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L’occhio delle intendenze: una delle prospettive possibili per l’analisi dei rapporti tra stato e territorio

La costituzione di nuovi apparati di governo e di uffici, atti in linea generale ad una più efficiente gestione delle funzioni fiscali e giurisdizionali del principe, è stata ravvisata tra quegli indici distintivi dello stato cosiddetto “moderno”. Tali processi avrebbero trovato un terreno particolarmente favorevole in Francia, dove nel corso del Cinquecento la monarchia aveva affiancato alle magistrature giudiziarie una parallela struttura di «officiers de finance», detentori di cariche venali, deputati all’amministrazione delle entrate regie. La superficie del regno era stata divisa in

63 A.MERLOTTI, La corte sabauda fra Cinque e Settecento, in E. Castelnuovo (a cura di), La Reggia di

Venaria e i Savoia. Arte magnificenza e storia di una corte europea, catalogo della mostra, vol. 1,

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bureaux che gestivano il patrimonio regio, l’amministrazione delle imposte dirette

e gli appalti delle imposte indirette derivanti da beni di consumo. Tale struttura di uffici, organizzata per ceti, consentì nel tempo la patrimonializzazione della carica, e la possibilità di creazione di reti clientelari sul territorio. Se da un lato la vendita della carica consentiva, nel breve termine, un incremento del gettito di denaro nelle casse centrali, nel lungo periodo il legame personale provocava non solo minori capacità di esazione, ma il distacco delle élites locali, che gestivano un regio ufficio secondo modalità patrimonializzate, rispetto agli interessi della corona. È con la guerra dei trent’anni che le crescenti necessità finanziarie spinsero Luigi XIII ad assegnare compiti fiscali a nuovi commissari, che presero il nome di intendenti di giustizia, polizia e finanza. La figura dell’intendente è stata tra quelle che ha più attratto l’interesse degli storici, per il carattere di innovazione che introdusse nei modi tradizionali di esercizio del potere. Toqueville ne sottolineava l’estrazione sociale non nobile, la mancanza di legami con il territorio che avrebbe dovuto amministrare, lo svincolo da qualsiasi venalità e patrimonializzazione dell’ufficio, la revocabilità della carica64. L’intendente doveva occuparsi non solo di finanza, ma anche di giustizia, di regolamentazione delle attività economiche e di controllo sulle comunità, del reclutamento militare e dei lavori pubblici. Nel corso del tempo si occuparono delle imposte dirette, affiancando e sostituendo i vecchi officiers de

finance. Tali funzioni si concentravano in un rappresentante della monarchia che

non aveva legami precedenti con il territorio del quale si accingeva ad amministrare. Diversamente dai magistrati, espressione delle élites locali, questi funzionari erano normalmente delegati dalla burocrazia di corte, suscitando una certa opposizione nelle gerarchie locali, che si trovavano estromesse da funzioni per tradizione demandate ad esponenti del territorio. In realtà, più che di contrapposizione tra cariche, si è preferito sostenere l’esistenza di una dialettica tra vecchi ufficiali regi e nuovi commissari65.

Con la presa del potere di Luigi XIV, tale processo subì un’accelerazione che avrebbe interessato anche gli apparati giudiziari. A livello centrale, il Consiglio

64 A. DE TOQUEVILLE, L’antico regime e la Rivoluzione, trad. it., in N. Matteucci (a cura di), Scritti

politici, vol. I, Torino, Utet, 1968.

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perse capacità decisionali diventando un organo formale svuotato di poteri reali. Il re volle assumere sulla sua persona e sui suoi ministri i ruoli realmente direttivi. La riforma riguardò anche l’impianto intendentizio, che in questo periodo fu direttamente sottoposto al monarca ed al controllore generale delle finanze. L’intendente, oltre a restare il principale amministratore delle imposte, controllava la finanza locale; nel 1667 e nel 1683 gli furono formalmente assegnati il potere di autorizzare le alienazioni patrimoniali, le spese straordinarie, il controllo sui bilanci delle comunità. Si trattava di innovazioni che avevano in Francia il primo laboratorio di sperimentazione di una forma di governo e di ingerenza negli affari dei territori dello stato, basato su incarichi che superavano il sistema delle magistrature patrimonializzate delle élites locali. Va però osservato che l’origine sociale e la formazione professionale dell’intendente era la medesima degli uomini di leggi, ossia di quello stesso ceto dal quale provenivano gli ufficiali regi. I maîtres

des requêtes erano uomini che giungevano dal ceto degli uffici venali, ed

approdavano alla carica intendentizia dopo aver esercitato la professione presso un tribunale di baliaggio o come consiglieri di un parlamento, aspirando ad entrare nel Consiglio di Stato.

Agli intendenti Luigi XIV aveva affidato un ruolo di primo piano nella realizzazione del programma di riduzione all’ordine. Tale politica trovava spesso contrasti con i particolarismi locali ed i sistemi intrecciati di tradizioni e privilegi di precedente origine, soprattutto a causa di funzioni che implicavano il controllo e la sorveglianza dei territori, con il dovere di riferire le informazioni raccolte, e trasferire gli ordini imposti dal centro politico. Secondo l’Encyclopédie l’interndente doveva ispezionare tutto quanto interessasse il servizio del re ed il bene del suo popolo, vegliando che la giustizia venisse correttamente esercitata, le imposizioni ben ripartite, controllando la coltivazione delle terre, lo stato delle strade, dei ponti e degli edifici pubblici; questi ufficiali regi erano inoltre consultati dai ministri su questioni che potevano riguardare i dipartimenti da loro amministrati. L’intendente era – usando un’espressione diffusa all’epoca – l’occhio del governo nella provincia, uno strumento conoscitivo a disposizione del centro, più che un’autonomo strumento di decisione.

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Ma diversamente da una visione evoluzionistica degli ordinamenti regi in epoca di antico regime, ricerche recenti hanno dimostrato come i parlamenti abbiano mantenuto, fino alla Rivoluzione, la funzione di principali produttori e applicatori di norme regolamentari nei diversi campi della finance e della police. Mannori sostiene quindi che la creazione di un nuovo apparato di burocrati, più che sovvertire lo stato giurisdizionale, avrebbe in realtà sortito ad ovviare alle sue disfunzioni più evidenti.

In ambito europeo, nel corso del Settecento, la monarchia spagnola si accostò al modello francese nel 1718, esemplando l’istituzione dell’intendente provinciale, revocato tre anni dopo per l’opposizione dei corpi tradizionali, che ne rallentò l’introduzione fino al 1749, quando gli intendenti furono inseriti stabilmente, con funzioni più limitate rispetto alla Francia, ed essenzialmente su questioni di ordine fiscale e di controllo delle comunità. In Prussia, paese che non aveva conosciuto un sistema di venalità delle cariche come in Francia, Federico Guglielmo I aveva istituito lo Steuerrat, un funzionario stipendiato assurto a governatore di città. Le sue retribuzioni, non dissimilmente dal caso francese, erano piuttosto modeste; era lo stesso Federico Guglielmo che esprimeva la motivazione ideale che doveva spingere ogni funzionario: «è una persona intelligente, diligente e vigile che reputa non vi sia nulla di più alto, dopo Dio, del piacere del re e che lo serve con devozione sincera per procacciarsi onore piuttosto che denaro, e che nella sua condotta persegue soltanto e ha continuamente presenti il servizio e gli interessi del suo re».

È noto che i Savoia, nella seconda metà del Seicento, avessero mutuato il modello francese al fine di rendere maggiormente efficiente e più capillare il governo del territorio. Gli intendenti diventarono presto gli artefici delle politiche economiche nelle province del regno, assumendo un ruolo strategico in tutta la fase della perequazione, conclusasi con l’editto del 1731. Le loro competenze si affiancavano ad altre figure di rappresentanti dello Stato: sull’ordine pubblico il loro potere confinava con quello dei governatori, longa manus della corte in provincia, mentre sul piano della giustizia dovevano tener conto della presenza dei prefetti, ossia dei

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giudici di secondo grado66. Nel 1742 agli intendenti venne elevata la responsabilità conoscitiva: non soltanto dovevano interrogare i territori sul piano della vita economica, sociale e dei servizi, ma elaborare relazioni propostuali. Le fonti permettono di riconoscerne il ruolo di interlocutori con le comunità, attraverso un controllo operato sulle decisioni locali. Gli intendenti si interessavano delle attività economiche, di agricoltura, di miniere, di commerci, di stato delle strade. Le relazioni da loro stilate non erano destinate a rimanere negli archivi: «sarebbero diventate a loro volta oggetto di interesse di una generazione di giovani ed ambiziosi funzionari che da una parte avevano il culto della razionalità del modello boginiano e dall’altra progettavano cambiamenti strutturali»; è il caso degli uomini della filopatria, coordinati da Prospero Balbo, che richiesero alle Finanze le

Relazioni delle province non solo al fine di crearne una copia, ma di poterle usare

per ambiziosi progetti di analisi del territorio67.

Ben lontani dalla pretesa di riepilogare la storiografia meno recente, costituita da nobili lavori, possiamo comunque affermare che a Guido Quazza si devono importanti studi sulle riforme messe in campo da Vittorio Amedeo II di Savoia nei primi anni del Settecento. Sebbene tali ricerche si possano considerare oggi superate, non vi è dubbio che lo studioso abbia individuato i principali momenti costitutivi e le linee strutturali che informarono il processo di rafforzamento dello stato sabaudo settecentesco68, avendo in seguito descritto il caso piemontese nel volume colletaneo sugli stati regionali italiani dell’età moderna, curato da Elena

66 B.A.RAVIOLA, Carriere, poteri ed onori di un’élite. I governatori nei domini sabaudi da Emanuele

Filiberto a Carlo Emanuele I (1560-1630), Università degli Studi di Torino, Facoltà di Lettere e

Filosofia, Tesi di laurea, a.a. 1995-’96, rel. prof. Giuseppe Ricuperati. A.MERLOTTI, «Le armi e le

leggi»: prefetti, governatori e gestione dell’ordine pubblico nel Piemonte del primo Settecento, in L.

Antonielli, C. Donati (a cura di), Corpi armati e ordine pubblico in Italia (XVI-XIX sec.), atti del convegno di Somma Lombardo (10-11 novembre 2000), Soveria Mannelli, Rubbettino, 2003, 111-139. P.BIANCHI, Spunti per una discussione sulle fonti di storia militare in età moderna: i documenti sui

governatori nel Peimonte del Settecento, in L. Antonelli, C. Donati (a cura di), Al di là della storia militare: una ricognizione sulle fonti, atti del convegno di Messina (12-13 novembre 1999), Soveria

Mannelli, Rubbettino, 2004, pp. 77-98.

67 G. P. ROMAGNANI, Storiografia e politica culturale nel Piemonte di Carlo Alberto, Torino, Deputazione subalpina di storia patria, 1985.

68 G.QUAZZA, Le riforme in Piemonte nella prima metà del Settecento, Modena, Società tipografica editrice modenese, 1957

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Fasano Guarini69. Un grande impulso allo studio delle intendenze sabaude è stato dato da Henri Costamagna, in un articolo uscito per il Bollettino storico bibliografico subalpino nel 198570. L’autore ha riproposto il processo di costruzione dei nuovi uffici nel solco della continuità con la distrettuazione provinciale, costituita nel primo Seicento. Attraverso un’analisi dettagliata, ha individuato lo sviluppo delle province, non disdegnando il ricorso a dati quantitativi, all’individuazione dei nomi degli intendenti succedutisi, delle carriere, dell’origine cetuale e della formazione professionale.

Una prima critica a questa impostazione è giunta da un recente studio che ha tentato di mostrare come lo sviluppo delle province sabaude sia stato meno lineare, ed abbia condotto ad esiti meno prevedibili di quanto la storiografia più tradizionale, partendo da una posizione post quem, abbia teorizzato71. La posizione dell’autore può essere condivisibile. In primo luogo perchè il saggio, prima di introdurre la storia di una “confusione necessaria”, intende precisare alcuni concetti e questioni senza i quali non si comprenderebbero i risultati raggiunti. In primo luogo si è sottolineato il rapporto tra territorio, circoscrizione, e giurisdizione; il solo studio delle fonti normative produrrebbe una visione parziale di realtà popolate da «sindaci, podestà, prefetti, intendenti, consigli comunali, popolani, borghesi e feudatari alacremente impegnati a crearsi un proprio sistema superiore di interessi materiali e di esigenze funzionali di tutela collettiva, cercando nel contempo di tener testa all’autorità centrale». In un mondo caratterizzato dall’incertezza dei confini, si pone dunque il problema della ricostruzione dei rapporti tra distrettuazione amministrativa preordinata dallo stato e giurisdizione comunitaria insistenti sul medesimo territorio. Non soltanto, quindi, l’atto normativo del sovrano, ma la pratica di governo reale sul territorio, con tutte le infinite sfumature derivanti dai delicati rapporti con i corpi territoriali.

69 G.QUAZZA, Il Piemonte tra guerra e riforme, in FASANO GUARINI, Potere e società negli stati

regionali italiani, cit., pp. 279-296.

70 H.COSTAMAGNA, Pour une histoire de l' " Intendenza» dans les états de terre-ferme de la maison de

Savoie à l'époque moderne, in «Bollettino Storico Bibliografico Subalpino», a. LXXXIII, II, 1985, pp.

373-469.

71 P.LIBRA, Storia di una " confusione necessaria ": l'ordinamento provinciale sabaudo di antico regime,

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Quando venivano create le province, o si mutava la distribuzione sopprimendone alcune a favore di altre, si costruivano e si sovrapponevano vecchi e nuovi confini; su un dato territorio intervenivano una pluralità di soggetti dotati di precise competenze giurisdizionali. La provincia non sarebbe pertanto stato «un luogo definito da confini, quanto una dimensione squisitamente giuridica di diritti e potestà». Soprattutto per quanto riguarda la seconda metà del Seicento, Libra invita a non identificare univocamente la provincia con l’intendente: la costruzione delle circoscrizioni non sarebbe avvenuta secondo un preordinato disegno strutturale, dato che spesso ad un solo intendente erano assegnate più province. Inoltre, all’inizio non tutti i capoluoghi di prefettura diventarono capoluoghi della nuova magistratura.

Gli intendenti di giustizia e d’azienda nel corso del Settecento estesero notevolmente le loro prerogative in ogni campo dell’amministrazione, specie per quanto concerneva il controllo sul governo degli enti locali. Un’altra prerogativa notevolmente importante è costituita dal potere giurisdizionale loro assegnato. Gli intendenti avevano la facoltà di emanare atti aventi forza esecutoria, e potevano operare nella giurisdizione contenziosa; ad esempio, il visto esecutorio sui ruoli di riscossione delle taglie aveva forza di una sentenza passata in giudicato72. Ma la persistenza della cultura giuridica medievale, che trovava nel potere giurisdizionale l’unica vera fonte autoritativa, aveva quale conseguenza l’indefinitezza dei confini tra le prerogative del prefetto, dell’intendente e del governatore militare. Nel Settecento, ad esempio, a questi tre organi del potere giudiziario ed amministrativo dello stato erano associate competenze in merito alle epidemie bovine.

Nel 1723 si cercò di territorializzare le intendenze, evitando sovrapposizioni con più prefetture. Nel corso del secolo queste ultime subirono processi riorganizzativi che tenevano conto dell’espansione dello stato sabaudo. Per quanto riguarda le valli del Delfinato annesse nel 1713, erano i magistrati di Pinerolo e di Susa,

72 Si veda al proposito E.GENTA, Intendenti e comunità nel Piemonte settecentesco, in Comunità e

poteri centrali negli antichi stati italiani, atti del convegno di Napoli (28-29 giugno 1996), Napoli,

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capoluoghi di due rispettive intendenze, che amministravano la giustizia nei modi già praticati dal vicebalivato di Briançon73. Gli editti sul buon reggimento delle

comunità del 1733 ed il Regolamento de’ pubblici del 1775 non fecero altro che

estendere i campi di intervento nelle scelte decisionali locali, con non pochi conflitti giurisdizionali con il podestà locale; le liti spesso finivano dinanzi al prefetto, quando non era questi a trovarsi direttamente coinvolto nella controversia. Ma un aspetto occorre considerare nei delicati reapporti tra prefetto, intendente e governatore militare; mentre i primi due non erano altro che funzionari decentrati del potere statuale, con minori margini di autonomia rispetto ai vicini francesi, il governatore era l’autorità che rappresentava la regalità del sovrano sul territorio, con compiti di rappresentanza politica e di sorveglianza dei costumi e della morale. Un esempio illuminante di questo potere è ben visibile nelle prerogative assunte verso i prigionieri di stato ed i prigionieri ad corretionem. In questo secondo caso era spesso la famiglia stessa a rivolgersi al governatore della provincia in cui risiedeva, per chiedere la reclusione di un figlio in fortezza; il governatore era direttamente coinvolto nei rapporti con la Segreteria di stato agli Affari interni, e si occupava della gestione della reclusione74.

73 M.A.BENEDETTO, Ricerche sugli ordinamenti dei domini del Delfinato nell’alta valle di Susa,

Torino, Giappicchelli, 1953.

Capitolo 3 - Le Alpi, crocevia di ricerche multidisciplinari

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