• Non ci sono risultati.

IL TESTO NEL METALINGUAGGIO SEMIOTICO: UNA SECONDA APERTURA ALL’ERMENEUTICA

2.7. La nozione di testo nella Scuola di Parig

2.7.1. La nozione di testualizzazione

La nozione di testualizzazione è un luogo teorico problematico della semiotica contemporanea191 che identifichiamo nella Scuola di Parigi. Lo stesso Greimas (1987) aveva denunciato il silenzio attorno a questa nozione, che non ha trovato ad oggi adeguati sviluppi teorici. «1. La testualizzazione è l’insieme delle procedure – volte a costituirsi in sintassi testuale – che mirano a costituire un continuo discorsivo, anteriormente alla manifestazione del discorso in questa o quella semiotica (e, più precisamente, in questa o quella lingua naturale). Il testo così ottenuto, se è manifestato come tale, prenderà la forma di una rappresentazione semantica del discorso.» (DRTL: 359, corsivo nostro). Ciò che emerge immediatamente da questa definizione è la relazione definitoria fra testualizzazione e manifestazione. L’interdipendenza fra queste due nozioni è una conseguenza dello spostamento compiuto da Greimas (1966) dell’asse immanenza/trascendenza

191 A testimonianza di questa difficoltà portiamo il paragrafo «Il problema della testualizzazione: un nodo non risolto »

della tesi di dottorato di Daniela Panosetti discussa nella scuola di semiotica di Bologna nell’A.A. 2006/2007, Il testo

che caratterizza la teoria del linguaggio hjelmsleviana all’asse immanenza/manifestazione192. «In effetti, l’opposizione tra immanenza e manifestazione si fonda essenzialmente sul modo di esistenza che oppone il non-realizzato al realizzato» (Zinna 2008: 9-10). Ciò significa che Greimas schiaccia la nozione hjelmsleviana di manifestazione su quella di realizzazione, creando così un’opposizione fra virtuale e reale, sotituendo poi il reale con il manifestato. Nella teoria del linguaggio hjelmsleviana, infatti, la manifestazione restava virtuale, perché «ha a che fare con quanto vi è di stabile nell’uso» (Caputo 2010: 82), mentre la realizzazione è ciò che concretamente si presenta disponibile all’analisi particolare. Una discussione della relazione fra manifestazione e realizzazione l’abbiamo già trovata proprio in merito alla definizione della nozione hjelmsleviana di testo (§ 2.6), proseguendo la discussione aperta da Badir (2000: 113). In questo modo, emerge tanto la complessità della nozione di testo, quanto la sua centralità nel metalinguaggio semiotico. Tuttavia, questa sua centralità dipende anche dal ruolo assunto rispetto alle nozioni hjelmsleviane di

manifestazione e realizzazione:

«la distinzione tra manifestazione e realizzazione permette alla teoria di raggiungere il massimo grado di flessibilità possibile proprio nel momento in cui affronta il rapporto tra la forma e la sostanza. In questo senso il concetto di realizzazione, oltre ad avere un suo fondamento a livello della procedura d’analisi di un testo dato, trova la sua raison d’être anche a un livello più profondo, epistemologico. Detto in altre parole: proprio nel punto in cui lascia intendere in che modo i suoi oggetti (ma anch’essa stessa) si rapportano con la realtà extralinguistica – che è il punto d’incontro tra noumenico e fenomenico – la teoria si presenta più flessibile, più faible e dunque più adeguata.» (Rajnović 2004: 117).

192 Il concetto di immanenza nell’ambito dell’epistemologia hjelmsleviana è complesso. Attraverso le parole di

Prampolini (2005), ricordiamo come i concetti di immanenza e trascendenza si definiscono reciprocamente. « a)

Immanenza è ancora termine antonimo rispetto a trascendenza; ma non è in opposizione con trascendentalità, con cui

condivide la nozione di costitutività ovvero di presenza necessaria. B) Con movimento sinclinale e conforme a

trascendentale, immanente slitta da termine ontologico a termine epistemico. Non si riferisce solo a essenza o entità che

si rende manifesta; ma si riferisce anche a condizione; a condizione di possibilità della manifestazione e della sua conoscenza. Le condizioni di sussistenza diventano condizioni costitutive di conoscenza. Ed è prevalentemente in questa versione epistemica che ritroviamo il termine immanente nella glossematica.» (Prampolini 2005: 111). Il termina

immanenza si delinea in parallelo al termine trascendenza, presupposta dal linguaggio stesso (Prampolini 2006). C’est

que l’immanence trouve également à s’opposer deux fois au trascendental, une fois au sein de la discipline lingusitique et une fois sur le plan de la théorie. Comment cela est-il possible ? Comment une description du langage peut-elle être qualifiée de trascendentale ? C’est que Hjelmslev ne prend pas ce terme dans son sens kantien, mais dans un sens épistémolgique (cf. PTL: 13). Une connaissnce trascendantale est une connaissance qui vise au delà de l’objet sur lequel elle s’applique. In fine, les descriptions linguistiques trascendentales se destinent à des connaissances non linguistiques, telles la psychologie, la logique et l’ontologie.» (Badir 2001: 149). La relazione fra immanenza e trascendenza si ripercuote, quindi, non solo nella semiologia, cioè innanzitutto in una teoria della lingua, ma anche nella semiotica, intesa in senso ampio come teoria del linguaggio (§ 1.2). Immanenza e trascendenza ritornano, allora, in chiusura a I

fondamenti di una teoria del linguagio (FTL: 136), passaggio spiegato dallo stesso Prampolini (2005: 127-129).

«Prevale il senso epistemico. Immanente è collegato a metodo, indica condizione e procedura (il termine glossematico sarà: operazione) da seguire per produrre descrizioni corrette di fatti grammaticali.» (Prampolini 2005: 122).

La relazione fra manifestazione e realizzazione nella teoria glossematica permette di comprendere la centralità della nozione di testo193: «proprio nel punto in cui [la teoria] lascia intendere in che modo i suoi oggetti [i testi] (ma anch’essa stessa) si rapportano con la realtà extralinguistica» (Ibidem) la flessibilità prevista dalla teoria stessa provvede a risolvere il problema dell’adeguamento fra gli oggetti1 fenomenologici e gli oggetti2 teorici194.

Torniamo, allora, alla definizione di testualizzazione presente nel DRTL. In quanto prodotto dalla deviazione verso la manifestazione del percorso generativo del senso, il testo precede logicamente il discorso, cioè l’effettiva manifestazione delle strutture discorsive (superficiali). Ciò considerato, il testo resta allora in profondità (secondo i termini della semantica strutturale, nella fatticpescie generativa) rispetto al discorso, identificato invece nelle strutture superficiali. «2. In quanto rappresentazione semantica, questo testo è indifferente ai modi semiotici di manifestazione che gli sono logicamente ulteriori.» (DRTL: 358). Il discorso, in quanto prodotto di un atto di enunciazione, è perciò «ulteriore» rispetto al testo che logicamente lo precede. Questa anteriorità logica del testo suppone, da un lato, una visione universalistica del senso, ossia la possiblità che uno stesso senso possa presentarsi in strutture discorsve diverse; dall’altro, suppone che le strutture discorsive non possano retroagire in qualche modo e ridefinire quella stessa «rappresentazione semantica del discorso». È possibile, perciò, parlare di testo in relazione a semiotiche differenti, senza che il tipo di semiotica intervenga direttamente nella sua stessa definizione. La nozione di

testo, allora, non rappresenta in questo caso un oggetto1 fenomenologico, non ha cioè la stessa

193 Tuttavia, non ci soffermeremo sulla relazione forma/sostanza, schema/uso nel cui ambito si genera la discussione

sulla relazione manifestazione/realizzazione. Abbiamo parzialmente affrontato questo aspetto nel paragrafo dedicato al livello valutativo/interpretativo della sostanza (§ 1.5.1). Per una discussione più dettagliata, cf. il paragrafo «Immanenza, manifestazione, realizzazione» in Caputo (2010: 77-83).

194 Caputo (2010) fornisce un’interpretazione del concetto di testualizzazione nell’ambito della stessa teoria

glossematica. Nonostante questa interpretazione non sia coerente né rispetto alla definizione di testualizzazione che troviamo nel DRTL, né rispetto al problema sollevato dall’interazione fra le nozioni di testo, manifestazione e

realizzazione, riportiamo comunque un passaggio della sua argomentazione: «il suo [di Hjelmslev] obiettivo è la

descrizione del sistema; di fatto, però, «l’analisi parte dal testo, e nei testi non esistono unità il cui significato si esaurisce nella denotazione» (ivi, p. 118). La glossematica esce così dalla testualità ristretta della filologia e dalla solitudine del segno. Inoltre, con le semiotiche connotative e le metasemiotiche Hjelmslev ha colto la crescita della semiosi e delle semiotiche che la studiano, fino a giungere di nuovo alle cose, alla descrizione della sostanza-materia. Egli apre in tal modo una prospettiva che fuoriesce dalla semantica dizionariale. La forma del segno è pertanto il luogo di un intreccio, è un testo [p.135] (textus). Tutta la semiobiosfera (la materia fisica e culturale […]) è coinvolta nella produzione di segni, seppur con incidenze o intrecci diversi delle sue varie componenti. La testualizzazione è un percorso orientato e connotato che trascina con sé le altre connotazioni e interpretazioni; è aperta al susseguirsi, all’accavallarsi infinito degli interpretanti. In tal modo il testo (o il segno) si protende oltre se stesso, nell’intertesto o nell’intersemiotico, verso il suo prima e verso il suo dopo; esso non si esaurisce nell’orizzonte della contemporaneità e perciò non può essere compreso semplicemente dal suo inserimento in un quadro sincronico. In quanto processo illimitato di semiotizzatione, la testualizzatione è l’uso del sistema semiotico, la sua determinazione […] in occorrenze particolari, legate alla comunicazione. Il processo marca o intensionalizza il sistema, sicché ci si trova di fronte a un’opposizione partecipativa fra estensivo e intensivo. L’estensione del sistema viene calata nel tempo del testo, viene cioè disposta in relazione ai parlanti, ai discorsi, alle istanze enuncianti, a una tensione dialogica.» (Caputo 2010: 134- 135).

realtà della nozione di discorso. Il testo ha una realtà astratta (cap. 6). Esso condivide, perciò, lo statuto di qualsiasi termine appartenente a un qualsiasi metalinguaggio.

L’impossibilità che una particolare forma di manifestazione di quelle «strutture discorsive» possa retroagire su quella «rappresentazione semantica», o meglio possa contribuire a determinare quella stessa «rappresentazione semantica» che qui si chiama testo, ha come conseguenza una mancata solidarietà (nel senso hjelmsleviano del termine) fra la «sostanza dell’espressione» e la «sostanza del contenuto». Esse non si trovano più in correlazione, bensì la «sostanza del contenuto» diventa logicamente antecedente rispetto alla «sostanza dell’espressione». La solidarietà, intesa quindi nel senso di reciproca determinazione, fra «sostanza dell’espressione» e «sostanza del contenuto» viene meno, e con questa uno dei pilastri dell’epistemologia hjelmsleviana. Insieme a questa, viene meno, inoltre, la possibilità di considerare come significativa la particolare «sostanza dell’espressione» di alcuni particolari «oggetti di scrittura» (Zinna 2004).

«Il testo si definisce così in rapporto alla manifestazione che precede, e unicamente in rapporto ad essa; non è il punto d’arrivo del percorso generativo totale, considerato come passaggio dal semplice al complesso, dall’astratto al figurativo. La testualizzazione costituisce, al contrario, un arresto di questo percorso, a un momento qualsiasi del processo, e la sua deviazione verso la manifestazione. Così, quando si vuol dare una rappresentazione di uno o dell’altro dei livelli del percorso generativo (della grammatica profonda, della grammatica di superficie, dell’istanza figurativa, ecc.) si procede immediatamente alla testualizzazione di questo livello (cioè dei dati dell’analisi di questo piano).» (DRTL: 359).

La nozione di testo precede, allora, sia logicamente che cronologicamente quella di

discorso: la testualizzazione è manifestazione e il testo è ciò che viene ad essere manifestato sotto

forma di discorso. Infatti, nel momento in cui diventa una realtà fenomenologica, esso non è più

testo, bensì discorso. La nozione di testo precede, allora, anche ogni possibilità di fare esperienza

con un oggetto linguistico o semiotico in generale.

Possiamo, allora, riassumere nei punti seguenti la complessità delle definizioni di testo in relazione alla definizione di testualizzazione:

- definito dal punto di vista dell’analisi, il testo è un oggetto astratto;

- definito dal punto di vista del percorso generativo del senso, il testo è la «rappresentazione semantica del discorso», indifferente alle forme di manifestazione semiotica e, in questo senso, precedente rispetto alla sua stessa manifestazione: è la possibilità stessa di un oggetto di senso;

- definito rispetto alla sua manifestazione, il testo è un momento di arresto del processo stesso di manifestazione, ossia un oggetto fenomenologico. La testualizzazione è,

infatti, un arrestarsi di questo processo di generazione del senso e una deviazione di questo verso la manifestazione.

In questo modo, l’analisi dei piani di manifestazione del testo (sintattico, semantico, ecc.) presuppone una testualizzazione già compiuta. Al momento del suo compimento, la testualizzazione si scontra, però, con i limiti imposti dalla «materia dell’espressione» che le consente di manifestarsi. Quando si tratta del testo linguistico, la «materia dell’espressione» in questione è, appunto, la sua linguisticità. E dal momento in cui si tende a considerare il testo linguistico innazitutto come testo linguistico scritto, allora il primo limite che la testualizzazione deve affrontare riguarda la linearità della «sostanza dell’espressione»195.

Il concetto di linearità che è qui in questione è preso in prestito alle teorie linguistiche. Si parla, cioè, di «linearità spaziale» nella linguisticità scritta e «linearità temporale» nella linguisticità orale196. Ciò che queste due declinazioni della linearità condividono è la successione fra gli

elementi linguistici. Tuttavia, considerando la linearità in ciascuna delle due dimensioni linguistiche (scritta e orale) separatamente, ci accorgiamo immediatamente che l’espressività linguistica non può essere ridotta alla sola successione di elementi linguistici. Quindi, se linearità vuol dire successione, l’espressività linguistica non può ridursi alla sola linearità (Adam 2008: 38-39, 43). Tuttavia, a causa dell’assimilazione della scrittura nell’accezione comune di testo (§ 2.7), la

testualizzazione viene identificata alla linearizzazione. A ben guardare, però, le due nozioni di

195 Così possiamo leggere nella definizione di testualizzazione presente nel glossario del Précis de sémiotique littèraire

di Bertrand (2000), questo processo di «mise en texte» viene immediatamente identificato con la linearizzazione del testo linguistico, dovuta alla linearità della «sostanza dell’espressione» del testo linguistico scritto. « Disposition de données discursives selon les contraintes dues à la linéarité de la manifestation verbale. Ainsi, deux actions prallèles ne peuvent être narrées simultanément : leur textualisation oblige à placer l’une avant l’autre, ou à occulter l’une pour que l’autre apparaisse. Cette « programmation textuelle » contraignante laisse en même temps une marge stratégique à l’énonciateur dans l’organisation de son texte. Lors de la textualisation, le choix de la perspective du héros ou d’un anti- héros détermine la selection des valeurs. Il peut aussi, en exploitant l’élasticité du discours, faire jouer les possibilités de la condensation (réduction, résumé jusqu’à la simple lexicalisation) et de l’expansion (amplification du texte). Le déroulement de la textualisation est ainsi relativement autonome par rapport à la programmation narrative elle-même. » (Bertrand 2000: 266-267).

196 La linearità spaziale del significante linguistico scritto viene presa come modello della linearità temporale del

significante linguistico orale. Nel suo La sémiologie de l’écriture (1993), Roy Harris scrive che la linearità della scrittura non è la stessa linearità che si attribuisce alla parola parlata. La scrittura, infatti, dispone non soltanto della successione lineare, ma di tutto un insieme di contrasti non lineari e supplementi. A tal proposito, Harris analizza la relazione fra scrittura e superficie attraverso ciò che chiama «le principe du casier» (Harris 1993: 229), secondo cui la superficie offre alla scrittura non soltanto una bidimensionalità (ed anche tridimensionalità, ad esempio se il supporto non è la pagina, ma una tavoletta d’argilla) sconosciuta alla parola parlata, ma la possibilità di organizzare significativamente le relazioni spaziali fra gli elementi di scrittura. Inoltre, Harris mette in discussione l’interscambiabilità della nozione di linearità fra oralità e scrittura. Questa confusione deriverebbe dalla pretesa linearità del significante nella sua dimensione orale, che deriverebbe in realtà dall’assunzione della linearità della scrittura come modello di rappresentazione della produzione orale. Per un approfondimento sulle critiche rivolte alla concezione saussuriana della linearità del significante, cf. Harris (1987: 67-89, 124-127). Attraverso l’analisi di una serie eterogenean di esempi, Harris (1993: 279-296) dimostra allora l’attribuzione impropria di linearità alla scrittura, non essendo i segni scritti unidimensionali; inoltre, Harris mette in guarda sulla confusione continuamente reiterata fra linearità e allineamento, che deriva dalla disposizione degli spazi grafici in una superficie bidimensionale, così come fra linearità e direzione.

testualizzazione e linearizzazione non sono perfettamente sovrapponibili. Una nozione più ampia di testualizzazione si fa strada, in quelche modo, nell’eterogeneità delle produzioni linguistiche scritte:

«si può dunque distinguere una programmazione testuale propriamente detta (è così che due programmi narrativi concomitanti saranno necessariamente disposti in successione lineare) dalla programmazione temporale (o messa in ordine cronologico dei diversi programmi): questi due tipi di programmazione lasciano tuttavia un margine strategico nell’organizzazione del discorso e fanno parte della competenza discorsiva dell’enunciatore. Lo stesso accade comunque, per lo sfruttamento dell’elasticità del discorso, che rinvia allo stesso tipo di competenza. Queste due forme d’intervento dell’enunciatore costituiscono le procedure di testualizzazione (nel senso lato del termine), procedure alle quali si può collegare, per esempio, l’anaforizzazione, e che, sotto una certa prospettiva, sembrano più o meno coestensive alle preoccupazioni dell’antica retorica.» (DRTL: 360).

Seguendo proprio le definizioni che della testualizzazione vengono date nel DRTL, possiamo riconoscere una testualizzazione «in senso stretto» e una testualizzazione «in senso lato». La correlazione fra testualizzazione e linearità permette di distinguere una «programmazione testuale propriamente detta» e una «programmazione temporale». La prima, allora, sembra adeguata a spiegare ciò che nel DRTL viene chiamato discorso e il discrimine con la nozione di testo è costituito dalla manifestazione. Da questo punto di vista, infatti, discorso e testo individuano due oggetti diversi, a sua volta definiti tali da due diversi tipi di analisi. Ed è in questo varco aperto dalla nozione di manifestazione che possiamo ritrovare lo spazio per la differeziazione fra semotiche

discorsive e semiotiche testuali (cap. 6). La nozione di testualizzazione rinvia, infatti, ad una

«sintassi testuale» intesa come l’insieme delle procedure di testualizzazione. Ma dal momento in cui la testualizzazione viene considerata «in senso ampio», ecco che le nozioni di discorso e testo tornano a confondersi nuovamente.

Dall’analisi di alcuni particolari «oggetti di scrittura» (Zinna 2004) emerge con evidenza come la nozione di linearizzazione rappresenti in realtà una restrizione rispetto alla nozione di

testualizzazione197, i cui meccanismi restano ancora tutti da chiarire. La linearità della «sostanza dell’espressione» del testo linguistico scritto viene compensata dall’elasticità propria alla linguisticità stessa198. Così considerata, la testualizzazione è la capacità del testo di sfruttare i

197 Per un approfondimento sulla nozione di testualizzazione, ci permettiamo di rinviare a De Angelis (2008, 2010b). In

altre occiasioni abbiamo analizzato dei controesempi di testi linguistici in cui testualizzazione non coincideva in senso stretto con linearizzazione. Glas di Jacques Derrida (1974) è, ad esempio, uno dei testi linguistici scritti che rompono le concezioni comuni sulla linearità della scrittura. Dalle nostre ricerche in questo ambito– tuttora in corso – possiamo affermare che esiste un gruppo di testi filosofici la cui realizzazione scritta rimette in discussione il principio di linearità della scrittura.

198 «L’elasticità del testo, da parte sua, si definisce come attitudine del discorso a mettere in piano le gerarchie

semiotiche, cioè a disporre in successione segmenti che partecipano di livelli assai diversi di una semiotica data (un dibattito, per esempio, può inscriversi nel discorso sotto forma del lessema «discussione», ma anche tramite una frase complessa o una sequenza dialogata). Si tratta allora, quando si traggono i maggiori vantaggi dalla linearità o si

vantaggi offerti dalla stessa materia di manifestazione che gli ha precedentemente imposto i suoi limiti. La testualità si rivela, allora, una lotta fra linearità ed elasticità nell’ambito stesso della linguisticità del testo. La testualizzazione rimette in discussione i limiti imposti dalla manifestazione, dal momento in cui la manifestazione del testo deve scontrarsi con la «materia dell’espressione». Ciò permette di riconoscere il testo non soltanto come un oggetto astratto, ma nello stesso tempo anche come un oggetto fenomenologico199. Accettando o superando i limiti imposti dalla «materia dell’espressione», la testualizzazione individua quindi gli elementi e gli aspetti del testo (qualsiasi cosa esso sia) che sono oggetto di interpretazione. Essa rappresenta, perciò, la soglia critica nel passaggio dall’analisi semiotica all’interpretazione ermeneutica. Nella teoria glossematica di Hjelmslev il senso è un «supporto originario» (l’espressione «support

premier» è di Ablali 2003: 76) che consente a una forma del contenuto di manifestarsi come

sostanza del contenuto.

«Sans doute la dichotomie sens/forme n’est établie par Hjelsmlev que pour servir en premier lieu de repoussoir au principe de l’immanence permettant d’écarter de la théorie toute appréhension du texte comme un conglomérat de faits extra-linguistiques et métaphysiques. On voit ici avec une pleine clarté la présence de Hjelmslev dans la sémiotique greimassienne, surtout dans l’homologation que nous pouvons établir respectivement entre ce que Copenhague appelle forme et sens, et ce que nous retrouvons dans l’École de Paris sous la forme de “immanence” et “manifestation”» (Ablali 2003: 76-77).