IL TESTO NEL METALINGUAGGIO SEMIOTICO: UNA SECONDA APERTURA ALL’ERMENEUTICA
2.3. La nozione di discorso negli strumenti semiologic
2.3.1. Problemi epistemologici di una definizione semiotica
Passiamo adesso all’analisi della voce discorso contenuta nel DRTL. «In un primo approccio, si può identificare il concetto di discorso con quello di processo semiotico, e considerare rilevante per la teoria del discorso la totalità dei fatti semiotici (relazioni, unità, operazioni ecc.) situati sull’asse sintagmatico del linguaggio.» (DRTL: 86). L’incipit di questa prima definizione ripropone immediatamente gli stessi criteri di definizione della nozione di testo, come vedremo in
“libertà individuale” di chi parla (dirà Saussure, pur esitando, nel terzo corso), o alla potenzialità della langue (come già qui [SLG: 66] pare accennare la seconda specificazione e Saussure dirà poi più di una volta) ?» (De Mauro 2005: 66, n. 81). Questa oscillazione teorica è trattata da De Mauro anche nella nota 251 al CLG.
146 Nella definizione di «discorso indiretto» fornita da Rey-Debove (1979), ad esempio, torviamo un’estensione della
relazione significante/significato alla frase, quindi oltre la dimensione del segno linguistico. Questo risente delle letture hjelmsleviane che filtrano la ricezione della teoria linguistica saussuriana.
147 In questa direzione vanno anche le definizioni di discorso e testo che ritroviamo nel glossario del saggio di Scholes
(1982), Semiotics and Interpretation. «Discourse This word is used in a number of related but far from identical ways. It can refer to the words or text of a narrative as opposed to the story or diegesis. It can also refer more precisely to those aspects of a text which are appraisive, evaluative, persuasive, or rhetorical, as opposed to those which simply name, locate, and recount. We also speak of “forms of discourse” as generic models for utterances of particular sorts. Both the sonnet and the medical prescription can be regarded as forms of discourse that are bound by rules which cover not only their verbal procedure but their social production and exchange as well.» (Scholes 1982: 144). «Text A set of signals transmissed through some medium from a sender to a receiver in a particular code or set of codes. The receiver of such a set of signals, perceiving them as a text, proceeds to interpret them according to the code or codes that are available and appropriate. To approach a literary utterance as a text is to consider it, in this manner, as open to interpretation though related to certain generic norms. In this sense text is opposed to work, which implies a closed and self-sufficient entity. This is not a rigid distinction but a matter of emphasis and nuance.» (Scholes 1982: 149).
seguito (cf. §§ 2.7 ss.). I termini «processo semiotico», «relazioni, unità, operazioni», «asse sintagmatico» rinviano evidentemente alla teoria del linguaggio hjelmsleviana, ciò che attesta ancora una volta la filiazione epistemologica del DRTL. Bisogna sempre tener presente, infatti, che l’epistemologia hjelmsleviana rappresenta lo sfondo teorico sul quale è costruita la terminologia del DRTL. Tuttavia, la nozione di discorso eccede i criteri di definizione disponibili nella suddetta epistemologia hjelmsleviana. Il discorso è, innanzitutto, «un insieme di pratiche discorsive» (DRTL: 86), linguistiche e non linguistiche. Più generalmente, esso individua immediatamente un insieme di comportamenti significativi che costituiscono nel complesso la semiosi umana. Torniamo, allora, a quella nozione di discorso come azione pratica fornita da Rey-Debove (1979). Nel caso delle pratiche discorsive che hanno natura linguistica, però, troviamo nel DRTL una sovrapposizione esplicita fra le nozioni di discorso e testo.
«Prendendo in considerazione le sole pratiche linguistiche, si dirà che il discorso è l’oggetto di sapere cui mira la
linguistica discorsiva. In questo senso, esso è sinonimo di testo: certe lingue europee, non possedendo equivalenti della
parola discorso, sono portate a sostituirla con la parola testo e a parlare di linguistica testuale. D’altra parte – estrapolando e a titolo d’ipotesi, forse feconda – i termini discorso e testo sono stati impiegati per designare anche
processi semiotici non linguistici (un rituale, un film, un fumetto sono allora considerati discorsi o testi): l’impiego di
questi termini postula l’esistenza di un’organizzazione sintagmatica sottintesa a questo genere di manifestazioni.» (DRTL: 86, corsivo nostro).
Due sono le osservazioni che ci portano a ricorstruire il destino della nozione contemporanea di testo, che deve misurarsi continuamente con la nozione di discorso, e a rimettere in questione il suo ruolo nell’affermarsi delle «divisioni disciplinari» (Chiss & Puech 1999) nella seconda metà del XX secolo: 1) discorso diventa sinonimo di testo, pur sapendo che linguistica
discorsiva e linguistica testuale sono due campi disciplinari assolutamente diversi (cap. 6); 2) se «i
termini discorso e testo sono stati impiegati per designare anche processi semiotici non linguistici» (Ibidem), sono passati, perciò, dall’essere nozioni strettamente linguistiche ad essere nozioni generali. Gli interrogativi che si aprono da queste osservazioni sono, allora, i seguenti: 1) l’identificazione di discorso e testo non è dovuta alla mancanza in «certe lingue europee»148 dell’equivalente del termine discorso, «concetto che si è sviluppato nel contesto francese» (DRTL: 88), bensì all’identificazione di entrambe con la nozione hjelmsleviana di «processo semiotico», che però nella teoria del linguaggio hjelmsleviana si identifica nella sola nozione di testo; 2)
148 Questa posizione è ribadita nella definizione della voce testo. «Il termine testo è spesso assunto come sinonimo di
discorso, soprattutto in seguito a interpenetrazioni terminologiche con le lingue naturali che non possiedono l’equivalente del vocabolo discorso (francese e inglese). In questo caso la semiotica testuale non si distingue, in linea di principio, dalla semiotica discorsiva. I due termini – testo e discorso – possono essere applicati indifferentemente per designare l’asse sintagmatico delle semiotiche non linguistiche: un rituale, un balletto possono essere considerati come testo o come discorso.» (DRTL: 358).
l’ampliamento da nozione strettamente linguistica a nozione generale riguarda il termine discorso principalmente da un punto di vista filosofico (cap. 5), mentre concerne ampiamente la nozione di
testo (cap. 6), che attraverso questo passaggio ha contribuito all’affermarsi delle contemporanee
«divisioni disciplinari» (Chiss & Puech 1999).
Ancora una conseguenza deriva da questa prima definizione di discorso. Identificandosi come «processo semiotico», il discorso tende «a designare, metonimicamente, questa o quella semiotica nel suo insieme (in quanto sistema o processo)» (DRTL: 88). Il termine discorso assume, allora, un’ambiguità caratteristica e fruttuosa. «Un campo semiotico può essere detto discorso (discorso letterario o filosofico, per esempio) per effetto della sua connotazione sociale, relativa al contesto culturale dato» (DRTL: 88). Il termine può identificare, allora, contemporaneamente tanto il processo, quanto l’intera semiotica, nonostante questi termini facciano parte di due ordini diversi nell’epistemologia hjelmsleviana. Ciò giustifica l’espressione usata da Rey-Debove (1979), secondo cui in una teoria semiotica del linguaggio, il discorso «è il senso familiare del termine (es. «un discorso politico», «il discorso narrativo»)» (Rey-Debove 1979: 49, trad. nostra). Questa sovrapposizione per metonimia fra «processo semiotico» e «semiotica», «ripropone il problema della definizione della semiotica (in quanto oggetto di conoscenza e oggetto costruito dalla descrizione)» (DRTL: 88). Questo problema sarà ancora più evidente in merito alla nozione di
testo.
Così come abbiamo visto nella definizione proposta da Rey-Debove (§ 2.3.), discorso non è soltanto una pratica («pratiche discorsive»), ma è anche il risultato di una produzione, linguistica e non linguistica. «In un quadro teorico un po’ diverso – ma non contraddittorio con il primo – il discorso può essere identificato con l’enunciato.» (DRTL: 86). E qui per enunciato si intende il prodotto generico di un’enunciazione, linguistica e non linguistica. Ciò vuol dire che «l’enunciato (= ciò che è enunciato)» (Ibidem) è un concetto generico. Con questo concetto si intende il prodotto di un tipo di azione (poietica), diversa dall’azione (pratica) presupposta dalla prima definizione di
discorso. Su questa identità fra discorso ed «enunciato (= ciò che è enunciato)» (ibidem) si fonda il
passaggio da una nozione strettamente linguistica di discorso a una nozione generale, attraverso la mediazione costituita dell’espressione «discorso-enunciato» (Ibidem) con cui si conclude questa seconda definizione della nozione di discorso.
Ancora un’affinità con la nozione hjelmsleviana di testo (§ 2.6) risiede nel considerare il
discorso come totalità. «Se si postula […] in partenza che l’enunciato-discorso formi una totalità,
allora le procedure da utilizzare devono essere deduttive – e non più induttive – e consistere nell’analisi dell’insieme discorsivo nelle sue parti componenti.» (DRTL: 87). Considerato come
che mira a individuare le parti di cui si costituisce e le relazioni fra queste. I due aspetti però si coimplicano: ciò che viene considerato come una totalità può trovare spiegazione nell’analisi delle parti di cui si compone e delle relazioni fra queste, ma a loro volta le parti che compongono la totalità trovano giustificazione nell’insieme stesso. Ciò che emerge, allora, è la difficoltà di stabilire un approccio alla descrizione del discorso, difficoltà che sembrerebbe dipendere dalla scelta operata fra due principi di analisi, deduttivo e induttivo, (§ 3.2.1). Tuttavia, a ben guardare, questi due principi si compensano reciprocamente: 1) se assumiamo un principio deduttivo nell’analisi, allora possiamo identificare il discorso come la totalità, ossia l’unità massimale dell’analisi stessa, procedendo, quindi, alla scomposizione di questa totalità nelle sue unità componenti; 2) se invece assumiamo un principio induttivo, siamo obbigati a considerare la retroazione di questa totalità sulle sue componenti, perché il problema è quello di verificare l’adeguamento fra le parti e il tutto. La nozione di discorso come totalità riporta, cioè, in primo piano il problema ermeneutico della relazione fra il tutto e le parti, assunta, però, dal punto vista semiotico, come vedremo anche a proposito della nozione di testo.
Nel corso dell’analisi proposta, bisogna tener presente che il DRTL combina l’approccio strutturale, che deriva dall’assunzione dell’epistemologia hjelmsleviana come fondamento teorico, con l’approccio generativo, che deriva, invece, dall’assunzione delle soluzioni chomskiane il problemi della significazione, la cui presenza nella semiologia esposta nel DRTL ritorna continuamente nelle nozioni di generatività e profondità. Nel quinto paragrafo della definizione di
discorso, leggiamo che «una tale concezione del discorso richiede di essere omologata con le
dicotomie fondamentali lingua/parola, sistema/processo, competenza/esecuzione da una parte, e situata in rapporto con l’istanza di enunciazione dall’altra» (DRTL: 87). La nozione di discorso si pone, allora, al croveia di paradigmi teorici diversi fra loro: langue/parole → Saussure (CLG);
sistema/processo → Hjelmslev (FTL); competence/performance → Chomsky (1957). Tuttavia, il
passaggio dal sistema all’esecuzione (langue/parole), dalle possibilità offerte dal sistema alle realizzazioni effettive (sistema/processo), dalla facoltà generale alla manifestazione individuale149 (competence/performance) presuppone un’istanza di manifestazione che sfugge alla semiologia del
149 Secondo la teoria del linguaggio presentata nel DRTL, possiamo distinguere due diverse competenze, «semio-
narrativa» e «discorsiva strictu sensu». La competenza semio-narrativa è presupposta alla possibilità del discorso, cioè permette di disporre di una rete di figure semantiche [……] da rappresentare, anteriore all’enunciazione. Essa dovrebbe, allora, rientrare nella gestione delle strutture profonde cui rinviano a loro volta le strutture narrative, «articolazioni tassonomiche e sintattiche». Le strutture narrative presuppongono una concezione universalizzante tanto delle «strutture profonde» (secondo la teoria del linguaggio di Chomsky), quanto di una rete di «figure del contenuto» (secondo la teoria del linguaggio di Hjelmslev). Questa competenza semio-narrativa rinvia quindi a «forme – classificatorie e programmatrici – dell’intelligenza umana»: una sorta di Gestalttheorie con cui spiegare contemporaneamente la mente e le pratiche umane. La competenze discorsiva si situa alla fine del percorso generativo del senso, si costituisce al momento dell’enunciazione e regge le forme discorsive enunciate. Essa concerne la possibilità stessa di realizzare le strutture discorsive. Tuttavia, essa non è in alcun modo giustificata, né sappiamo qualcosa dei meccanismi che la costituiscono. Essa è, come la precedente, ipostatizzata.
DRTL. Il discorso è contemporaneamente la manifestazione di un atto di enunciazione (azione pratica) e il prodotto stesso dell’enunciazione (azione poietica). Ciò presuppone, allora, necessariamente un’istanza di enunciazione. Essa concerne, però, soltanto un aspetto dell’articolazione di queste dicotomie, trovando evidentemente il proprio fondamento teorico nella teoria della lingua di Benveniste (1966, 1974). L’istanza di enunciazione, «che è il luogo della generazione dei discorsi» (DRTL: 89), apre, allora, a una nuova definizione di discorso, che emerge dalla combinazione dei diversi paradigmi teorici su cui si costruisce la semiologia del DRTL.
«In effetti, se l’enunciazione è, secondo E. Benveniste, la «messa in discorso» della lingua, allora il discorso è proprio ciò che è costituito dall’enunciazione: sostituendo, in questa definizione di Benveniste, al concetto di “lingua” quello di competenza semio-narrativa [cf. nota … di questo §], si dirà che la messa in discorso – o discorsivizzazione – consiste nel farsi carico delle strutture discorsive; il discorso è il risultato di questa manipolazione delle forme profonde, che apporta un surplus di articolazioni significanti. Un’analisi discorsiva, distinta dall’analisi narrativa che presuppone, diventa allora possibile.» (DRTL: 88).
Due osservazioni bisogna fare a questo punto: 1) nel corso del DRTL la nozione di
enunciazione viene sostituita dalla nozione di discorsivizzazione (§ 2.3.2); 2) l’analisi discorsiva150
presuppone l’analisi narrativa: detto altrimenti, la discorsivizzazione presuppone la narrazione. Ciò è riassumibile nella constatazione che la nozione di discorso è determinata tanto dall’enunciazione,
quanto dalla narrazione. La nozione di enunciazione, e per suo tramite quella di narrazione,
trasferisce storicità (contesto) e socialità (soggetto)151 alla nozione di discorso, da cui non è, perciò, possibile che essa si emancipi. È da questo punto di vista, allora, che la nozione di discorso può passare dall’essere una nozione strettamente linguistica ad una nozione generale (cap. 5).
150 Alla prospettiva aperta da un’analisi discorsiva nell’ambito di questa nozione complessa di discorso si aggiungono,
nel secondo tomo del DRTL (1986), un complemento e una proposta di ricerca: «6. [«Une analyse discursive, distincte de l’analyse narrative peut alors être envisagée. »] Elle a pour objectif de décrire, à partir des articulations signifiantes du plan figuratif, les formes plus profondes de cohérence que celles-ci présupposent et qui sélectionnent les valeurs sémantiques actualisées par le discours. La mise en discours s’analyse alors comme l’interaction réalisée des deux dimensions du langage : la dimension figurative, descriptive et représentative du monde et la dimension thématique classificatoire et catégorisante. (L. P.) » (DRTL 1986 : ad vocem).
151 Una delle questioni ancora aperte nella semiotica contemporanea è la definizione semiotica di soggetto. Il
«programma di competenza» di cui si parla nel DRTL rimanda direttamente ai soggetti dell’enunciazione, concepiti già capaci di comunicazione: «gli attanti dell’enunciazione, per il fatto che assumono una competenza semio-narrativa che li oltrepassa e li fa partecipare all’universo semiotico, sono competenti per definizione e “sanno comunicare” senza l’aiuto di parametri psicosociologici.» (DRTL: 88). Questa prima competenza comunicativa è presupposta già da sempre dalla nozione di discorso. Inoltre, poiché il discorso è concepito anche come un «far-fare», cioè come un atto di linguaggio che implica una certa concezione dell’azione, il discorso rimanda contemporaneamente anche a un «programma di performanza», quindi a una seconda competenza dei soggetti, capaci di agire efficacemente. Vediamo, allora, che lavorando sulla nozione di discorso la semiotica generativa reintroduce il soggetto nel cuore della sua epistemologia. Inoltre, i soggetti compaiono come enunciatori ed enunciatari, ciò che introduce nella semiotica anche la struttura dialogica del discorso ermeneutico. Tuttavia, una teoria semiotica del soggetto resta ancora da costruire.