• Non ci sono risultati.

CONTESTUALIZZAZIONE ED EVOLUZIONE DELLE TEORIE ORGANIZZATIVE

II.7 Le teorie della cultura

Verso la metà degli anni 70, quello che sembrava sino a quel momento il modello dominante nonché delle contingenze, andò incontro ad una serie di critiche. In questo periodo aumentavano sempre più le ricerche volte a misurare in modo più sofist icato tecnologia, turbolenze ambientali, dimensioni e strutture, e nonostante i metodi diventassero più sofisticati, i risultati apparivano contraddittori. Si riconosceva che anche i fattori a prima vista più oggettivi come l‟ambiente, la tecnologia, e le dimensioni di impresa, sono in buona parte prodotte da scelte e convinzioni umane (Bonazzi, vol-3: 2002).

Furono poste due sfide alla teoria della contingenza: la prima scaturì dal pensiero di Child (1972) il quale sosteneva che l‟ambiente in cui si opera non è dato bensì scelto, infatti sull‟ambiente si può intervenire con strategie appropriate. Anche la tecnologia deve essere vista come il prodotto di decisioni, risorse, programmi i quali sono definiti e implementati da precise valutazioni del management. Infine, anche le dimensioni di impresa possono essere modificate dall‟intervento umano (ad esempio dividendo uno stabilimento in unità autonome una dall‟altra). Nelle conclusioni di Child emergeva l‟importanza della soggettività dell‟azione umana all‟interno delle organizzazioni. In sostanza si necessitava di studiare le strategie del management alla luce della cultura,

55

delle convinzioni e delle preferenze che emergono nei gruppi di comando. La seconda sfida, alle teorie contingenti, proveniva dai frequenti confronti culturali tra le diverse nazioni. Aprendo una piccola parentesi, una tesi formulata in seno alle teorie contingenti affermava che più si sviluppa un processo di industrializzazione, tanto più le strutture tendono a omogenizzarsi in tutti i paesi in quanto le specificità culturali delle varie società perdono sempre più importanza nel modellare le strutture (tesi della convergenza strutturale). La tesi appena esposta accese forti controversie (Lammers, Hickson: 1979). Contro di essa venne effettuata una ricerca stabilimenti giapponesi (di loro proprietà) localizzati negli Stati Uniti. Dai risultati delle ricerche non emersero grandi differenze, sia gli stabilimenti con maggioranza di personale giapponese, sia quelli con maggioranza americana avevano in generale strutture organizzative simili (Ouchi, Wilkins,1985). Tutto ciò, portò gli studiosi ad interrogarsi sempre più sulla metodologia di ricerca utilizzata, una metodologia che faceva capo a dati statistici. Una metodologia che, secondo gli studiosi, non consentiva di esprimere la differenza tra i differenti stabilimenti. Una differenza che si riscontra, secondo gli studiosi, nell‟ <<atmosfera interna, qualcosa di impalpabile ma di fondamentale per la comprensione dei rapporti umani nella vita quotidiana delle unità osservate>> (Bonazzi, vol- 3:2002:94).

Bonazzi scrive << erano maturi i tempi perché nell‟incessante spola tra soggetto e oggetto, azione e struttura, significato e funzioni la ricerca organizzativa compisse un nuovo movimento a spirale, passando da un approccio duro a uno morbido>> (Bonazzi, vol-3:2002:94). Con la crisi del paradigma contingentista si gettavano le basi per la costruzione di un nuovo paradigma organizzativo.

Tra la fine degli anni ‟70 e i primi anni ‟80 vi fu una proliferazione di pubblicazioni dedicate alla cultura organizzativa, le cerimonie, i simboli e il senso che i soggetti conferiscono alle proprie azioni.

Queste pubblicazioni rappresentavano la nascita di un nuovo movimento di pensiero articolato in una pluralità di scuole e indirizzi di ricerca differenti (simbolismo organizzativo, cognitivismo, etnometodologia, fenomenologia etc.) avendo in comune la diffidenza per le conoscenze basate su aspetti quantitativi delle organizzazioni, scegliendo invece un‟altra strada nonché gli approcci qualitativi o etnografici. Due degli studiosi, su cui ci soffermeremo, che hanno apportato il maggior contributo

56

all‟approccio culturale sono Edgar Schein e Karl Weick. Per entrambi l‟oggetto di studio è la cultura organizzativa, ma entrambi differiscono nel modo di intenderla infatti Schein presenta una concezione più oggettiva della cultura organizzativa, mentre Weick si colloca su una posizione di radicale soggettivismo, ma ciò non deve essere scambiata con la negazione del mondo esterno.

L‟idea centrale di Schein (1984;1985) è che l‟analisi di un‟organizzazione consiste principalmente nello studiare la sua cultura, vedendola come l‟elemento più importante dell‟organizzazione in grado di spiegare la struttura le scelte strategiche, il reclutamento e la condotta degli individui. Schein ne dà una definizione, vedendo la cultura organizzativa come l‟insieme coerente di assunti fondamentali che un dato gruppo ha inventato, scoperto o sviluppato imparando ad affrontare i suoi problemi di adattamento esterno e di integrazione interna i quali, hanno funzionato talmente bene da poter essere riconosciuti e considerati validi e dunque essere trasmessi ai nuovi membri come il modo corretto di percepire, pensare e sentire in relazione a quei problemi. Nella definizione, molto complessa di Schein, vi sono tre aspetti principali che meritano di essere analizzati uno per volta. Innanzitutto, il primo sta nel concetto di cultura come insieme di assunti fondamentali, espressione che vuole mettere in luce il fatto che la conoscenza di una cultura organizzativa si sviluppa mediante un‟analisi condotta a differenti livelli di profondità:

 al livello più visibile e superficiale vi sono gli artefatti nonché i prodotti osservabili quali, architettura, arredamento, tecnologia, espressioni visibili del modo di comportarsi, il gergo, l‟abbigliamento, la mimica i simboli e i rituali. Ma nonostante questi siano osservabili, Schein raccomanda di decifrarli correttamente, ad esempio capire sé una determinata architettura favorisce la socialità tra i membri o rispecchia la volontà di mantenere le gerarchie;

 Al secondo livello vi sono i valori espliciti delle organizzazioni ovvero le ideologie e i discorsi che indicano quali sono i valori a cui si ispirano le azioni e gli obiettivi da raggiungere. Siamo nell‟ ambito dei discorsi manifesti (esplicitamente accettati) i quali vengono spesso sviluppati dai leader e fatti circolare con il fine ultimo di creare un senso di appartenenza e solidarietà;

57

 Infine, con il terzo livello (quello più profondo), che Schein chiama gli assunti di base, si fa riferimento alle convinzioni profonde e inespresse, date talmente per scontate da non attirare l‟attenzione e sulle quali i membri non hanno chiara consapevolezza. È proprio in questo livello che secondo Schein emerge il compito più difficile per l‟analisi organizzativa, qui entra in gioco il valore della ricerca che si esplica nella possibilità di andare oltre le banali descrizioni di cose già risapute.

Schein fornisce anche indicazioni sulla metodologia da seguire per scoprire ed estrapolare gli assunti di base. Le indicazioni riguardano i campi universali dell‟esperienza umana come: il rapporto con la natura, che può essere di dominanza e di sottomissione o di rispetto e armonia; la percezione del tempo, che può essere ciclica con continui ritorni su se stesso oppure si può avere una concezione lineare del tempo ovvero che non torna mai indietro; la natura dell‟uomo, in cui si può avere una concezione pessimistica della natura umana macchiata dal peccato originale o positiva vedendo in questo caso l‟uomo capace di perfezionarsi indefinitamente; le attività umane; le relazioni con le persone, che possono assumere tratti autoritari o democratici. Gli assunti analizzati sin ora, si possono combinare tra loro dando luogo a dei sistemi di convinzioni articolati e complessi. È utile comprendere però come si formano gli assunti fondamentali di un‟organizzazione, entrando nella seconda parte della definizione che Schein da di cultura. Il primo aspetto da tenere a mente è che una cultura è sempre formata all‟interno di un determinato gruppo e non può dunque esistere al di fuori. Il gruppo è formato da persone che hanno passato tanto tempo insieme, condividendo molte delle volte problemi significativi e condividendo il fatto di averli affrontati insieme o quantomeno aver tentato di risolverli e aver osservato gli effetti della loro soluzione. Inoltre, il gruppo deve aver trasmesso la soluzione ai nuovi arrivati all‟interno dell‟organizzazione. In poche parole, per sviluppare una cultura comune il gruppo deve avere una storia comune e più il gruppo è omogeneo e stabile più la sua cultura è forte.

Schein distingue anche due categorie di problemi: l‟adattamento del gruppo all‟ambiente il quale determina la sopravvivenza stessa del gruppo; l‟integrazione

58

interna che riguarda invece la capacità del gruppo interno all‟organizzazione di funzionare come tale.

Tutti i problemi, e le modalità con cui vengono affrontati, hanno delle specificità che riflettono la storia dell‟organizzazione e l‟ambiente in cui opera. Per affrontare detti problemi l‟organizzazione sviluppa degli assunti di base che devono funzionare particolarmente bene per essere definiti validi. Tali assunti formano la cultura dell‟organizzazione, ma è importante sottolineare due aspetti, primo che la cultura è sempre il risultato di un processo che si basa sulla ripetizione del successo, e secondo che gli assunti non assicurano mai un funzionamento perfetto e stabile in quanto si evolvono continuamente, mutano i problemi e infine perché si escogitano continuamente soluzioni più efficaci rispetto alle precedenti. Per questo motivo, scrive Schein, la cultura è continuamente in formazione poiché è sempre in atto qualche tipo di apprendimento circa il modo di porsi con l‟ambiente e il modo di gestire gli affari interni. Inoltre, la cultura non è soltanto un patrimonio condiviso dai membri già presenti nell‟organizzazione, un requisito importante per la sopravvivenza del gruppo è anche la trasmissione della sua cultura ai nuovi membri. La trasmissione della cultura a sua volta si presenta semplice se i nuovi membri sono giovani, mentre complessa se i nuovi membri portano con sé idee e valori acquisiti in precedenti esperienze. In questo ultimo caso è possibile che siano i nuovi membri a procurare cambiamenti nella cultura (Bonazzi, vol-3:2002).

Un altro autore considerato antitetico a Schein è Karl Weick considerato uno degli autori più importanti e citati nel pensiero organizzativo contemporaneo a causa della radicale novità del suo impianto teorico. Rispetto a Schein, che come si ha avuto modo di vedere l‟oggetto di studio è la cultura organizzativa intesa come patrimonio oggettivamente dato nella realtà esterna, Weick pone come oggetto di studio i processi cognitivi attraverso cui i soggetti danno senso ai loro flussi di esperienza, di conseguenza la cultura, come qualsiasi realtà esterna, prende senso solo attraverso i processi cognitivi dei soggetti.

Ma per capire a fondo cosa Weick intendesse per processo cognitivo è opportuno muovere dal presupposto che secondo il suo pensiero non esiste nulla al di fuori dei flussi di esperienza e che le categorie del dentro/fuori, interno/esterno hanno una natura unicamente logica di scansione della realtà per attribuirle significato.

59

<<non esiste alcun processo metodologico attraverso il quale si possa confermare l‟esistenza di un oggetto indipendentemente dal processo di conferma che riguarda se stessi: l‟esterno è vuoto, esiste solo l‟interno. Tutto ciò che si può conoscere è l‟interno di una persona, il dentro o la vista interna. Tuttavia, gli agenti immersi in flussi di esperienza organizzano e scandiscono questi ultimi presupponendo organizzazioni e ambienti>> (Bonazzi, vol-3:2002:110).

Weick, come già accennato, si colloca su una posizione di radicale soggettivismo, ma ciò non va confuso con una negazione dell‟esistenza del mondo esterno, cognitivismo non significa solipsismo. Nella tesi di Weick il mondo esterno non possiede un suo intrinseco in quanto esso ha sempre e soltanto il senso che noi gli attribuiamo dunque non è possibile conoscere il mondo esterno e interagire con esso se non all‟interno dei nostri processi di creazione di senso. Un flusso di esperienze caotiche, arrivano di continuo alla nostra mente e siamo noi a dare senso e ordine man mano che procede il processo cognitivo. In questo processo noi sviluppiamo delle deduzioni le quali vengono sistemate in <<mappe causali>> ossia in costruzioni dotate di senso e ordine logico. Sono tali mappe (cognitivo-normative) che oltre a predisporre il nostro comportamento futuro, possono essere modificate dal continuo flusso di nuove esperienze. Da questa impostazione teorica discendono due conseguenze: la centralità dell‟analisi dei processi di creazione di senso (sensemaking); la completa equivalenza tra processi di creazione di senso e processi di organizzazione (organizing). Dare senso a un flusso di esperienze e organizzare la realtà sono due lati della stessa medaglia. Ma per comprendere l‟equivalenza è opportuno ripercorrere l‟analisi di Weick sui processi di creazione di senso. All‟interno di questi processi infatti, è possibile distinguere tre fasi quali: attivazione di un ambiente, in cui il soggetto interagisce con il materiale grezzo della sua esperienza individuando strutture e connessioni e così facendo gli conferisce senso; la creazione di senso entra così nella seconda fase che Weick chiama di selezione in cui vengono eliminate molte delle ambiguità confusioni e incertezze prodotte durante l‟attivazione dell‟ambiente, questa fase è fondamentale e necessaria per poter procedere con efficacia nel processo di creazione di senso (Weick avverte di stare attenti alla selezione eccessiva); il processo di creazione di senso giunge alla terza fase definita di ritenzione ove la mente, da un lato elabora e ordina le informazioni in

60

arrivo così da confermare le mappe mentali già esistenti, dall‟altro anche il materiale già esistente va in contro a una riorganizzazione e un adattamento.

L‟organizzazione non va pensata come un‟entità dotata a priori di strutture formali che esistono al di fuori dei soggetti, piuttosto afferma Weick deve essere vista come << un corpo di pensiero pensato da pensatori pensanti>> (Weick:1979: 42) in questa luce è chiaro il pensiero di Weick quando afferma che tutto ciò che siamo abituati a pensare come una realtà esterna a noi (strutture, norme, gerarchie etc.) non esiste se non all‟interno dei soggetti che la percepiscono.