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IL TESTO NELLA SEMIOLOGIA INTERPRETATIVA

3.3. Un’altra teoria del testo in semiotica

3.3.4. Significazione vs senso: due paradigmi in conflitto

«Le signe, pourrait-on dire, c’est le contraire du texte.» (Rastier 1997a)

«[M]entre la significazione è tradizionalmente concepita come una relazione, il senso può essere rappresentato come un percorso nell’ambito del testo e dell’intertesto.» (Rastier 2006b: 99).

279 L’introduzione dei generi nella teoria del testo mette Rastier in opposizione alle posizioni della semiotica del testo

della Scuola di Parigi, in cui i generi erano ridotti a delle formazioni ideologiche di cui una tipologia scientifica dei testi non doveva tenere conto. Per attestare questa diversità, lo stessto Rastier rinvia alla definizione di genere data nel DRTL. L’opposizione fra le due teorie del testo, quella che si evince dalla semantica interpretativa di Rastier e quella che si evince invece dalla semantica generativa, dipende fondamentalmente da un assunto epistemologico di base: mentre la prima guarda alla generalità, considerando il proprio oggetto di conoscenza – il testo – nell’insieme delle pratiche sociali che hanno carattere culturale, la seconda guarda invece all’universalità in virtù di un approccio scientifico – de-culturalizzato – al testo.

Ma perché il senso può essere considerato come un percorso? Innazitutto, si tratta di un percorso

interpretativo che in quanto tale ha come oggetto le forme semantiche. «Il senso di un testo non si

deduce da una sequenza di proposizioni, ma risulta dal percorso di forme semantiche legate a delle forme espressive» (Rastier 2006b: 105, trad. nostra). Il senso viene definito, contemporaneamente, dall’interpretazione (cf. §§ 3.5 ss.) e – per contrasto – dalla significazione.

Il senso, (ri)costruito in contesto280, si contrappone alla significazione, «contenuto inerente definito indipendentemente dalla situazione di comunicazione e dal contesto linguistico» (Rastier 1989: 16, trad. nostra). La significazione procede, infatti, da un lavoro di astrazione a partire dal senso, ed è perciò un artefatto prodotto dall’analisi linguistica. Così come un artefatto è il segno linguistico. Rastier distingue, allora, fra una problematica del segno ed una problematica del testo, ossia fra una problematica della significazione e una problematica del senso. «Possiamo distinguere oppurre contrapporre le problematiche del segno, come modelli della significazione, in abstracto e fuori contesto, alla problematica del testo, fondata sull’analisi differenziale e che definisce il senso attraverso l’interazione paradigmatica e sintagmatica dei segni linguistici, non solamente fra loro, ma con il testo nella sua globalità» (Rastier 1996: 15, trad. nostra). Ritroviamo, innanzitutto, lo sforzo compiuto nel quadro teorico della semantica interpretativa per sfuggire al decorso normale dell’analisi linguistica (dalle unità massime dell’analisi alle loro componenti), che si conclude nell’accordare il primato alla dimensione globale, in quanto determinante rispetto alla dimensione

locale.

Nel quadro teorico costruito da Rastier, la problematica del segno, «propria, quanto al contenuto, alla logica e alla filosofia del linguaggio e, quanto all’espressione, alla tradizione grammaticale che culmina nella morfosintassi contemporanea» (Rastier 2001d: 54, trad. nostra), rientra nel campo della semiotica. La problematica del testo rientra, invece, in quello della semantica. «Ereditaria delle filosofie logiche della significazione, che si occupano innanzitutto della definizione e della tipologia dei segni, piuttosto che delle teorie del senso venute fuori dalla pratica ermeneutica, la semiotica considera volentieri il testo come un segno (Rastier [1987] 2009 : 147, 210 ss.). Questa concezione del testo come segno, che troviamo in Peirce, Eco e anche in Greimas, trascura evidentemente la differenza di complessità fra il segno e il testo, e impedisce di pensare

280 L’identificazione dei sememi, che avviene a partire dalla situazione di comunicazione, mostra come il senso preceda

la significazione. Il primato del paradigma del senso – quindi, la filiazione retorico-ermeneutica – nella semantica

interpretativa implica che i semi inerenti non vengono attualizzati se non in relazione a licenze o prescrizioni contestuali. Ciò significa che il significato è sotto il controllo del senso. Rastier sostiene di far derivare la nozione di contesto «da una lunga tradizione che va da Dumarsais a Ducrot» (Rastier 1989: 16, n.11). Tuttavia, questa definizione

di contesto – e la sua stessa filiazione – è stata messa in discussione poiché ridetermina la relazione fra senso e

significazione. «Pourrait-on établir aujourd’hui une opposition conceptuelle stabilisée dans les emplois des “mots” sens

et significations ? La littérature actuelle sur la “question du sens” nous réserve quelques surprises : non seulement chez des nombreuses auteurs les termes sont interchangeables, mais chez certains (ex: Rastier, 1974 et 1987 vs Rastier, 1989) on passe d’une configuration oppositionnelle Sens vs Signification à l’opposition symétrique : Signification vs Sens sous prétexte de s’aligner par souci de consensus sur la “tradition de Dumarsais à Ducrot”.» (Baggioni 1995: 19).

l’incidenza del testo sui suoi segni» (Rastier 2001d: 54, trad. nostra). Privilegiando lo studio del

senso281, Rastier si pone, allora, in continuità rispetto alla tradizione ermeneutica (§ 3.7), assumendo quindi il testo e il senso come oggetti di conoscenza specifici282.

Lo stesso Hjelmslev (1943b), ad esempio, distingueva il problema del senso da quello del contenuto. «Naturalmente mancanza di contenuto non si deve confondere con mancanza di senso: un’espressione può benissimo avere un contenuto che da qualche punto di vista (per esempio quello della logica normativa o del fisicalismo) su può caratterizzare come privo di senso, ma che resta, ciononostante, un contenuto.» (FTL: 53-54). Tuttavia, bisogna sottolineare che nella teoria glossematica contenuto e pensiero sono equivalenti (FTL: 53-54). Così, Hjemlslev tratta «la

materia, il senso, il pensiero stesso» (FTL: 55) come sinonimi di quello che fra gli strata del

linguaggio si identifica come materia del contenuto. Essa ha le sembianze di una «massa amorfa» (CLG: 136-137). Tuttavia, l’equivalenza che Hjelmslev propone è fra materia e senso, per cui senso individua intuitivamente il contenuto non-formato, però anche l’espressione non formata, ciò che permette a Hjelmslev di parlare di «materia o senso dell’espressione» (FTL: 61). Detto diversemente, «senso o materia» (FTL: 63) individuano entrambi la zona del continuo che la forma va a rendere discreto restituendoli come sostanza.