• Non ci sono risultati.

IL TESTO NELLA SEMIOLOGIA INTERPRETATIVA

3.2. Le strade del senso e la ricezione della teoria glossematica

3.2.1. La semantica strutturale

«Si può assumere che oggi è un testo scientifico ogni testo in cui si realizzino almeno queste condizioni: a) che al centro del rapporto fra testo e realtà extratestuale vi sia il principio della verificabilità o falsificabilità delle asserzioni prodotte; b) che oggetto del testo sia esclusivamente la realtà extrasoggettiva e sia bandita ogni intrusione soggettiva dell’autore; c) che il testo sia “chiuso”, cioè debba essere decodificato in base a codici

morfemi, gli elementi del vocabolario, i vocaboli o parole [mots] hanno di particolare il fatto di essere numerosi; un numero addirittura illimitato e incalcolabile per principio. C’è di più: il vocabolario è instabile, cambia continuamente, in uno stato di lingua c’è un viavai incessante di parole nuove che vengono forgiate a volontà e secondo i bisogni, e di parole antiche che cadono in disuso e scompaiono. In breve, il vocabolario si presenta a prima vista come la negazione stessa dell’idea di stato di lingua, di stabilità, di sincronia, di struttura. A prima vista, il vocabolario rimane capriccioso, proprio il contrario di una struttura. Per questo ogni tentativo di stabilire una descrizione strutturale del vocabolario, e a maggior ragione una semantica strutturale, sembra essere destinato all’insuccesso e diventa facilmente preda dello scetticismo. […] È questa, infine, la ragione per cui la semantica, questo frutto tardivo fra le discipline linguistiche, è nata da un diacronismo e in parte da uno psicologismo esclusivi ed ha difficoltà a trovare il suo assetto nell’ambito della grammatica strutturale. A differenza della fonologia e della grammatica strutturali, una semantica strutturale non potrebbe quasi rivendicare precursori.» (Hjelmslev 1957: 128-129). Per un approfondimento, cf. Prampolini (1997). Per una discussione sulle relazioni fra lessicologia, lessicografia e semantica rimesse in discussione da Hjelmslev (1957), cf. Bisconti (2010).

227 La riflessione semantica di Hjelmslev non è uno dei luoghi più frequentati della teoria glossematica. Per una

discussione specificamente attinente al «pensiero semantico» di Hjelmslev, rinviamo a Galassi (1988), Prampolini (1981 per le note a saggi di Hjelmslev, 1997, 2001).

standardizzati e ammetta una sola interpretazione.» (Cortelazzo 2004: 186).

Quel «metalinguaggio (a vocazione) scientifico(a)» (DRTL: 197) che è la semiotica (cap. 1) presuppone che l’analisi del senso debba trovare un proprio posto nella gerarchia di semiotiche e metasemiotiche messa a punto da Hjelmslev (§ 1.2) e continuata da Greimas, all’interno di quel meccanismo costituito da trasformazioni di linguaggi che è la semantica strutturale (cf. § 1.3.3.). Seguendo la direzione tracciata dalla semantica interpretativa di Rastier, invece, il senso si presenta come ciò che sfugge proprio a questo meccanismo trasformazionale, riportando l’attenzione sui problemi estromessi dalla semantica strutturale, ma che ritornano ogni qualvolta si rende necessario far ritorno alla lingua, principio e fine della gerarchia delle semiotiche (§ 1.5, 1.5.1). Tuttavia, tanto nella semantica strutturale, quanto nella semantica interpretativa, ciò che guida lo studio del senso è la ricerca continua di una «distanza oggettivante» (Greimas 1970: 7) da cui condurre un’analisi scientifica del senso stesso228. Tuttavia, «la lotta contro quella logomachia che è il testo, la ricerca di condizioni obiettive»229 (Greimas 1970: 96), vengono affrontate in modi diversi. Le due strade si dividono, perciò, intorno alle soluzioni adottate.

La Semantica strutturale di Greimas (1966), costruita sui presupposti epistemologici della teoria del linguaggio hjelsmleviana, vede nel senso l’incarnazione di questo meccanismo trasformazionale di linguaggi che si dispiega nella gerarchia delle semiotiche (§ 1.2). La semantica

strutturale di Greimas eredita, in una certa misura, una consapevolezza dei problemi semantici

portati in primo piano dall’attività lessicografica svolta dal suo autore (cf. Quemada 1993) negli anni che precedono l’elaborazione di questa teoria del senso230. L’attività lessicografica di Greimas giustifica l’attenzione rivolta al dizionario come strumento linguistico (Auroux 1994) e ai problemi terminologici in vista della costruzione di una teoria semiotica, come abbiamo visto a proposito del DRTL (capp. 1, 2). Nello stesso tempo, l’attività lessicografica di Greimas comporta una certa

228 «Dobbiamo innanzitutto tenere presente che Greimas, riprendendo e approfondendo l’impostazione hjelmsleviana,

intende il senso come apparenza, come phaenomenon, e perciò concepisce la semiotica come lo studio delle condizioni

di possibilità dell’effetto di senso o dell’apparire del senso. [cf. Greimas 1966a] Il linguista lituano è ben conscio – così

come analogamente lo era Kant riguardo la natura del sapere – che dal senso non si esce e che ogni metalinguaggio è pur sempre un linguaggio e che pertanto non esiste una scienza che possa studiare il senso ponendosi dall’esterno di esso, così come le scienze della natura possono fare con i propri oggetti. […] Pertanto il senso può essere indagato solo rimanendo all’interno del senso stesso, e l’unica via possibile per un suo studio scientifico è l’analisi “trascendentale” o delle condizioni di possibilità del darsi del senso in quanto tale » (D’Agostino 2009 : 119).

229 L’espressione è utilizzata dallo stesso Greimas: «un testo, quando si presenta in una lingua naturale, può

sottintendere, e sottintende sempre, più di un sistema contemporaneamente. Il che è confermato dal fatto che la lotta contro quella logomachia che è il testo, la ricerca di condizioni obiettive in vista del fondamento di un’isotopia che renda possibile la lettura, rappresentano una delle principali preoccupazioni della descrizione semantica nella sua fase iniziale.» (Greimas 1970: 96).

230 L’attenzione che Greimas rivolge alle terminologie specifiche che emergono nello sforzo metalinguistico, così come

si è concretizzato con il DRTL, ad esempio, deriva dall’attenzione sempre che Greimas ha sempre rivolto a strumenti linguistici (Auroux 1994) particolari quali i dizionari, grazie alla sua attività di lessicografo (Dictionnaire de l’ancien

consapevolezza dei problemi posti dalla descrizione del senso, quindi dalla semantica231. Partendo dall’assunto che l’analisi del senso si realizza in una gerarchia di livelli di descrizione, che riprende la gerarchia di semiotiche e metasemiotiche messa a punto da Hjelmslev, e che ognuno di questi livelli di analisi sia manifestato da un linguaggio diverso (§ 1.3.3), ci si chiede allora come possa essere definito da questo punto di vista il senso. La risposta di Greimas non arriva immediatamente, ma pochi anni dopo in Del senso (1970). «La significazione, perciò, non è altro che questa trasposizione d’un piano di linguaggio in un altro, di un linguaggio in un linguaggio diverso, mentre il senso è semplicemente questa possibilità di transcodifica.» (Greimas 1970: 13). Se la

significazione è la trasposizione da un livello di descrizione all’altro, il senso è, allora, questa stessa

possibilità di trasformazione da un linguaggio all’altro232, sintetizzando perciò, nella sua stessa definizione, l’intero meccanismo che regola la gerarchia delle semiotiche e metasemiotiche233. A

differenza della significazione in cui si identifica la trasformazione, il senso incarna la possibilità stessa di trasformazione dei linguaggi, la possibilità di passare da un livello all’altro dell’analisi. Come scrive Greimas, «la produzione del senso ha senso solo se è trasformazione del senso dato; di conseguenza, la produzione del senso è, in sé, una formatività significativa, indifferente ai contenuti da trasformare. Il senso, in quanto forma del senso, può definirsi, a questo punto, come la

possibilità di trasformazione del senso.» (Greimas 1970: 15)234. La semantica strutturale è, allora, «una semiotica formale, intesa a render ragione delle articolazioni e delle manipolazioni di contenuti qualsiasi.» (Greimas 1970: 17).

La descrizione del senso – l’analisi tramite scomposizione, nei termini del linguaggio hjelmsleviano – è la possibilità di una transcodifica. «Spiegare ciò che significa una parola o una frase, comporta il ricorso ad altre parole e ad altre frasi nel tentativo di fornire una nuova versione della “medesima cosa”. La significazione può essere definita, perciò come una correlazione fra due livelli linguistici, o due codici, diversi.» (Greimas 1970: 43). Se la significazione è la correlazione fra due livelli di analisi diversi, il senso, come abbiamo visto, è questa stessa possibilità di

231 Sull’interazione fra attività lessicografica, lessicologia e teorie del senso, cf. Bisconti (2010).

232 Questa possibilità di trasformazione la troviamo in Benveniste (1966) nel concetto di interpretanza [interpretance],

che identifica la possibilità di passare da una semiotica all’altra in generale.

233 «A questo punto, ridotto il problema del senso alla sua dimensione minima, e cioè alla transcodifica dei significati,

se ci accorgiamo che tali transcodifiche vengono fatte naturalmente ma male, possiamo chiederci se l’attività scientifica in questo campo non debba semplicemente consistere nell’elaborazione di tecniche di transposizione tali da permettere di effettuare le transcodifiche artificialmente ma bene. In definitiva, la descrizione semiotica della significazione non è altro che la costruzione di un linguaggio artificiale adeguato. […] soltanto la corretta soluzione del problema dell’adeguazione, e cioè la fondazione d’un sistema di equivalenze fra linguaggio artificiale e lingua naturale, può garantire la riuscita dell’impresa.» (Greimas 1970: 14). Il problema dell’adeguamento lo avevamo già trovato a proposito del metodo adottato dalla semiotica, ossia quello deduttivo a discapito di quello induttivo che porta con sé il problema dell’adeguamento fra linguaggio e realtà (cf. § …). Avevamo anche visto che nella semantica strutturale, e poi anche nella semiotica strutturale, il metodo induttivo si risolveva all’interno del linguaggio stesso, poiché è la lingua la realtà rispetto alla quale occorre adeguarsi, per cui ne viene fuori un modello epistemologico circolare, che parte dalla lingua e si richiude sulla lingua stessa.

passaggio da un livello all’altro. Tuttavia, di livello in livello, ciò che si verifica è una chiusura del senso nell’ambito circoscritto dalla lingua. Detto altrimenti, così come abbiamo osservato per la costruzione di un metalinguaggio scientifico in cui si identifica quella teoria del linguaggio che si presenta come Sémiotique (§ 1.3.3.), anche la teoria del testo che si evince dalle posizioni epistemologiche in merito alla ricerca semantica può essere rappresentata da un modello circolare. Infatti, l’analisi del senso è possibile soltanto all’interno di una dimensione testuale: l’analisi del senso non si limita all’analisi delle parole, ma concerne anche le frasi e la relazione fra queste e le prime. Da ciò si evince una certa nozione di testo, che determinerà le sorti della semiotica greimasiana (§ 6.5.). Se il senso è questa possibilità di transcodifica, e se la transcodifica consiste nella descrizione delle significazioni tramite l’adozione in vista dell’analisi di un metodo deduttivo, che permette l’analisi per scomposizione della significazione e la correlazione fra due livelli di analisi, e di un metodo induttivo, che consiste nel verificare l’adeguamento del linguaggio alla realtà, tenuto conto però che la realtà assunta è una realtà linguistica (§ 1.3.3.), ciò significa che l’analisi del senso resta all’interno dei confini disegnati dalla lingua, inizio e fine della’analisi semantica, proprio perché si presenta come inizio e fine della gerarchia dei metalinguaggi (§ 1.5.1.). Da ciò consegue che la dimensione testuale in cui si svolge l’analisi del senso è una dimensione chiusa, che rende possibile questa circolarità, proprio perché la descrizione del senso si risolve all’interno della sola dimensione linguistica. Da ciò consegue, altresì, che il testo linguistico è un oggetto chiuso, autosufficiente. La chiusura del testo permetterà la transizione da una nozione linguistica di testo a una nozione generale, con tutte le conseguenze epistemologiche che questo passaggio comporta (§ 6.5.). Già in Del senso, infatti, Greimas parla di una sequenza gestuale come «testo semiotico» (Greimas 1970: 86).

Come ricorda anche Caputo (2010: 29), si realizza così lo sforzo compiuto da Greimas di mantenere distinte le due eredità hjelmsleviane: da una lato, un’eredità specificamente linguistica, «glossematica»; dall’altro, un’eredità epistemologica. L’influenza di Hjelmslev ha trovato compimento in una teoria del linguaggio che oltrepassa una teoria strettamente linguistica. Questa teoria del linguaggio è la semiotica. L’eredità hjelmsleviana si rivelata, perciò, un’eredità epistemologica. «Attraverso Hjelmslev emerge il fecondo contributo della linguistica alla semiotica» (Caputo 2010: 28). Lo stesso Greimas (1986: 44) sottolinea la distinzione fra un’eredità generalmente «hjelmsleviana» e un’eredità specificamente «glossematica»: la prima è un’eredità epistemologica, che confluisce direttamente in una teoria del linguaggio, cioè nella semiotica, mentre la seconda è un’eredità strettamente linguistica. Questo continuo sforzo di separazione fra le due eredità hjelmsleviane, epistemologica e linguistica, lo osserviamo sia nella fondazione di una semiotica a carattere generale sulle basi epistemologiche costruite da Hjelmslev, come mostra il

DRTL (cap. 1), sia nel passaggio da una nozione specificamente linguistica di testo ad una nozione generale (cap. 6). In questo passaggio, lo sforzo di separazione dell’eredità epistemologica hjelmsleviana dalla sua eredità linguistica si trasforma in uno sforzo di emancipazione della prima dalla seconda, in vista della fondazione di una semiotica non più linguistica (§ 2.1.1).