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Organizzazione, ambiente e adattamento

IKEA E I SUOI AMBIENTI ORGANIZZATIVI NEL MONDO: IL CASO ITALIANO E NORVEGESE

III.2 Organizzazione, ambiente e adattamento

Daft (2017), analizza gli aspetti ambientali esterni alle organizzazioni e nello specifico quelli a cui queste ultime sono più sensibili e al quale rispondono per la propria sopravvivenza. Per lo studioso, l‟ambiente organizzativo si può articolare in tre ambiti, ognuno dei quali comprende diversi settori:

 L‟ambiente di riferimento, che comprende il settore di appartenenza dell‟organizzazione, le materie prime e il mercato

 L‟ambiente generale, che comprende il settore del governo, quello naturale, socio-culturale, le condizioni economiche generali, il settore della tecnologia e le risorse finanziarie

 L‟ambiente internazionale

Ai fini dell‟elaborato si presterà maggiore attenzione all‟ambiente generale dell‟organizzazione Ikea il quale, comprende quei settori che pur non avendo un impatto

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https://www.ikea.com/it/it/this-is-ikea/sustainable-everyday/essere-una-grande-azienda-significa-avere- grandi-responsabilita-pub47a5ba42

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diretto e immediato sulle attività quotidiane di un‟azienda, sono in grado di condizionarle e influenzarle indirettamente.

Oltre a Daft, altri studiosi (Dyer, Godfrey, Jensen, Bryce, Pastore: 2018) articolano l‟ambiente generale in diverse dimensioni e includono in queste: politica e legislazione; aspetti sociali e culturali. Nella dimensione politica e legislativa, dell‟ambiente generale di un‟organizzazione, il pubblico potere ha la facoltà di condizionare i settori economici attraverso la legislazione e le forme di intervento dello stato nell‟economia (esempi di interventi possono essere la salvaguardia ambientale, la deregolamentazione, l‟apertura del mercato interno alle imprese estere etc.). Altri elementi, sempre legati alla dimensione politica e istituzione, sono la presenza e la qualità delle norme in tutela dei lavoratori (da ciò dipendono le scelte di outsourcing e delocalizzazione delle attività produttive di un‟impresa). Inoltre, la pressione fiscale è un fattore determinante per la competitività tra paesi in quanto possono attirare, come già discusso nel primo capitolo, gli investimenti provenienti dall‟estero: nel contesto europeo, Italia, Belgio e Francia hanno un <<Total Tax Rate>> (indicatore del livello complessivo della pressione fiscale a carico delle imprese) molto pesante, mentre in Irlanda la pressione fiscale è particolarmente favorevole per le imprese. Nella seconda dimensione, che comprende gli aspetti sociali e culturali gli studiosi si focalizzano sulla cultura, i valori, le attitudini e le norme sociali di un paese. Sempre secondo gli autori <<questi fattori sono così importanti da poter condizionare le altre forze dell‟ambiente generale e quindi da ridefinire lo scenario nel quale l‟impresa si trova ad operare>> (Dyer, Godfrey, Jensen, Pastore: 2018: 58).

Gabrielli e Profili (2016), nell‟analizzare il processo di globalizzazione economica si soffermano sull‟internazionalizzazione delle organizzazioni. Quest‟ultima oltre alle vendite può coinvolgere tutte le fasi della catena del valore, dagli approvvigionamenti alla produzione, sino ad arrivare alla ricerca e sviluppo, sia attraverso gli investimenti diretti esteri sia ricorrendo a svariate forme intermedie: alleanze internazionali, produzione locale su licenza, distribuzione in franchising, contratti di subfornitura (outsourcing internazionale) e delocalizzazione produttiva all‟estero (offshoring). Un incentivo molto forte, non l‟unico, per la nascita delle multinazionali e dei fenomeni di outsourcing e offshoring internazionali è l‟esistenza di differenziali significativi nel costo del lavoro fra paesi. Per fare un esempio e avere un‟idea dei vantaggi che essi

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comportano, una comparazione internazionale del costo orario del lavoro nel comprato manifatturiero (in dollari americani,2012) mette in luce come in Italia si aggira intorno a 34,18 mentre in Norvegia a 63,36 (Gabrielli, Profili:2016). Per la maggior parte delle imprese il lavoro rappresenta la principale voce di costo per cui è evidente che le scelte di localizzazione produttiva siano spesso guidate da valutazioni riguardanti le risorse umane infatti, oltre al costo del lavoro, esistono anche differenziali fra paesi in termini di capitale umano i quali, influiscono sulle scelte di internazionalizzazione delle imprese. Ad esempio, l‟India, grazie alla disponibilità di persone in grado di parlare inglese e con elevato titolo di studio, è stata in grado di attrarre la delocalizzazione di settori di alta tecnologia informatica, ai quali si accostano attività di call center e centri di assistenza al servizio delle aziende. Non va dimenticato però che la globalizzazione sé da un lato crea opportunità di sviluppo, dall‟altro pone delle sfide alle imprese in quanto devono andare incontro a una maggiore pressione competitiva. Gabrielli e Profili (2016) fanno riflettere sulle conseguenze di questi cambiamenti anche nell‟ambito della gestione delle risorse umane. Per i manager delle risorse umane è importante capire l‟impatto dei processi di globalizzazione per essere in grado di dare un contributo al conseguimento degli obiettivi di impresa.

Tra i vari quesiti a cui i manager delle risorse umane vanno in contro, per assicurare che la propria organizzazione tragga vantaggio dalle opportunità di crescita internazionale, gli studiosi ne elencano diversi tra cui:

 Quali aspetti specifici dovremmo conoscere in ambito delle risorse umane per operare nei paesi target (normativa sul lavoro, relazioni sindacali, struttura del mercato del lavoro locale)?

 Per governare le attività internazionali è meglio utilizzare personale locale o affidarsi a manager o tecnici provenienti dalla casa madre?

 Si possono trasferire le politiche delle risorse umane adottate nel paese di origine o conviene differenziarle per venire incontro alle specificità locali?

 Si può costruire un‟identità e una cultura condivisa in un‟organizzazione dispersa geograficamente e culturalmente eterogenea?

 Come influiranno le differenze culturali sulla motivazione delle persone, sugli stili di leadership, sulle consuetudini professionali? Come si possono

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incoraggiare e formare i dipendenti, e soprattutto i capi, a comprendere e valorizzare le differenze culturali?

Ad oggi, numerose organizzazioni, sono chiamate a confrontarsi con le differenze culturali nella gestione delle risorse umane, e ciò rappresenta una delle maggiori fonti di complessità per le imprese multinazionali. Precedentemente si è discusso come con la globalizzazione sia aumentato il ricorso ad alleanze, collaborazioni internazionali, fusioni e acquisizioni transnazionali. Tutto ciò ha condotto le aziende a porre particolare attenzione alle implicazioni delle differenze culturali. Il primo studioso ad aver messo in luce questo fattore di complessità fu lo psicologo olandese Hofstede (1980), oggi considerato il fondatore degli studi sul cross-cultural management. La sua ricerca ha permesso di individuare diverse dimensioni di particolare rilevanza nei contesti lavorativi e rispetto ai quali si registrano variazioni significative fra paesi. Inizialmente individuò quattro dimensioni, successivamente ne aggiunse una quinta:

 Distanza di potere, fa riferimento alla differenza di potere ammessa e ritenuta socialmente accettabile in una cultura. Le nazioni che registrano alta distanza di potere sono i Paesi latini e asiatici e africani, mentre i Paesi anglosassoni e scandinavi presentano bassi valori;

 Avversione all‟incertezza, si riferisce alla propensione di evitare il rischio e l‟ambiguità. Le società con una maggiore propensione all‟incertezza ricorrono maggiormente a norme, regole e procedure e sono restie ad accettare cambiamenti in quanto non vogliono rompere con le tradizioni, contrariamente le società che tollerano maggiormente il rischio sono aperti all‟innovazione e risultano di conseguenza più flessibili, affidandosi sempre meno a norme regole e procedure;

 Individualismo-collettivismo, fa riferimento alla misura in cui in una cultura ricorre all‟azione individuale o collettiva per la soluzione di problemi, soddisfazione dei bisogni etc., le culture individualistiche danno maggiore importanza alla libertà e alle scelte del singolo individuo, mentre le culture collettiviste attribuiscono maggiore importanza agli obiettivi di gruppo a cui si appartiene a discapito di quelli individuali;

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 Mascolinità-femminilità, si riferisce al grado in cui vengono enfatizzati i valori attribuiti agli stereotipi di femminilità (empatia, compassione e apertura emotiva) e mascolinità (aggressività, successo e dominanza). Le culture mascoline presentano strutture occupazionali legate alle differenze di genere e danno più importanza al successo personale piuttosto che alla qualità dell‟ambiente di lavoro e alle relazioni;

 Orientamento a lungo o breve termine, allude al rapporto che una cultura ha verso il futuro. Quelle a breve termine (occidentali) prestano maggiore attenzione al presente e ai risultati immediati, mentre le culture a lungo termine (asiatiche) attribuiscono maggiore attenzione al futuro e presentano tratti di parsimonia e perseveranza.

La ricerca di Hofstede mediante queste dimensioni identifica le posizioni relative dei diversi Paesi, fornendo un quadro per orientarsi sulle differenze culturali nel mondo. Ai nostri fini è utile la dimensione relativa all‟individualismo e al collettivismo in quanto sarà utilizzata nell‟analisi che va a comparare culturalmente i due paesi. L‟Italia registra valori abbastanza alti sulle dimensioni dell‟individualismo, della mascolinità e dell‟avversione all‟incertezza con un livello medio sulla distanza di potere e presenta un orientamento a breve termine. La Norvegia invece registra valori piuttosto bassi nella distanza di potere.

Lo stesso Hofstade sottolinea però come questo quadro culturale dei diversi Paesi serve solo da orientamento, in quanto esistono anche altre variabili da prendere in considerazione come ad esempio la personalità la storia familiare etc., queste dimensioni non possono prevedere i comportamenti individuali in quanto non prendono in considerazione la personalità individuale. (Hofstede:1980) Nonostante i limiti, lo studioso ha il merito di aver dato inizio a questo filone di ricerca il quale, si è arricchito nel tempo di numerosi altri studi (fra le ricerche più recenti, il progetto Globe leadership and Organizational Behavior Effectiveness avviato nel 1992 e tutt‟ora in corso) (Gabrielli, Profili:2016).

Nell‟ambito del governo delle risorse umane in ambito internazionale, le imprese si trovano a dover scegliere il proprio posizionamento strategico rispetto a due approcci: la differenziazione locale, in cui l‟impresa decide di utilizzare politiche diverse in ogni

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paese al fine di adattarsi alle specificità locali; l‟integrazione globale, che comporta l‟uniformità delle politiche nei vari paesi in modo da ottenere il massimo rendimento delle economie di scala e al tempo stesso rendere forte la coerenza e l‟integrazione interna. nel primo caso le imprese riconoscono ampia autonomia alle filiali estere nei diversi ambiti di gestione, compresa la politica delle risorse umane. Nel secondo caso invece, vi sarà una maggiore pressione interna per rendere uniformi le politiche adottate, anche rispetto alla gestione del personale.

Tuttavia, è quasi impossibile seguire in modo rigido uno dei due approcci, infatti la sfida per le imprese sta nel trovare un equilibrio tra fra differenziazione locale e integrazione globale, considerando dunque sia i fattori interni sia quelli esterni. Nell‟ambito della gestione delle risorse umane si cercherà di equilibrare la soddisfazione dei bisogni e delle aspettative dei dipendenti nei diversi paesi, <<all‟interno di una cornice comune, definita da una strategia HR globale>> (Gabrielli, Profili:2016:331).

Per raggiungere questo obiettivo è importante valutare sia gli elementi di similarità, sia quelli che contraddistinguono e dunque sono specifici di ogni contesto. Nell‟ambito della gestione delle risorse umane essi possono essere ricondotti a due elementi fondamentali quali, l‟assetto istituzionale e la cultura nazionale: Il primo fa riferimento alle peculiarità di ogni paese rispetto alle proprie istituzioni fondamentali che comprendono il governo, l‟ordinamento legislativo, il sistema educativo, il mercato del lavoro, i sindacati, le istituzioni economiche. L‟Europa presenta significative differenze, legate al contesto istituzionale, che si esplicano nel minore o maggiore potere dei sindacati, intervento del governo, presenza o meno di leggi sul salario minimo e sul numero massimo di ore lavorative a settimana; Il secondo fa riferimento alla cultura, i paesi tendono a elaborare nel tempo una propria cultura che è frutto della storia, della geografia, del clima, delle risorse che contraddistinguono i vari paesi, essa si manifesta nel modo di vivere di un popolo. Tali differenze potrebbero tradursi sia in modelli di consumo differenti, sia nel modo in cui gli individui si approcciano al lavoro. In merito a quanto detto, è possibile distinguere due approcci differenti che analizzano entrambi gli aspetti appena illustrati: la tesi della convergenza sostiene che le differenze istituzionali e culturali nei diversi paesi sono destinate ad affievolire a causa della globalizzazione e della crescente spinta all‟omologazione culturale e istituzionale fra

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regioni del modo, le imprese tendono ad adottare le stesse pratiche e gli stessi modelli di gestione in tutto il mondo; un‟altra parte della letteratura si oppone all‟approccio precedente affermando che, nonostante le organizzazioni stiano acquisendo caratteri sovranazionali, le specificità culturali e istituzionali di ciascun paese continueranno ad esistere e ad esercitare un‟influenza non indifferente per il successo dell‟impresa nell‟ambiente internazionale (Gabrielli, Profili:2016). Secondo quest‟ultima prospettiva i manager non dovrebbero seguire un approccio universalistico alla gestione delle risorse umane, in quanto non ci sono modelli e strumenti validi in assoluto e trasferibili da un contesto all‟altro, bensì variano facilmente. Ad oggi, vengono sostenute entrambe le tesi (convergenze, divergenza): se da un lato le imprese nel crescere internazionalmente devono sapersi muovere in un ambiente complesso fatto di somiglianze, dall‟altro devono essere consapevoli delle differenze, per essere nelle condizioni di poter cogliere le opportunità di crescita (Gabrielli, Profili: 2016).

III.3 Due contesti internazionali a confronto nell’analisi del mercato del lavoro