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“Yet another introduction to Roman coins”. Le parole di Andrew Burnett103 ben illustrano il fatto che la

monetazione della Roma imperiale è da anni l’argomento di ricerca che forse scaturisce, nel campo della numismatica, l’interesse più vasto. Importantissimi sono infatti i repertori pubblicati nel passato che costituiscono tuttora una base di partenza per il confronto tipologico104, oltre a una lunga serie di cataloghi

museali e manualistica sull’argomento105 a cui si rimanda per approfondire alcuni dei temi che saranno

solo illustrati brevemente in questa sede, in particolare quando non relativi ai due nuclei monetali qui analizzati.

Dopo la sconfitta inflitta ad Antonio e Cleopatra nel 31 a.C., Ottaviano si trovò a gestire una situazione economica e monetale disastrosa, poiché la produzione in bronzo era estremamente irregolare con valori ponderali particolarmente fluttuanti. Il peso dell’economia ricadeva quindi sullo scambio effettuato attraverso la monetazione in oro e argento106, anch’essa particolarmente svalutata.

Si rese perciò necessaria una riforma monetale, che fu effettuata nel 23 a.C.107, strutturata attraverso

l’abbondante produzione di moneta in oro, argento, oricalco e bronzo108 (questi ultimi ambedue leghe di

rame), con standard fissi e regolati dal governo, in un sistema che restò quasi invariato fino alla prima metà del III secolo d.C.109.

Le nuove emissioni in oro mantennero il nominale repubblicano, l’aureo, che fu però portato a 1 42 di

libbra, 7,79 g; fu emessa anche una sua frazione, il quinario, equivalente alla metà del peso e valore110.

Anche per l’argento, la riforma di Augusto mantenne il nominale principale già conosciuto durante il periodo repubblicano, il denario, portandolo a 1⁄84 di libbra (invece di

1

72 repubblicano) quindi un peso di

circa 3,99 g. Esso fu affiancato dal quinario argenteo, la sua frazione, il cui utilizzo venne però completamente abbandonato già alla fine del periodo giulio-claudio111.

Un leggero aggiustamento venne effettuato da Nerone, il quale ridusse il denario a 1⁄96 di libbra,

equivalente a 3,18 g112. Ciononostante la monetazione in argento registra una costante perdita di peso, ma

solo nel 214 Caracalla effettua un tentativo rivalutazione del nominale che viene portato al peso di 1⁄84 di

libbra. L’emissione viene coniata però con solo il 50% di argento incluso nella lega, costituendo così un amalgama chiamata billone113. La stessa lega fu utilizzata per un altro nominale, l’antoniniano, con peso

103

BURNETT 2004, preface.

104

BMCRE I-VI; RIC IX.

105

Si faccia riferimento a BELLONI 2002 e CATALLI 2003 con relative bibliografie.

106 CATALLI 2003, p. 24. 107 BELLONI 2002, p. 255; CATALLI 2003, p. 61. 108 BELLONI 2002, p. 225; 258; CATALLI 2003, p. 61. 109ERCOLANI 1996. 110 B

ELLONI 2002, p. 225; CATALLI 2003, p. 61; BURNETT 2004, p. 126 con bibliografie. In breve, con la riforma di Nerone si

testimonia una riduzione a 1⁄45 di libbra, equivalente a circa 7,30 g110, un peso che rimarrà stabile fino alla riforma di Caracalla, il

quale ridusse il peso a 1

50 di libbra. L’ultimo cambiamento risale alla riforma di Diocleziano, a 1⁄60 di libbra, indicato anche dalla

lettera greca S impressa sul tondello (Catalli e Burnett suggeriscono anche uno scambio di 1⁄70 di libbra). 111

RIC I, p. 2.

112

RIC I, pp. 3-4; BELLONI 2002, p. 257. Nell’82 Domiziano riportò il peso del denario ai livelli dettati da Augusto, ma nell’85 il peso ritornò ai livelli neroniani.

113

36

equivalente a 1⁄64 di libbra, circa 5,10 g114 che sostituirà nel tempo le produzioni del denario115. Questo

nuovo nominale registra quasi immediatamente un peggioramento della lega di produzione, tanto che la percentuale di argento si abbasserà fino al 3-4%116.

Tra l’età di Claudio Gotico e fino ai primi anni di Aureliano, venne raggiunto il livello peggiore della produzione monetale, sia per quello che riguarda la qualità stilistica delle coniazioni, ma anche perché la moneta veniva spesso solamente immersa nell’argento liquido per creare una patina superficiale117.

Aureliano effettua quindi una riforma monetale (270-275) con emissioni di “aureliani” 118 del peso di

quasi 4 grammi, su cui impone la sigla XXI-XX in Occidente e KA/K in Oriente. Le ipotesi di interpretazione di queste lettere sono molteplici, generalmente valutate come il segno indicativo della quantità di argento nella moneta, vigesima (pars) unius (nummi), quindi corrispondente al 5% di fino119,

oppure al rapporto di scambio tra antoniniani (venti) e una moneta di argento puro120.

Aureliano tentò di introdurre un nuovo nominale, che riporta le lettere VSV, coniato a 1⁄126 di libbra,

oppure 1⁄20 di antoniniano; la moneta conteneva il 2,5% di argento nella lega e aveva un peso di 2,60 g,

ma la sua emissione fu presto dismessa121.

L’ultima riforma del III secolo fu quella di Diocleziano, databile tra 293 e 296122, il quale inserì nel

sistema monetale due nominali diversi in lega di rame/argento: l’argenteo coniato a 1⁄96 di libbra con peso

di ca. 10 g e circa il 3,5% di fino e un radiato, con una percentuale ancora minore di argento, del peso di 3-3,50 g123.

Con la riforma di Augusto, la monetazione in lega di rame acquista importanza attraverso le emissioni di due nominali in oricalco - il sesterzio e il dupondio - e due in bronzo124 - l’asse e il quadrante. Il peso di

queste produzioni sembrerebbe ben definito125, ma si osservano forti oscillazioni anche in esemplari in

buono stato di conservazione126.

114

BELLONI 2002, p. 261.

115

RIC V.I, p. 6; CATALLI 2003, p. 172.

116 C

ALLU-BURRANDON 1986, p. 560; COPE-KING-CLAY 1997, p. 37; BALDI 2006.nell’analisi relativa alle monete provenienti

dagli scavi di Classe sono stati ti analizzati con la tecnica XRF hanno mostrato la presenza di argento nella lega, nonostante uno di essi sia all’apparenza una moneta in lega di rame; la tecnica non ha però permesso di rinvenire la presenza di argento nella lega metallica.

117

RIC V.I, p. 6.

118

BURNETT 2004, p. 124; CATALLI 2003, p. 173. Aureliano è il termine utilizzato per gli antoniniani emessi da Aureliano nella

Historia Augusta (XXVIII, 4-5). Per non creare imprecisioni ci si riferirà a queste emissioni come “radiati”, temine relativo

all’immagine dell’imperatore raffigurata sul diritto, con una testa radiata, lo stesso utilizzato comunemente, per esempio, dai curatori del British Museum.

119

CALLU-BURRANDON 1986, p. 560; COPE-KING-CLAY 1997, p. 37; CATALLI 2003 p. 173; BURNETT 2004, p. 124. Questa ipotesi sarebbe stata contrastata dall’analisi condotta sulla composizione delle monete con le lettere XXI. Lo studio ha dimostrato che la percentuale di argento negli esemplari esaminati è del 3,5% e non del 5% e che il contenuto spesso variava anche tra esemplari della stessa zecca.

120

RIC V.I, p. 9-12; Mattingly e Sydehnam sostengono che questo segno sia interpretabile come XX=I, venti antoniniani/radiati necessari per lo scambio con un denario, o persino un aureo.

121 Per le ipotesi di interpretazione di questo simbolo si rimanda al RIC V.I, p. 14, C

ATALLI 2002,p.255;CRISAFULLI 2008, p. 23;

25 con relativa discussione e bibliografia.

122 RIC V.II, p. 206. 123

BELLONI 2002, p. 266; CATALLI 2003, p. 175; ERCOLANI 2003, p.35. Ercolani considera il radiato una delle emissioni in lega di rame.

124

BELLONI 2002, p. 256; CATALLI 2003, pp. 166; 169.

125 RIC I, E

RCOLANI 2004; BELLONI 2002. Tutti gli autori concordano sul valore frazionale delle emissioni nei confronti della

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La riforma di Nerone prevedeva che l’asse e il dupondio venissero marcati rispettivamente con i numerali I e II; sul dupondio venne raffigurata, inoltre, la testa radiata dell’imperatore che fino a quel momento era stata utilizzata solo per gli imperatori morti e divinizzati. Questa caratteristica verrà mantenuta anche dai successori, poiché rendeva più semplice il riconoscimento tra i due nominali, di diametro e peso molto simile127. Il collasso della moneta in lega di rame avvenne durante il III secolo: con l’emissione

dell’antoniniano in argento furono infatti dismesse le produzioni di dupondi, assi e sesterzi128.

La causa di questo costante processo di disgregazione della struttura monetale impiantata da Augusto129 è

vista dagli studiosi come il risultato della diminuita disponibilità di metallo, dovuta alla perdita di alcune importanti miniere e alla crescita delle spese di estrazione e lavorazione dei metalli utilizzati per la produzione delle monete. Anche le spese militari sembrano avere influito notevolmente sulla crisi del III secolo, in particolare, l’alto costo del mantenimento gli eserciti, l’aumento di elargizioni ai soldati, e la necessità di fortificazione delle città sul limes, oltre al non indifferente “costo della pace” che veniva mantenuta sempre più spesso con donativi alle popolazioni che premevano sui confini130.

Anche l’ultimo tentativo di riorganizzazione, realizzato da Diocleziano, non ebbe successo e pochi anni dopo sarà Costantino I ad introdurre una nuova riforma, che riporterà, ameno inizialmente, una certa stabilità nella produzione monetale imperiale131 [v. infra].

LA MONETAZIONE ROMANO IMPERIALE DAL I AL III SECOLO PRESSO L’AREA PORTUALE DI CLASSE E