IL TESTO NELLA SEMIOLOGIA INTERPRETATIVA
3.3. Un’altra teoria del testo in semiotica
3.3.5. Il saussurismo di Rastier
Rastier considera il segno linguistico un «artefatto» (Rastier 1987, 2007b), trascurabile in favore dei testi, soli «oggetti empirici» su cui condurre l’analisi linguistica. Egli propone, allora, una (ri)definizione testuale del segno linguistico283. Il segno altro non sarebbe se non un
281 In diverse occasioni Rastier si è occupato anche specificamente del segno, cfr. ad esempio (Rastier 1996d).
282 «En bref, nous appelerons la première problématique du signe, et la seconde problèmatique du texte. Convenons, en
reprenant une distinction qui remonte au moins à Dumarsais, que la signification est une proprieté des signes, et le sens une “proprieté” des textes. Si l’on approfondit la distinction entre sens et signification, un signe, du moin quand il est isolé, n’a pas de sens, et un texte n’a pas de signification. La notion transitoire de contexte peut servir à opposer ces deux concepts, car la signification résulte d’un processus de décontextualisation, comme on le voit en sémantique lexicale et en terminologie; d’où son enjeu ontologique, puisque traditionellement on caractèrise l’Être par son identité à soi. En revanche, le sens suppose une contextualisation maximale, aussi bien dans la “parole” – le contexte, c’est tout le texte – que par la situation, qui se définit par une histoire et une culture, bien au-délà du hic et nunc seul considéré par la pragmatique. Aussi, alors que la signification est traditionellement présentée comme une relation, le sens peut être représenté comme un parcours.» (Rastier 2001: 7-8). «L’opposition entre les conceptions logico-grammaticale et rhétorique / herméneutique de l’interprétation se concrétise enfin par des différences dans les régimes temporel et aspectuel des processus productifs et interprétatifs. À la régularité distributionnelle et itérative des intervalles égaux du temps logico-grammatical s’opposent dans le temps rhétorique / herméneutique les alternances du ponctuel et du duratif, du perfectif et de l'imperfectif.» (Rastier 2006b: 100).
283 Questa definizione di segno Rastier (2001a: 183) l’attribuiva inizialmente al kenoma, nozione saussuriana riportata
alla luce dai manoscritti saussuriani e pubblicata negli ELG, di cui Rastier aveva già preso visione nel corso della scrittura dell’articolo per gentile consessione di Bouquet, curatore degli ELG.
passaggio284 identificato all’interno di una dimensione che lo comprende, ossia il testo. «L’unità, quale che sia la sua taglia e il suo piano di descrizione, può essere ridefinita come passaggio. Ora, un passaggio non possiede confini fissi e dipende evidentemente dal punto di vista che ha determinato la sua selezione.» (Rastier 2007b: 242, trad. nostra). Quindi è possibile dare del segno una definizione puramente relazionale e contestuale (aggettivo che individua il contributo teorico di Rastier). «Sul piano del significante, si tratta, allora, di un estratto: tra due spazi bianchi, se si tratta di una catena di caratteri; tra due pause o due interpunzioni, se si tratta ad esempio di un periodo. […] Sul piano del significato, il passaggio è un frammento che punta verso i propri contesti sinistro e destro, vicino e lontano.» (Rastier 2007b: 242).
Rastier (2006b: 100; 2007b: 243).
Il prinicipio saussuriano, esplicitato da Hjelmslev (1943b), della non-conformità dei piani del linguaggio mette in evidenza la «rottura ontologica» (Rastier 2001b, 2003) operata dalla nozione saussuriana di segno linguistico, che si realizza attraverso l’assunzione del principio differenziale che porta alla definizione negativa dei segni linguistici: «Il n’y a dans la langue ni
signes [inteso nel senso di «signifiants»], ni significations , mais des DIFFERENCES de signes et des DIFFERENCES de significations : lesquelles 1° n’existent les unes absolument que par les autres, (dans les deux sens), et sont donc inséparables et solidaires ; mais 2° n’arrivent à se corréspondre directement.» (ELG: XVIII). Da questo passaggio si evince, secondo Rastier, che «il
segno non è altro che un momento stabilizzato dell’interpretazione, e un percorso interpretativo può “andare” da un significato a un altro, senza passare per il significante, anche zero, il quale gioca allora il ruolo di interpretante e serve semplicemente a verificare le attese» (Rastier 2001b: 182; Id. 2003: 33). Concepire il segno come un momento del percorso interpretativo permette di restare all’interno della filiazione ermeneutica e riaffermare il primato del globale (il testo) sul locale (il
284 Rastier fa riferimento alla teoria ermeneutica dei passaggi [precisamente richiama «la teoria dei passaggi paralleli di
Hillel l’Ancien» (Rastier 2001b: 184)], secondo la quale un passaggio suppone una selezione, quindi un punto di vista da cui operare la selezione stessa. Determinati dall’analisi, le sue frontiere sono quindi mobili e rinegoziabili.
segno)285. Questa definizione di segno deriva, perciò, direttamente dall’assunzione di una prospettiva interpretativa da cui emerge una diversa teoria del testo. Nella definizione di segno si riassume la differenza fra la teoria del testo di Rastier, messa a punto a partire da una prospettiva
interpretativa che assume come riferimento la tradizione ermeneutica, e la teoria del testo che si
ispira all’epistemologia strutturalista, ponendosi in continuità rispetto alla tradizione logico- grammaticale. Se nella prima, infatti, il segno è un momento del percorso interpretativo, nella seconda esso è un’unità stabilita dall’analisi componenziale286.
Dopo aver messo a punto una teoria del testo, e ritornando contemporaneamente sui manoscritti saussuriani pubblicati negli ELG, Rastier propone, allora, una (ri)definizione del segno linguistico a partire da un modello testuale. La definizione di segno linguistico fornita da Rastier si costruisce sulle relazioni negative e differenziali fra significante e significato, così come reciprocamente fra significanti e significati. Questa definizione di segno linguistico la ritroviamo nel modello del quaternione saussuriano (ELG: 42).
Saussure (ELG: 42)
285 Questa «rottura ontologica» si evince secondo Rastier dal passaggio seguente: «vous n’avez plus le droit de diviser,
et d’admettre d’un côté le mot, de l’utre sa signification. Cela fait tout un. – Vous pouvez seulement constater le kénôme ∩ et le sème associatif ⊃⊂» (ELG: § Kénôme). Secondo Rastier il termine kénôme rinvia al termine greco
kénos = vuoto, ribadendo così la rottura con l’ontologia del segno, e quindi con una «metafisica della presenza» di
derridiana memoria, e associando ad essa la relazione contestuale attraverso la nozione di sema associativo. Perciò il segno è testualmente, ma anche contestualmente definito.
286 «Or, la modélisation immanentiste de la sémiotique classique se résume à établir ou reconnaître des relations ou
fonctions (dans la théorie de Hjelmslev), sans garder mémoire de leur établissement: les structures textuelles sont alors conçues comme des formes stables, objectivées, catégorisées selon les techniques éprouvées de la méthodologie logico- grammaticale. […] Se surimposant à ce type de description, ou le suppleant, la problématique rhétorique / herméneutique considère que les structures ne sont plus des formations ontologiques stables, mais des lieux et moments de parcours productifs et interprétatifs. Leur objectivité tient aux consensus de lecture.» (Rastier 2001b: 185-186; Id. 2003: 36).
Le relazioni negative e differenziali che permettono di determinare i segni linguistici nell’ambito dell’epistemologia saussuriana vengono presentate da Rastier come percorsi (produttivi e) interpretativi elementari, assumendo così la definizione saussuriana di segno linguistico in un ordine ermeneutico287.
Rastier (2001b: 189; 2003: 38).
«Il senso consiste essenzialmente in una rete di relazioni fra significati nell’ambito del testo – e in questa prospettiva, i significanti possono essere considerati come degli interpretanti che permettono di costruire alcune di queste relazioni. Esse rimangono di tipo percettivo: valutazione di similarità, riconoscimento di forma, categorizzazione.» (Rastier 2001b: 189-190; Id. 2003: 39, trad. nostra). Ciò rinvia a un’altra nozione: quella di percezione semantica (Rastier 1991, cap. VIII) con cui Rastier spiega come sia possibile l’individuazione e la gestione delle forme semantiche, nell’ambito – ricordiamolo – di uno «strutturalismo gestaltico» (Rastier 2009).
Questa definizione poggia allora, e innanzitutto, sul primato empirico della parole rispetto alla langue, in cui il segno può essere considerato innanzitutto come un «segmento di parole» (Rastier 2007b: 242). Rastier rinvia così all’espressione saussuriana «segni di parole» (Saussure 2002: 265, trad. nostra). Tuttavia, la (ri)definizione del segno linguistico è un effetto della teoria del
testo costruita a partire dal paradigma della semantica interpretativa e dall’assunzione della
problematica retorico-ermeneutica intesa come problematica-guida.
Rastier ritorna, allora, nel luogo teorico in cui aveva avuto inizio il suo percorso teorico, cioè alla relazione fra langue e parole, schema ed uso (Hjelmslev 1943a), al problema epistemologico posto dalla sostanza (e dalla materia) del contenuto (Hjelmslev 1953, 1954). Rastier distingue, allora, quattro strati semiotici (strato1 e strato2 per ogni piano), più precisamente quattro
287 Per quanto riguarda l’assunzione della semantica come orizzonte di ricerca specifico, e la conseguente retroazione di
una teoria del testo su una teoria del segno, resta in linea con la mediazione hjelmsleviana da cui Rastier assume inizialmente il problema del senso. «La problématique logico-grammaticale prend le parti de la forme, et renvoie le problème de significativité à une ontologie: Hjelmslev affirme ainsi que le niveau de la substance du contenu est le monde physique. En revanche, la problématique rhétorique / herméneutique renvoie à une res qui est plutôt une cause qu’une chose, une «matière» sémiotique – la doxa pour la rhétorique ou l’intertexte pour l’herméneutique – relevant d’un niveau sémiotique de la pratique et non des représentations ou du monde physique.» (Rastier 2001b: 190-191; Id. 2003: 39).
ordini di descrizione del segno come passaggio, di cui l’ordine ermeneutico occupa lo strato1 (Rastier et al. 1994, cap. 1).
Rastier (2001b: 192)
Come spiega lo stesso Rastier, «la zona centrale (strati C2 e E2) del passaggio rientra nella
paradigmatica e nella sintagmatica, così come lo autorizzano le operazioni logico-grammaticali di sostituzione, commutazione, combinazione. Al contrario, gli strati C1 ed E1 rientrano negli ordini
ermenutico e referenziale. Più precisamente, l’ordine ermeneutico permette di passare da E1 a E2 e
da C1 a C2, mentre l’ordine referenziale permette di fare, infine, il cammino inverso: la referenza
essendo allora un passaggio dalla significazione al senso, vale a dire una riconstestualizzazione, e nel piano dell’espressione, un’istanziazione di forme fonologiche o grafiche, che potremmo chiamare proferimento o semplicemente espressione. L’analogia fra i due percorsi permette una teoria “prosodica” del senso: il corso d’azione della parola comprende i gesti dell’enunciatore, ma anche i movimenti semantici che costituiscono delle rilevanze qualitative e dei rapporti forma / fondo» (Rastier 2001b: 193-194; Id. 2003: 41).
Ma come si innesta l’ordine ermeneutico che Rastier riconosce nel livello degli
apprezzamenti collettivi, nell’ambito della stratificazione del linguaggio proposta da Hjelsmlev
(1954), sulla teoria del linguaggio saussuriana? Secondo Rastier, Saussure cercava di mettere insieme due tipi di valore: un valore interno (negativo differenziale rispetto alla lingua) e un valore
esterno (negativo differenziale rispetto al contesto), per rendere conto del quale aveva utilizzato la
metafora della moneta (cf. Rastier 1994 et al.). La metafora saussuriana dello scambio di valore economico trova il suo fondamento nella doxa, nell’opinione comune, cioè in quello che in termini hjelsmleviani sono gli «apprezzamenti collettivi» (§§ 1.5, 1.5.1). Ecco, allora, come la teoria del
testo retroagisce sulla teoria del segno muovendosi sul filo dell’interpretazione, e riconciliando
nello stesso tempo anche Hjelsmlev con Saussure.