Tra i differenti campi di ricerca che possono essere intrapresi per sottolineare il rapporto tra pratica di governo e diritti consuetudinari sul territorio, mi pare si possa collocare un ambito poco indagato dalla storiografia.
A partire dalla seconda metà del Cinquecento, contestualmente al ritorno di Emanuele Filiberto di Savoia nei suoi stati, la corona decise di intraprendere una serie di iniziative legislative volte a favorire la pratica della caccia ducale nei territori circostanti la neo-eletta capitale del ducato53. Se si analizzano nei dettagli editti ed ordini, si nota che l’iniziativa sabauda era volta, nella sostanza, a tre tipologie di azioni, ripetute in misura variabile costantemente tra Sei e Settecento, ed applicate essenzialmente sul contado circostante la città di Torino: forte limitazione alla caccia, non solo nei territori comunitari, ma anche in quelli feudali, di fagiani, cervi, caprioli e cinghiali; limitazioni al taglio degli alberi, anche nei fondi dei possidenti, divieto di ’incendio boschivo, restrizioni al pascolo. Dal punto di vista normativo, lo stato sarebbe stato impegnato nella definizione delle proprie prerogative contro bracconieri, incendiari, pastori negligenti. In realtà, cambiando la prospettiva, e ponendosi dal punto di vista delle pratiche locali, è abbastanza evidente che gli editti ducali vietassero consuetudini le cui radici secolari erano precedenti e facilmente rintracciabili. Per le comunità rurali, il taglio degli alberi creava gli spazi per la coltivazione, come insegna la diffusione della pratica del roncamento dei boschi54. Per facilitare l’abbattimento, venivano inoltre appiccati incendi, che consentivano la preparazione dei campi, fertilizzati con la cenere. Il divieto di pascolo nei boschi rappresentava un ulteriore fattore di regressione: gli animali incidevano sulla vita degli alberi, rallentando i processi di rinnovo per la distruzione delle piante più giovani; il taglio delle fronde, usate come lettiere e
53 Sul tema hanno discusso in particolare storici dell’architettura. Cfr. V.DEFABIANI, L’arte della
caccia: una nobile «recreatione» per il controllo del territorio, in C.R. Bardelli, M.G. Vinardi, V.
Defabiani (a cura di), Ville Sabaude, Milano, Rusconi, 1990, pp. 61-66. V.COMOLI MANDRACCI,
L’urbanistica della città capitale e del territorio, in G. Ricuperati (a cura di), Storia di Torino, vol. 4, La città fra crisi e ripresa (1630-1730), Torino, Einaudi, 2002, pp. 453-459.
54 D. MORENO, Dal documento al terreno: storia e archeologia dei sistemi agro-silvo-pastorali, Bologna, Il Mulino, 1990.
Capitolo 2 - Storia dello stato, storia del territorio
29
foraggio, contribuiva inoltre al processo di depauperamento55. Divieti così stringenti non potevano che provocare proteste, contrapposizioni, elusioni ai divieti, da parte delle comunità, dei possidenti, delle nobiltà locali. Lo specifico caso che qui viene illustrato cerca di mostrare una delle possibilità di azione di un’autorità statuale che si muoveva entro un complesso intreccio di diritti e consuetudini preesistenti.
Gli statuti della comunità di Altessano Superiore, dell’area storica del torinese, furono concessi dalla feudalità locale nel 1445; regolamentavano, tra diverse cose, l’esercizio della caccia, attività consentita entro i confini giurisdizionali della comunità, ma vincolata dalla consegna, ai nobili investiti del feudo, di porzioni degli animali uccisi56. Ma gli atti normativi della seconda metà del Cinquecento intaccarono i diritti delle feudalità, anche quelli di Carlo e Giorgio Arcour, consignori di Altessano Superiore, che si rivolsero al Senato torinese per chiedere la revoca della decisione sovrana di proibire «ogni sorte di caccia a qualonque persona»; a seguito della supplica il duca, nel 1565, rispose negando di voler pregiudicare i diritti feudali acquisiti57. È dunque probabile che l’accoglimento di questa, e forse di altre richieste, comportasse in seguito il riconoscimento dei diritti delle feudalità, sebbene sempre minori spazi di autonomia sarebbero stati riconosciuti negli editti pubblicati in seguito58.
55 A.PANJEK, Gli usi del bosco nelle Alpi Giulie in età moderna, in M. Ambrosoli, F. Bianco (a cura di),
Comunità e questioni di confini in Italia settentrionale (16-19 sec.), Milano, Angeli, 2007, pp. 144-168.
D.DE FRANCO, Venaria Reale, «a un genio guerrier gradito hostello»: la metamorfosi di un territorio
di cacce per il loisir della corte sabauda, in G. Alfani, M. Di Tullio, L. Mocarelli (a cura di), Storia economica e ambiente italiano (ca. 1400-1850), Milano, Angeli, 2011, pp. 67-81.
56 E.MOSCA (a cura di), Gli statuti di Altessano Superiore, Bra, Tipografia dei Padri giuseppini, 1955,
pp. 12-14; inoltre G.CHIARLE, L’uso del bosco tema di confronto tra signori e comunità, in ID. (a cura
di), Boschi e controllo del territorio nel Medioevo, La Cassa 2008, Comune di La Cassa, p. 64.
57 ASTO, Archivi privati, Famiglia d’Harcourt, b. 117, n. 3, 1565, novembre 19. Sugli Arcour, consignori
di Altessano Superiore, cfr. G.CHIARLE, Nobili borghesi. La fortuna degli Arcour (secoli XIII-XV), in
«Bollettino storico bibliografico subalpino», CVI (2008), pp. 39-99. D.DE FRANCO, Metamorfosi di
un territorio di caccia: il caso di Venaria Reale (1589-1703), in «Bollettino Storico Bibliografico
Subalpino», anno CIX (2011), secondo semestre, pp. 567-606. Sulla linea di Altessano A.MANNO, Il
patriziato subalpino. Notizie di fatto, storiche, genealogiche, feudali ed araldiche desunte da documenti, 2 voll. a stampa, più 27 dattiloscritti, Firenze, Stabilimento Giuseppe Civelli, 1895-1906,
XIII, pp. 12 sgg.
58 Nel 1584 si sosteneva quindi che la pratica venatoria era consentita ai signori ma solo per «mera
ricreatione»; cfr. Lettere patenti di S.A. per la conservatione della caccia nei luoghi riservati, 1584,
gennaio 4, inF.A.DUBOIN, Raccolta per ordine di materie delle leggi, provvidenze, editti, manifesti,
Capitolo 2 - Storia dello stato, storia del territorio
30
Inoltre nelle campagne, l’applicazione dei divieti causò la protesta dei possessori dei fondi, danneggiati dalla proliferazione degli animali selvatici. La comunità di Altessano Superiore, a seguito delle suppliche, ottenne diverse volte l’esenzione dal pagamento delle imposte straordinarie59. Altre concessioni, per identici motivi, furono concesse nel 1595 ai signori, che dopo aver sottolineato lo «infinito danno che ricevono da cervi conigli e selvatici… che danno alle campagne», ottennero l’esenzione dal pagamento della cavalcata, dovuta per gli anni precedenti60. L’autorità ducale impediva e concedeva, in un continuo dialogo che non poneva lo “stato” in una posizione di dominio assoluto sul teritorio, bensì nel tentativo di un’affermazione politica che doveva necessariamente essere mediata con i corpi territoriali.
In un altro caso, sempre relativo al medesimo contesto territoriale, si notano le conseguenze dell’applicazione di norme emanate “dall’alto”. Nella ormai consolidata residenza di caccia di Venaria Reale, sorta a metà Seicento anche ricostruendo l’antico borgo di Altessano Superiore, nel 1683 il capitano Giovanni Luigi Bertone di Crillon, comandante dei guardiacaccia, corpo militare preposto al controllo dei boschi61, esponeva al duca Vittorio Amedeo II le ostilità dei pastori alle azioni di controllo dei soldati a cavallo62. Gli abusi nei boschi, dove vigevano i precedenti Ordini ducali, derivavano dalle attività di «margari, percorari, et altri quali si sono lecito contro la dispositione dell’ordini»; quando venivano avvertiti dai soldati, non soltanto si rivolgevano in modo «d’ingiuriarli con nome di sbirri, et altre simili parole ingiuriose», ma accendevano fuochi a «diverse giornate e più
real casa di Savoia, per servire di continuazione a quella del senatore Borelli, Torino, Dalla stamperia Davico e Picco, 1860, Tomo XXIV, Vol. XXVII, Lib. XII, Tit. V, pp. 1095-1098.
59ASTO, Sezioni Riunite, Camerale Piemonte, art. 689, Patenti controllo finanze, rg. 1590 in 1591, fol.
305, 1591, ottobre 7. Nel 1594 ebbe lo sconto sul sussidio militare (ivi, rg. 1593 in 1594, fol. 289, 1594, marzo 31), e di 64 scudi sul tasso, per aver fornito 9.000 fascine e 12 tese di legna da utilizzare nei cantieri della Cittadella di Torino.
60 ASTO, Archivi privati, Archivio d’Harcourt, b. 118, n. 11, 1595, maggio 4. Il documento reca la
supplica e la risposta ducale.
61 P.PASSERIN D’ENTRÈVES, Il cerimoniale della caccia al cervo, in P. Bianchi, A. Merlotti (a cura di),
Le strategie dell’apparenza. Cerimoniali, politica e società alla corte dei Savoia in età moderna,
Torino, Zamorani, 2010, pp. 201-222
62 DE FRANCO, Venaria Reale, cit., pp. 69-70. Il documento si trova in ASTO, Corte, Materie giuridiche, Editti originali, m. 13bis, n. 62. L’unica data riportata è una nota di risposta, dove si affermava che il problema sarebbe stato esposto all’avvocato generale di Torino il primo di aprile del 1683.
Capitolo 2 - Storia dello stato, storia del territorio
31
in grave pregiudicio de padroni d’essi, e delle caccie di V.A.R.». Chiedendo al duca un ordine in risposta a questi eventi, riferiva le parole dei pastori: «siamo li padroni de boschi vogliamo ragliare, roncare a nostro piacere se S.A.R. vol difenderci che accompri li fondi de boschi». Si trattava di abusi nella misura in cui questi infrangevano gli editti ducali, ma, dal punto di vista dei pastori, erano le loro consuetudini ad essere prevaricate.
Se dunque osserviamo il rapporto tra lo stato giurisdizionale e il territorio, dal punto di vista dei divieti di caccia, possiamo notare che le norme sovrane si imponevano su pratiche consuetudinarie e diritti precedenti. La continua ripetizione dei divieti, la pubblicazione di ordini ed editti fino alla metà del Settecento lascia presagire che il contrasto e la difesa delle pratiche locali fosse stata tutt’altro che disciplinata. Il caso di Venaria Reale appare per questo interessante. Fino a metà Settecento questo territorio di caccia fu mantenuto quale principale maison de plaisance, ma durante il governo di Vittorio Amedeo III vi subentrò Moncalieri e Stupinigi63. A Venaria, per disporre liberamente del territorio, la corona aveva concluso importanti acquisti di immobili e giurisdizioni che le consentirono di paragonarsi ad un signore locale e di poter disporre, anche in virtù del diretto possesso sui beni, di un territorio dei cui diritti era titolata.