3. Le Alpi, crocevia di ricerche multidisciplinar
3.2 Statuti e autonomia alpina
Il tema dei rapporti tra potere del principe e comunità alpine è stato recentemente argomentato da Marina Cavallera, che ha presentato un saggio nel quale si analizzano gli statuti di montagna, per lungo tempo considerati simbolo di autonomia e libertà, nonché motivazione originaria di chiusura delle popolazioni alpine verso ogni sorta di innovazione17. La studiosa ha riconsiderato la normativa
14 Istituto giuridico scomparso in Austria nel 1869 che stabiliva il controllo, da parte delle autorità
politiche, sullo stato economico della coppia che intendeva sposarsi, e sulla sua capacità di
sostentamento della famiglia; M.LANZINGER, Das gesicherte Erbe. Heirat in lokalen und familialen
Kontexten: Innichen 1700–1900, Wien, Böhlau,2003
15 J.MATHIEU,Geschichte der Alpen 1500–1900. Umwelt, Entwicklung, Gesellschaft, Wien, Böhlau 1998.
16 VIAZZO, Transizioni alla modernità in area alpina, cit., p. 26.
17 M.CAVALLERA, Considerazioni su Statuti e autonomie nelle Alpi centro-meridionali in età moderna, in «Histoire des Alpes», pp. 213-231.
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statutaria alpina in relazione alle politiche messe in atto dagli stati dell’età moderna, interrogandosi se si possa davvero pensare ad una storia autonoma della montagna. Sulla base delle recenti ricerche di cui si è detto, è stato possibile constatare che il movimento e lo scambio di forze antropiche tra pianura e montagna era dettato da meccanismi regolatori che consentivano alle popolazioni alpine di integrare i sistemi economici portando nelle città competenze e professionalità di cui la pianura necessitava18: si pensi soltanto al livello elevato di alfabetizzazione che trova puntuale conferma nelle seppur poco oggettive considerazioni dell’intendente sabaudo a metà Settecento.
Nei secoli XIII e XIV gli statuti hanno avuto una certa diffusione in tutto il versante meridionale dell’arco alpino. Al 1343 risale la Grand charte, concessa dal delfino Umberto II alle comunità di villaggio del Brianzonese. La redazione scritta derivava dal diritto comune, e diventò occasione di perfezionamento di norme regolatrici di autogoverno della comunità; spesso la promulgazione rappresentava il momento di ricomposizione di situazioni conflittuali nel tessuto sociale o di regolamentazione dei rapporti con il principe, come si è riscontrato nella Lombardia di metà Quattrocento, quando si definirono le relazioni con Francesco I Sforza, laddove le aree di maggiore interesse politico, poste ai confini dello Stato, ottenevano la riconferma degli statuti19. L’approvazione dello statuto, e la riconferma delle autonomie alpine, rappresentava uno strumento di governo nelle mani del principe, mezzo necessario per uno Stato che non poteva imporre le proprie scelte, soprattutto nelle regioni di frontiera, più facilmente permeabili e meno difendibili. Nelle Alpi settentrionali, il timore di pressione dei Cantoni Elvetici poneva le comunità in una posizione di forza nel proprio gioco a difesa delle autonomie.
La normativa del mondo alpino, guardando oltre i delicati rapporti che si instauravano tra poteri a differendi livelli, è rappresentativa di una certa capacità
18 Si prenda il caso di Verona, Vicenza e Trento in G.M.VARANINI, Le relazioni istituzionali ed
economiche fra città e montagna sul versante meridionale delle Alpi orientali nel tardo medioevo: alcuni esempi, in «Histoire des Alpes», n. 5, 2000, pp. 125-138.
19 Per il caso Lombardo si veda inoltre l’articolato volume di M. DELLA MISERICORDIA, Divenire
comunità. Comuni rurali, poteri locali, identità sociali e territoriali in Valtellina e nella montagna
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di individuazione di regole generali improntate alla convivenza ed alla comunanza dei beni in contesti ambientali segnati da una certa asprezza di territorio e di clima. La regolamentazione della vita-socio-economica non può dunque essere ridotta alla mera spiegazione della conservazione e della chiusura nei confronti di spinte innovatrici provenienti da poteri superiori. Nel corso del XVIII secolo lo Stato cercò di ridimensionare le autonomie alpine, modificando i sistemi di imposizione, imprimendo altersì maggiore uniformità nei meccanismi di governo locale. Da questo punto di vista, la politica sabauda fu tesa in questa direzione. Ma in realtà le autonomie perdurarono fin verso la fine dell’antico regime. Nello Stato di Milano si verificò nel comprensorio della Valsesia, passata poi allo Stato sabaudo, nelle Valli Ossolane ed anche ad est, in Valsassina. La persistenza di autonomie non sopravvisse, pertanto, nelle aree marginali, bensì in quelle regioni di maggiore interesse per i poteri centrali. In questa prospettiva, la persistenza delle norme statutarie si sarebbe conservata laddove il ruolo delle comunità nella difesa dei propri territori tendesse a coincidere con gli interessi dei poteri statuali. Anche da questo punto di vista l’ottica mediterranea braudeliana non può oggi essere accettata, soprattutto alla luce, come si è visto, delle più recenti ricerche demografiche ed antropologiche. Dalla seconda metà del Settecento, le maggiori capacità di intervento dei governi centrali nelle scelte decisionali locali avrebbero però provocato un progressivo indebolimento e, nel lungo periodo, quella crisi del “sistema montagna” resa evidente nel XIX secolo.
Anche dal punto di vista delle componenti sociali sarebbe profondamente ingiusto non riconoscere la presenza di specifiche professionalità e di rapporti di scambio non sbilanciati a favore della pianura. Sono quindi estremamente interessanti quelle ricerche che hanno messo in luce l’emergere, nei ceti dirigenti locali, di figure professionali capaci di assorbire contenuti e valori posti alla base del diritto comune, e di risolverli partendo da una cultura giuridica riletta nella specificità dell’area alpina. Erano ceti professionali detentori del sapere giuridico, quali notai e causidici, che vennero sempre più frequentemente identificati quali referenti privilegiati nei rapporti con le autorità superiori. Dal punto di vista degli scambi commerciali, si è sottolineata l’importanza del prestito e delle professioni creditizie
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nelle strategie delle élites alpine, in particolare presso le famiglie di alcuni villaggi del massiccio dell’Oisans, in Delfinato. Il credito sarebbe stato, nel XVII-XVIII secolo, «un lien social, culturel et parfois un instrument politique»20. Le affermazioni sono importanti. Attraverso lo studio dei registri notarili e degli inventari privati Laurence Fontaine ha voluto sottolineare che il valore della ricchezza mobile, nella definizione delle strategie di eminenti famiglie alpine, non andrebbe considerato come un aspetto di secondaria importanza. L’economia di montagna non sarebbe stata semplicemente chiusa nelle pratiche agro-silvo- pastorali, bensì si sarebbe aperta, almeno dal XV secolo, negli spazi del mercato e dei traffici europei lungo le strade che valicavano le più alte vette. Se osserviamo ad esempio i registri di alcune parrocchie dell’alta valle di Susa possiamo notare che la qualificazione sociale maggiormente emergente negli atti di battesimo, matrimonio e morte, era costituita da quella dei notai, che ricoprivano la carica di consoli, segretari di comunità e castellani, spesso chiamati alla gestione dei rapporti con le autorità statuali.
20 L.FONTAINE, Espaces, usages et dynamiques de la dette dans les hautes vallée dauphinoises (XVIIe-