettivi di questa ricerca, più che al nomadismo tradizionale, puntano ad analizzare queste nuove forme contemporanee di vita nomade – non usuali, non razziali – che stanno alla base del recente cambiamento della mappa etnica del mondo; pur dipendendo ancora dall’eterno desiderio uma- no di muoversi, oggi più che nel passato, si confrontano con il bisogno di fuggire dalla domesticità, di sradicarsi, di abbandonare un mondo di cui l’in- dividuo non sopporta più la ristrettezza. La loro mobilità, fintanto che non se n’è compresa la gestualità, ha combinato in un movimento omogeneo ma al contempo improvvisato e programmato, in un certo impegno fisico per il ter- ritorio, per le persone e i loro mezzi, talvolta anche per l’uso di geek delle te- lecomunicazioni. La scelta dei loro itinerari, le tappe che scandiscono il loro percorso e che riassumono le loro pratiche e il capitale della mobilità, infatti, è il prodotto di un’ibridazione di modi e tecniche di spostamento, raramente teatralizzato come quello dell’ingresso di un circo in città, spesso clandestino e notturno, ma anche momenti d’immobilità più o meno volontaria. Infine, la loro mobilità sociale è anche “ibrida”, paradossale, fatta di viaggi e ritorni: molti poveri oggi sopravvivono più come nuovi nomadi che come sedentari,

piede, poi, velocemente negli altri Paesi europei come la Francia e la Spagna. Secondo stati- stiche non ufficiali, agli inizi del nuovo millennio, nella sola Inghilterra i travellers raggiungevano il mezzo milione di persone, diventando un problema di ordine pubblico, non solo per il giro di droghe più o meno pesanti che ruota intorno ai loro part pubblici ma soprattutto per le continue violazioni delle proprietà terriere. Sull argomento è stato pubblicato in Italia nel 199 il saggio di Richard Lowe e illiam Shaw, Travellers, Voci dei nomadi della nuova era.

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fondendo insieme casa, veicolo e laboratorio, o come “declassati volontari”, in fuga dalle loro origini sedentarie troppo pesanti da vivere. In questo modo, sono diventati nuovi nomadi anche alcuni individui che, precocemente de- stinati all’iper-mobilità, hanno cambiato la situazione diventando ancor più mobili ma fuori dal loro mondo di origine9. In contrasto con le lite sociali iper-mobili del I secolo, i nuovi nomadi hanno pratiche di mobilità piuttosto lente, non esitano a fare deviazioni, a rallentare, a fermarsi sul ciglio della strada, piuttosto che a correre da un punto all’altro per la via più diretta.