Maurizio Fioravanti in un recente volume ha posto lo stato moderno come «realtà politico-istituzionale che caratterizza la storia europea nell’ambito di un considerevole arco di tempo, a partire dal XIV secolo per giungere fino a noi, fino agli Stati costituzionali e alle Costituzioni democratiche del nostro tempo»47; lo stato moderno, pur assumendo nel tempo forme e costituzioni differenti, avrebbe avuto un percorso segnato da una “linea di fondo” dal tardo medioevo. Per Fioravanti esiste un governo quando vi è un signore con potere di imperium, che si estende a un determinato territorio in materia di giustizia, fisco, organizzazione militare; inoltre, quando è attestata un’assemblea rappresentativa – ad esempio i parlamenti – in grado da costituire un contrappeso rispetto al potere del principe, con la presenza di regole di origine consuetudinaria, spesso riportate in forma scritta. Dunque, uno stato che si pone «come governo di un territorio, che opera in modo sempre più disciplinato e regolato, con l’intento di consociare le forze operanti su quel territorio, di ricondurle a una prospettiva comune»48. Ma lo studioso riconosce anche l’esistenza, nel medesimo territorio governato dallo stato, di una pluralità di poteri anch’essi dotati di imperium. Le caratteristiche salienti sarebbero dunque rappresentate dalla capacità di esercitare della giustizia, l’imposizione dei tributi, la difesa del territorio, l’organizzazione di eserciti, il mantenimento della pace interna, in un quadro complessivo segnato dalla presenza di corpi feudali, ecclesiastici, cittadini che esercitano, ognuno secondo le proprie consuetudini, forme proprie di potere. Il concetto di “territorio” è continuamente ribadito a sottolineare il legame sussistente con l’esercizio delle prerogative velocemente elencate. Questo tipo di stato, o di forma di potere
47 M.FIORAVANTI (a cura di), Lo stato moderno in Europa, Bari, Laterza, 2002, p. 3. Si veda inoltre la
non più recente monografia, ma per molti versi condivisibile, di G.ASTUTI, La formazione dello stato
moderno in Italia, Torino, Giappicchelli, 1967.
Capitolo 2 - Storia dello stato, storia del territorio
25
territoriale, sarebbe stato in auge fino alla Rivoluzione francese, ed è stato definito “stato giurisdizionale”. In questo tipo di formazione territoriale la fitta schiera di soggetti e corpi sociali, religiosi, economici concorrerebbero all’esistenza ed al funzionamento dello stato stesso. Ordinato da un diritto non necessariamente sovraordinato a quelli esistenti, «proteso alla razionalizzazione, e magari anche alla riforma, dei diritti particolari, ma non alla loro abrogazione»; una definizione che credo si possa condividere anche in riferimento al regno sabaudo del Settecento. Lo stato avrebbe avuto la tendenza ad operare entro un territorio di riferimento, senza l’obiettivo di generare uniformità, ma ad agire «per il tramite della giurisdizione, che consente in modo ben più elastico di governare una realtà territoriale complessa, essenzialmente con l’intento di mantenere la pace, di consociare e tenere in equilibrio le forze concretamente esistenti». In questo modo si comporterebbe sul territorio come un soggetto giurisdizionale dotato di capacità di intervento e poteri coercitivi, agendo su differenti livelli in rapporto ai corpi esistenti, cercando altresì il riconoscimento della propria autorità, senza peraltro avere gli strumenti e l’intenzione di perseguire l’annullamento di quei soggetti sociali, economici, religiosi, che a loro modo legittimavano tale potere preservandone l’integrità.
Lo stato giurisdizionale avrebbe dato luogo, nel tempo, ad istituzioni ed “uffici” atti ad “amministrare” il territorio governato. Mannori ha affrontato in questo senso il problema dell’esercizio dell’attività amministrativa, mettendo in guardia dall’uso di definizioni spesso utilizzate con disinvoltura, e sconosciute dal lessico giuridico nei secoli precedenti al XIX49: il concetto di amministrazione nacque in Francia in epoca napoleonica, comparendo in Italia nel trattato del giurista Gian Domenico Romagnosi nel 1814. Ma nonostante l’introduzione recente della parola, l’autore ha riconosciuto che un’attività in senso amministrativo sarebbe insita in ogni società umana giunta ad un certo grado di complessità. I governanti dovrebbero disporre, per garantire il governo dei propri sudditi, di poteri di imposizione delle tasse, e, più in generale, di una certa capacità di coercizione. Sarebbe dunque un ambito di competenze già presente negli ordinamenti che contemplavano uno “Stato di
Capitolo 2 - Storia dello stato, storia del territorio
26
giustizia”, nel quale il sovrano si riconosceva nel dovere di ricomporre le controversie tra i sudditi. I caratteri di quello che nell’Ottocento sarebbe diventato il diritto amministrativo potrebbero dunque rintracciarsi negli stati del Sei- Settecento, dove alcuni interventi normativi avrebbero anticipato le iniziative ottocentesche.
Lo stato esercitava il suo potere con la legge, la sentenza e l’atto amministrativo. Ma l’esistenza di un’attività “materialmente amministrativa” non implicava l’esistenza di un “diritto amministrativo” propriamente detto. La posizione della storiografia, che ha visto nell’affermazione dello stato la costruzione di un’amministrazione centralizzata e autoritaria, orientata a spezzare le resistenze particolari, non è accettabile, come si è detto: lo State building non si sarebbe configurato come una contrapposizione con poteri precedentemente esistenti, bensì attraverso una dialettica, fatta di collaborazione e tensioni tra il principe e gli altri corpi del territorio, quali feudatari, enti cittadini ed ecclesiastici, comunità e corpi professionali, come lo stesso autore ha mostrato per il caso mediceo. Il compito essenziale del potere sarebbe stato dunque quello di garantire un certo equilibrio tra le sue parti costitutive. Per consolidare il proprio potere, gli stati avrebbero allargato il raggio delle proprie attività assumendo compiti molto più ampi degli ordinamenti medievali, ed organizzando altresì dimensioni e obiettivi degli apparati di governo nel territorio; in Francia la Finance, ossia l’amministrazione fiscale e tributaria, come anche la Police, che regolava i diversi aspetti del vivere sociale, dell’economia e della vita religiosa, assunsero tratti caratteristici che diventarono tipici del cosiddetto “stato assoluto”.
Queste tematiche sono state recentemente riprese da Claudio Rosso entro una prospettiva storico-istituzionale50. La burocrazia, l’esercito, la diplomazia e la
fiscalità sarebbero tra gli elementi costitutivi dello stato quattro-cinquecentesco guidato dalle dinastie europee, nel solco di uno sviluppo nel segno della continuità con le società tardomedievali. La nozione di burocrazia proposta da Weber non sarebbe in realtà applicabile alle società d’antico regime; andrebbe piuttosto
50 C.ROSSO, Burocrazia, fiscalità, diplomazia, in A. Barbero, Storia d’Europa e del Mediterraneo. Dal
medioevo all’età della globalizzazione, V. L’età moderna (secoli XVI-XVIII), Popoli, stati, equilibri del potere, volume XII a cura di R. Bizzocchi, Roma, Salerno Editrice, 2013, pp. 15-53.
Capitolo 2 - Storia dello stato, storia del territorio
27
riconsiderata alla luce della reale pratica di governo, che si esplica in infinite varianti locali51.
In questo breve e certamente incompleto percorso storiografico sono dunque emersi vari elementi, frutto di un dibattito, non senza privo di posizioni divergenti, che mi pare possano essere assunti quale utile punto di riflessione nei tentativi di definizione di cosa sia stato lo “stato” in epoca pre-industriale, o meglio nel periodo compreso tra il Quattrocento e la Rivoluzione francese.
Diversi punti possono essere ritenuti condivisibili. In primo luogo l’idea di uno stato giurisdizionale orientato al controllo del sistema giudiziario, alla definizione della fiscalità, al mantenimento di una forza militare atta ad essere impiegata al momento opportuno, ed impegnato nella costruzione di un apparato politico- diplomatico ruotante intorno ad una corte. Uno stato giurisdizionale, fiscale e militare, in estrema sintesi, le cui prerogative si intrecciavano e si confrontavano con un territorio composito da una molteplicità di corpi territoriali e sociali, dai quali ottenere il riconoscimento dell’autorità. La forza impositiva, espressa negli atti normativi, si sarebbe esplicata in una pratica di governo mediata dai rapporti di forza con le varie componenti territoriali. In un recente saggio, nel quale si ricostruisce l’importanza politica e sociale delle reclusioni “in fortezza”, si è peraltro concluso che «Il dialogo fra Stato e società si configurava dunque spesso, come si è visto, attraverso lunghe e complesse forme di contrattazione, interpretando le quali è possibile verificare i percorsi non lineari che ciascun piano di riforma o qualsiasi intervento legislativo da parte statale subiva inevitabilmente interagendo con soggetti diversi. Le strategie dell’antico regime, del resto, insegnano a usare cautela nei tentativi di classificare troppo rigidamente i fenomeni sociali e politici»52.
51 M.WEBER, Economia e società, ed. a cura di P. Rossi, Milano, Edizioni di comunità, 1995.
52 A.MERLOTTI, Prigionieri di Stato e prigionieri ad correctionem. Reclusi in fortezza nel Piemonte di
Carlo Emanuele III, in in L. Antonielli, C. Donati (a cura di), Carceri, carcerieri, carcerati. Dall’Antico regime al’Ottocento, atti del convegno (Somma Lombardo, 14-15 dicembre 2001), Rubbettino,
Capitolo 2 - Storia dello stato, storia del territorio
28