«la sostanza della scienza semiotica è la sostanza in quanto valutazione sociale o esperienza istituzionalizzata» (Garroni 1972: 259-260, corsivo nostro).
È nella definizione di Garroni di linguaggio ordinario come «overlapping di vari usi linguistici, specialistici e non, che divengono in tal modo la base obbligata del pensiero riflesso» (Garroni 2010: 43)87 che possiamo recuperare la riflessione di Hjelmslev sul cortocircuito fra metalinguaggio e lingua-oggetto88. È qui che sentiamo l’eco del saggio di Hjelmslev La forma del
contenuto del linguaggio come fattore sociale (1953), in cui si riporta l’attenzione sul carattere
sociale della forma del contenuto, passando attraverso il problema della traducibilità, assunto che ogni sistema linguistico risente di un proprio «ambiente culturale», che può essere però a sua volta parzialmente condiviso con altri sistemi culturali. La lingua nel suo uso ordinario, «tale multistratificato ed eterogeno linguaggio comune» (Garroni 2010: 44), rinvia poi a La
stratificazione del linguaggio (1954). A proposito di questo saggio, Garroni scrive: «se La stratification non costituisce un capovolgimento radicale o una rivoluzione esplicita rispetto ai
86 Per un confronto fra la teoria saussuriana della lingua e la teoria hjelmsleviana del linguaggio, cf. Prampolini (2001).
A tal proposito, Greimas scrive: «Hjelmslev apparaît comme le véritable, peut-être le seul continuateur de Saussure qui ait su rendre explicites ses intuitions et leur donner une formulation achevée.» (Greimas 1966b: 12). Tuttavia, questa non è una vera e propria continuità. «Cette “continuation” est d’ailleurs une recréation, car Hjelmslev ne reprend tel quel aucun des concepts proposés par Saussure.» (Rastier 1985a: 8). Per una discussione sulla continuità fra Saussure e Hjelmslev, cf. Zilberberg (1985, 1997).
87 «la sedimentazione, l’intreccio, l’overlapping di vari usi linguistici, specialistici e non, che divengono in tal modo la
base obbligata del pensiero riflesso. Una base determinata storicamente, socialmente e culturalmente (in senso orizzontale e verticale), anche se in genere in modo abbastanza diffuso e relativamente stabile. […] Il linguaggio comune non è linguaggio specialistico e non si esprime quindi con rigore : ciò che dice non può essere assunto in senso stretto come conferma o confutazione. Ma esso manifesta, per così dire, gli effetti di riassestamento globale del corpo socioculturale di fronte a certi rilevanti mutamenti settoriali» (Garroni 2010 : 43).
88 Mentre Garroni rivolge a Hjelmslev un’attenzione particolare in pubblicazioni precedenti come Progetto di semiotica
(1972) e Ricognizione della semiotica (1977), possiamo osservare come i riferimenti espliciti in Creatività (1978) siano pochi. Probabilmente, i soli principi «empirico-formali» (Garroni 1972) della teoria glossematica non potevano rientrare nel discorso sulla creatività. Hjelmslev, però, non sparisce improvvisamente dalla riflessione di Garroni, ma è un momento diverso della sua riflessione che viene preso in considerazione: non la teoria glossematica nei suoi principi «empirico-formali», ma quel saggio su La stratificazione del linguaggio (1954) che, rispetto a I fondamenti della teoria
del linguaggio (1943), segna il passaggio da una riflessione centrata sulla forma a una riflessione centrata sulla sostanza. Ne La stratificazione ciò che emerge è, appunto, non soltanto l’idea di «stratificazione» del linguaggio, quindi
la riflessione sugli strata e sui livelli della sostanza, ma anche quel carattere di socialità che forse non aveva trovato adeguato spazio nei FTL.
Prolegomena (1943), certo in essa vi sono almeno i presupposti di una vera e propria crisi, o quanto
meno di una risistemazione teorica tutt’altro che insignificante» (Garroni 1972: 213).
Nonostante il riferimento a Hjemslev non sia esplicito, e recuperando implicitamente la riflessione sulla sostanza che aveva aperto già in Progetto di semiotica, Garroni (1978) in
Creatività conduce la sua riflessione fino a quest’ultimo livello della sostanza immediata. Essa
riporta alla luce quel carattere sociale che le è proprio e che Hjelmslev (1954) riconosce negli
apprezzamenti collettivi. Garroni sosteneva già altrove che «Hjelmslev usa la dizione “appréciations
collectives” (La stratification, pp. 51 sgg.), ma si tratta chiaramente più di valutazioni sociali che di valutazioni collettive; e, a parità di definizione, la seconda dizione sembra più chiara e più adeguata rispetto all’uso comune» (Garroni 1972: 257, n. 70). 89
«Il linguaggio comune non è il linguaggio specialistico e non si esprime quindi con rigore: ciò che dice non può essere assunto in senso stretto come conferma o confutazione. Ma esso manifesta, per così dire, gli effetti di riassestamento globale del corpo socioculturale di fronte a certi rilevanti mutamenti settoriali. In questa sua reattività organica sarà anche, forse inevitabilmente, conservatore; ma avvertirà nello stesso tempo correlazioni che sfuggono agli specialisti. In questo senso vale la pena di occuparsi dei suoi modi di reagire, che allo specialista paiono di solito, spesso a torto, del tutto insignificanti e non pertinenti» (Garroni 2010: 43-44).
Hjelmslev rivolge spesso l’attezione al linguaggio naturale in relazione alla costruzione della sua teoria del linguaggio. «Non solo Hjelmslev tiene d’occhio costantemente il linguaggio naturale, il che è del tutto lecito; ma la sua teoria sembra che non possa fare a meno,
intrinsecamente, di un costante e costitutivo riferimento ad esso» (Garroni 1972: 210). «Ciò che
emerge in modo prepotente dalla stessa indagine scientifica, e di cui si è sempre accorto il linguaggio comune, è appunto il problema della produzione del nuovo o della creatività del comportamento umano, in quanto questo è irriducibile […] al problema del comportamento in generale» (Garroni 2010: 63).Non sorprende, allora, l’attenzione che Garroni rivolge nuovamente a Hjelmslev, anche se implicitamente, in una riflessione che coinvolge in primis il linguaggio ordinario. Tuttavia, l’attenzione di Hjelmslev al linguaggio ordinario assume una particolare rilevanza a seconda dell’oggetto della sua riflessione. È il livello della sostanza che consente a
89 Garroni ha rivolto più volte l’attenzione al livello della sostanza e alle valutazioni sociali. Citiamo qui soltanto pochi
passi che lo ricordano. «Così, potremo anche dire che gli oggetti in qualche modo privilegiati della semiotica come scienza saranno proprio quei fenomeni in cui il momento comunicativo appare essere, a certe condizioni, costante e prevalente; ma in quanto ciò suppone che l’oggetto (in senso rigoroso) della semiotica sia costituito da tutti e soli quei sistemi formali in quanto correlati ad una considerazione di una sostanza in termini di valutazioni sociali o, che è lo stesso, di comunicabilità.» (Garroni 1972 : 258). « Qui si impone appunto l’importante distinzione, già accennata all’inizio del paragrafo e anch’essa di stretta derivazione hjelsleviana, tra la sostanza in quanto specificata come un
certo insieme sistematico di valutazioni sociali e la sostanza considerata nel suo tratto universale più significativo, cioè
come “sostanza semiotica immediata” o come forma (o condizione) di ogni possibile insieme di valutazioni sociali.» (Garroni 1972 : 261). «la comunicazione si presenta come la condizione (formale) di un insieme di valutazioni sociali, che costituiscono una sostanza rispetto alla forma.» (Garroni 1972 : 265).
Garroni di constatare il cambiamento di prospettiva nella transizione dai FTL (Hjelmslev 1943b) a
La stratificazione (Hjelmslev 1954). «Se nei Prolegomena il linguaggio verbale o le semiotiche
cosiddette onniformative in genere tendono ad essere spiegate in funzione di precise caratteristiche della forma semiotica (la sua biplanarità), nel saggio su La stratification la spiegazione tende invece a spostarsi decisamente a livello di sostanza – che non è ancora una spiegazione adeguata, ma ha almeno il merito di mettere in maggiore evidenza il fatto che è tutt’altro che chiaro in che modo la struttura formale di una semiotica possa essere per se stessa caratterizzata nel senso della onniformatività o della non-onniformatività» (Garroni 1972: 231).
Garroni (1978) riporta l’attenzione su un luogo difficile della teoria del linguaggio hjelmsleviana: quello in cui il linguaggio ordinario si presenta come metalinguaggio. Garroni lo fa nel momento in cui si interroga sulla possibilità di osservare le conoscenze sedimentate nell’uso del linguaggio comune. In esso, infatti, in quanto primo luogo di osservazione della creatività linguistica, si rivelano immediatamente il cambiamento, il passaggio da un paradigma teorico all’altro. La lingua ordinaria si propone, infatti, come «rivelatore di conflitti reali, non risolti o aggiustati in senso regressivo» (Garroni [1978] 2010: 83). Nel linguaggio comune si rivelano le conoscenze sedimentate, così come le nuove conoscenze.
«In queste curiose concezioni non c’è soltanto una volgarizzazione e degradazione di conoscenze assai difficili da maneggiare e una dipendenza da concezioni più antiche e più vicine al senso comune. […] Va da sé che lo stesso linguaggio comune cede altre volte all’idea di creazione repentina e senza precedenti, riproducendo in se stesso il dissidio già notato in sede di elaborazione originale e specialistica» (Garroni [1978] 2010: 83-84).
La relazione fra la riflessione di Garroni (1978) e quella di Hjelmslev (1953, 1954) si consuma proprio su questo punto: la possibilità di ritrovare nell’osservazione del linguaggio comune il passaggio da un sistema culturale all’altro – oggetto del saggio di Hjelmslev (1953) a proposito delle differenza fra sistemi linguistici – e, nello stesso tempo, il ricorso al linguaggio comune nel momento di stabilizzazione del cambiamento stesso, quindi dell’incremento di nuove conoscenze. Ritorniamo, così, alla fine del saggio su La stratificazione (1954), precisamente al ruolo degli apprezzamenti collettivi. Ritorniamo, allora, in fondo alla gerarchia delle semiotiche, alle metasemiologie. La gerarchia delle semiotiche, infatti, ritorna al «capolinea», come rileva Prampolini (2007), ritorna al linguaggio ordinario, alla lingua nella sua pratica quotidiana. Questa chiusura, che è solo apparentemente paradossale, ci conduce alla fine della gerarchia delle semiotiche messa a punto da Hjelmslev facendoci contemporaneamente anche ritornare al suo punto di partenza: il livello più alto dell’analisi implica un ricorso/ritorno al linguaggio ordinario. Il linguaggio ordinario, infatti, registra l’affermarsi di nuove conoscenze, ad esempio, nella
creazione di metafore. È la creatività linguistica che risolve il problema dell’integrazione delle nuove conoscenze, mentre l’uso provvede alla loro sedimentazione e affermazione come «senso comune».
«È evidente che la descrizione per valutazione si impone immediatamente ed è il livello dell’apprezzamento collettivo che costituisce la costante che è presupposta (selezionata) dagli altri livelli, compreso il livello fisico (che, come si sa, può mancare), e che da solo permette, tra l’altro, di rendere conto in modo scientificamente valido delle «metafore». Non è con la descrizione fisica delle cose significate che si arriverebbe a caratterizzare l’uso semantico adottato da una comunità linguistica e appartenente ad una lingua che si vuole descrivere; è, invece, con le valutazioni adottate da questa comunità, con gli apprezzamenti collettivi, con l’opinione sociale. La descrizione semantica deve dunque consistere prima di tutto in un avvicinamento della lingua alle altre istituzioni sociali e costituire il punto di contatto tra la linguistica e gli altri campi dell’antropologia sociale.» (Hjelmslev 1957: 142-143).
«Le terminologie scientifiche sono state create in buona parte espressamente per evitare queste implicazioni metaforiche o apprezzamenti collettivi tradizionali; esse non vi riescono che in parte e, a meno di non trincerarsi dietro una barriera di formule assolutamente arbitrarie, subiscono per principio la sorte delle lingue naturali» (Hjelmslev 1954: 55).
Quando ci si interroga proprio sulla terminologia costruita dalle metasemiologie che hanno come oggetto di analisi le semiologie (grammatiche, dizionari, ecc.) e sul contenuto specifico dell’analisi metasemiologica (la definizione del piano del contenuto e dell’espressione delle
semiologie), si constata questo ritorno all’uso del linguaggio ordinario. Il controllo delle semiologie
(al livello delle metasemiologie) avviene, quindi, nel linguaggio ordinario, attraverso un ritorno al rango delle semiotiche denotative e connotative, quelle che non sono operazioni, che non sono semiotiche scientifiche. Riprendiamo, allora, l’affermazione di Prampolini (2007) su cui ci siamo già soffermati:
«la coincidenza delle Metasemiologie con le lingue nel loro impiego ordinario mantiene la coerenza del controllo. […] La metasemiologia non è fatta né da un metalinguaggio della logica né da un linguaggio ridotto a enunciati protocollari. La validità di una grammatica ha invece come luogo di verifica l’apprezzamento collettivo (appretiation collective) dei parlanti, la possibilità diffusa e comune di riconoscere in una descrizione grammaticale un uso sensato, una regola consolidata, una norma del discorso (Hjelmslev 1943), o un discorso in forma normale. Detto altrimenti, la Metasemiologia ha il lessico del linguaggio ordinario» (Prampolini 2007: 44).
«En effet, tant que nous restons à l’intérieur de la langue naturelle, l’herméneutique n’est autre, en quelque sorte, qu’une explication de la langue avec les moyens de la langue même : une espèce d’éternelle paraphrase menée avec les instruments de ce qu’on veut paraphraser, dans un continuel cercle vertueux ou vicieux dont on ne parvient pas à sortir.» (Fabbri 1998, trad. fr. 2008: 112).
1.7. Conclusioni
«La distanziazione è la continua riscoperta della distanza; la distanziazione stessa è però sempre un modo di approssimarsi, una ricerca di prossimità.» (Rovatti 2007: XXVII).
Nel corso di questo primo capitolo abbiamo analizzato due fenomeni: 1) l’istituzionalizzarsi della semiotica contemporanea attraverso la pubblicazione di quelli che abbiamo chiamato
strumenti semiologici (§§ 1.3. ss.), concepiti secondo l’epistemologia hjelmsleviana (§§ 1.2.); 2)
l’istituzionalizzarsi della semiotica contemporanea attraverso una terminologia specificamente semiotica (§ 1.2.1). L’affermarsi di una terminologia specificamente semiotica individua un cambiamento di paradigma (Garroni 1978): nuove conoscenze si riversano in una nuova terminologia. Per capire quali siano stati i cambiamenti occorre, perciò, analizzare la terminologia
stessa. Detto altrimenti, per comprendere quale sia stato il contributo teorico della semiotica
contemporanea occorre analizzarne la terminologia. L’analisi della terminologia semiotica rientra nel rango della gerarchia delle semiotiche occupato dalle metasemiologie, in cui si svolge l’analisi delle terminologie adottate dalle diverse semiologie, ovvero teorie del linguaggio (§ 1.4.). Tuttavia, condurre un’analisi della terminologia utilizzata dalle semiologie obbliga a ritrovare quei residui ultimi dell’analisi glossematica che permettono di riconoscere nell’uso dei termini che costituiscono la terminologia in questione quegli «elementi di apprezzamento» sociale (§ 1.5.1). Questi «elementi di apprezzamento» individuano, a loro volta, le conoscenze proprie di una comunità linguistica (Garroni 1978, Hjelmslev 1954). Allora, attraverso l’analisi della terminologia adottata dalle teorie del linguaggio, ecco che si ritorna al linguaggio ordinario, alla lingua nel suo uso comune, per due ragioni: 1) perché la lingua di cui si serve la metasemiologia per analizzare la terminologia in uso nelle semiolgie è il linguaggio ordinario (§ 1.4); 2) perché l’analisi del «livello immediato» della sostanza, quello degli «elementi di apprezzamento», degli «apprezzamenti sociali», obbliga a far ritorno alla lingua d’uso ordinario: è in essa che si riconoscono le conoscenze sedimentate in una comunità linguistica (compresa quella dei semiologi) e i cambiamenti di paradigma (§ 1.5). Ritroviamo, allora, in questo ricorso ultimo al linguaggio ordinario, alle lingue storico-naturali, un
principio ermeneutico (§ 1.6). Nonostante non venga effettivamente riconosciuto in quanto tale, è
ultime pagine dei FTL, in quei saggi (Hjelmslev 1953, 1954) che ritornano sul problema posto alla teoria del linguaggio dal carattere sociale dei fatti linguistici.
Come ci mostra Hjelmslev, quando si arriva a capo della gerarchia delle semiotiche scientifiche, al rango ultimo dell’analisi scientifica, in cui si avvicina massimamente l’oggetto attraverso l’analisi, si abbandona il metalinguaggio proprio delle discipline specifiche incontrate fino ad allora e si fa infine ritorno alla lingua nel suo uso quotidiano90. Se ci interroghiamo sulle pre-condizioni del linguaggio ordinario e del metalinguaggio, possiamo osservare come entrambi presuppongano uno iato: il linguaggio ordinario (e quindi il linguaggio verbale, in generale) presuppone una distanza (segno-oggetto; segno-interprete) affinché possa funzionare come tale, affinché possa dire qualcosa. Per dirla appunto con Garroni, «[n]é la fisica quantistica, e neppure il più elementare racconto mitologico (se ne esistono di elementari), la più modesta ipotesi interpretativa circa un evento o un segno quale che sia (un rumore o una forma), o addirittura il semplice indicare a dito un oggetto – tutte operazioni a loro modo esplicative, conoscitive – sarebbero pensabili senza l’instaurazione di una «distanza» rappresentativa e riflessiva rispetto agli oggetti91, senza una capacità ben più radicalmente creativa di organizzare l’esperienza e di controllarla sotto il principio della generalizzazione, ovviamente legato al linguaggio» (Garroni 2010: 52). Ritroviamo nelle condizioni del linguaggio verbale, e quindi del linguaggio ordinario, uno iato, un «essere-posto-a-distanza» che chiamiamo distanziamento1, fondamentale al funzionamento stesso del linguaggio verbale, così come presupposto della stessa creatività linguistica. Osservando la gerarchia delle semiotiche che Hjelmslev elabora, osserviamo come il progressivo approssimarsi/allontanarsi dall’oggetto di analisi, a seconda che si salga o si scenda attraverso i diversi ranghi della gerarchia (dinamica propria alla gerarchia delle semiotiche), rinvia però a un altro senso di questo «essere-posto-a-distanza» che si identifica rispetto all’oggetto di analisi, e per distinguerlo dal primo lo chiamiamo distanziamento2. Nella coincidenza ultima di
metalinguaggio e linguaggio ordinario, come abbiamo constatato dalla riflessione di Hjelmslev
(1943, 1954) ripresa implicitamente da Garroni (1978), questo distanziamento2, ossia questa dinamica dell’approssimarsi all’oggetto di conoscenza, «una «distanza» rappresentativa e riflessiva
90 «Dans la langue non didactique et familière, l’usage métalinguistique naît d’une nécessité pratique de communication
et de distanciation tout à la fois (mieux communiquer et mieux se cacher) et satisfait aussi un besoin ludique: jeux de
mots et jeux de langage. […] Le métalangage est à la fois un autorégulateur du langage de la communication et un des facteurs importants de l’évolution des langues. Les textes didactiques métalinguistiques de grande diffusion (dictionnaires, grammaires scolaires), ainsi que les énoncés courants sur le langage et les jeux de langage, jouent évidemment leur rôle dans l’histoire de la langue. Et ce facteur de maintien ou de changement a le privilège de laisser une trace dans le langage lui-même» (Rey-Debove 1978: 23, corsivo nostro). Nel paragrafo 6.1.2.3. intitolato «Mimésis et distanciation», Rey-Debove (1978) parla della «connotation autonymique» come meccanismo di mimesis et
distanziamento.
91 Nel paragrafo 1.4. Il carattere ternario del comportamento umano di Creatività, Garroni spiega la distanza rispetto
all’oggetto di conoscenza in questi termini : «Distanza » non significa «autonomia» o «autosufficienza» (Garroni 2010 : 57).
rispetto agli oggetti» (Garroni 2010: 52), finisce per fare i conti con quell’«essere-posto-a-distanza» proprio del linguaggio ordinario, che abbiamo chiamato distanziamento1, un «essere-(già-sempre)- posto-a-distanza» come condizione di possibilità del linguistico in quanto tale.
Nel ritornare al «capolinea», la gerarchia delle semiotiche elaborata da Hjelmslev risolve il proprio essere massimamente vicino all’oggetto di analisi attraverso il ricorso ultimo al linguaggio ordinario, che si presenta però nella condizione dell’«essere-(già-sempre)-posto-a-distanza». Detto altrimenti, ciò che qui chiamiamo distanziamento2 si risolve e si ri-costituisce in ciò che chiamiamo invece distanziamento1, ossia attraverso una dinamica del continuo approssimarsi all’interno di un «essere-posto-a-distanza» (distanziamento2) che si risolve nel principio stesso del «essere-(già- sempre)-posto-a-distanza» (distanziamento1). Questa chiusura della gerarchia delle semiotiche è quindi solo apparentemente paradossale perché assicura il controllo delle semiotiche scientifiche facendo ricorso alle loro stesse condizioni di possibilità: il livello più alto dell’analisi viene affrontato facendo ricorso al linguaggio ordinario, e a questo punto il metalinguaggio proprio di questo livello dell’analisi coincide con lo stesso linguaggio ordinario perché questa dinamica del continuo tentativo di approssimazione all’oggetto di analisi (distanziamento2), che si rivela appunto nell’adozione di sempre nuovi metalinguaggi, trova soluzione soltanto nel principio stesso dell’«essere-posto-a-distanza» (distanziamento1), che si identifica nello stesso linguaggio ordinario, in cui si risolve finalmente ogni metalinguaggio.
Il metalinguaggio, coincidendo nell’ultimo stadio dell’analisi scientifica con il linguaggio ordinario, recupera quindi quella dimensione di socialità in cui si sedimentano il senso comune così come le nuove conoscenze. Garroni recupera nel suo discorso la riflessione sulla sostanza
immediata, sugli apprezzamenti collettivi di cui parla Hjelmslev (1954), cui si accede soltanto
attraverso l’analisi del linguaggio ordinario, luogo tanto del senso comune (che implica regolarità), quanto della creatività come scarto da esso, come scarto rispetto alle conoscenze sedimentate che vi si riconoscono, e che vengono così «messe in parentesi». Rileggendo Hjelmslev attraverso la riflessione di Garroni, allora, giustifichiamo il ritorno e il ricorso al linguaggio comune, al linguaggio nel suo uso ordinario, come unico luogo nel quale riconoscere possibili nuove conoscenze, come attestato dagli usi metaforici della lingua quotidiana che consentono il loro sedimentarsi nel senso comune, soppiantando così i vecchi sistemi culturali. «Questo procedimento di «messa in parentesi» e insieme di significazione polisemica, si badi, non è però un semplice difetto o una licenza del linguaggio comune, ma è anzi il suo procedimento fondamentale, quello che – come è stato più volte notato, ad esempio da Jakobson (1973) – gli assicura plasticità, produttività, creatività, ed è fondato su una caratteristica essenziale del linguaggio stesso: di poter funzionare anche come metalinguaggio» (Garroni 2010: 47-48).
«Che cosa accade quando mettiamo tra parentesi, tra virgolette o in corsivo? […] Con una differenza, una marca, con questi “siparietti”, introduciamo indubbiamente una distanza: distanza, innanzitutto, dalla letterarietà.» (Rovatti 2007: XXII). Lo stesso vale per le diverse forme di creatività linguistica, fra cui l’suo delle metafore. L’ultimo livello dell’analisi scientifica impone un ricorso alla «plasticità, produttività, creatività» del linguaggio ordinario – come attraverso il ricorso alla metafora – per rendere conto di ciò che ancora non si conosce, per colmare quello iato, quell’«essere-posto-a-distanza» che separa linguaggio e oggetto di conoscenza. Come sostiene e