• Non ci sono risultati.

Le soluzioni normative

4.3.1. Le forme di regolazione delle relazioni verticali nel settore alimentare

461. La conflittualità - cresciuta in parallelo alla concentrazione del potere d’acquisto delle grandi catene distributive - che ha caratterizzato, soprattutto nell’ultimo decennio, le relazioni verticali fra produttori e imprese della GDO ha indotto, ovunque in Europa, le associazioni rappresentative delle due categorie di operatori a cercare una sede di regolazione dei conflitti, anche attraverso il tentativo, non sempre andato a buon fine, di elaborare codici di autodisciplina condivisi da entrambe le categorie.

Forti pressioni sono state quindi esercitate, soprattutto da parte delle organizzazioni rappresentative delle imprese piccole e medie, anche sui legislatori dei diversi Paesi membri, affinché venissero introdotte specifiche forme di tutela della parte contrattuale più debole nella negoziazione con la GDO. Tutela da estendersi non soltanto alle richieste di slotting allowance, ma anche ad una serie di ulteriori condotte considerate “vessatorie” da

112 “Rapporti verticali nella filiera alimentare. Principi di buone prassi”, emanato il 29 novembre 2011 e sottoscritto da 11 organizzazioni portatrici di interessi diversi nella catena di fornitura.

186

molti fornitori, quali le modifiche unilaterali delle condizioni contrattuali, l’introduzione di clausole retroattive, le diverse forme di de-listing, ecc..

462. L’adozione di nuovi e specifici interventi normativi è stata invocata anche in ragione della presunta inadeguatezza della tutela offerta delle autorità di concorrenza, vuoi per l’inidoneità degli strumenti disponibili114, vuoi per l’insufficiente grado di consolidamento dell’analisi teorica in merito agli eventuali effetti anticompetitivi delle condotte lamentate. 463. In tale contesto, in diversi Paesi europei sono state effettivamente introdotte specifiche forme di regolazione delle relazioni verticali tra fornitori e catene della GDO, in qualche caso sollecitate dalle stesse autorità antitrust o che comunque prevedono forme di coinvolgimento di tali autorità nell’attività di vigilanza e/o di enforcement delle disposizioni regolatorie.

Pur nella diversità delle soluzioni e dei modelli di disciplina adottati, tali norme presentano un certo grado di omogeneità nei contenuti e nell’identificazione delle condotte vietate, in considerazione degli effetti “indesiderati” che queste ultime sono state evidentemente ritenute idonee a produrre sulle dinamiche contrattuali e di mercato.

464. Anche in Italia, dopo vari tentativi di ricerca di un accordo tra produttori alimentari e catene della GDO per concordare un codice di autodisciplina, è stata varata una norma che regola taluni aspetti delle relazioni verticali lungo tutta la filiera agro-alimentare e che attribuisce all’Autorità il potere di vigilanza e di enforcement sui divieti introdotti (art. 62 della legge 24 marzo 2012, n. 27, trattato nei successivi paragrafi 4.4. e 4.5.).

Qui di seguito sono sinteticamente descritti i contenuti delle discipline adottate nei due principali Paesi europei che le hanno introdotte, sia per estrapolarne i principi ispiratori comuni, che per valutarne la contiguità - o comunque la compatibilità - con i principi che regolano l’attività delle autorità antitrust.

4.3.2. L’esperienza inglese

465. Nel Regno Unito, l’esigenza di arginare gli abusi derivanti dagli squilibri nelle relazioni contrattuali con l’industria alimentare ha condotto l’Office of Fair Trading, già nel 2002, a definire un “codice di buone pratiche” (il “Supermarkets Code of Practice”, c.d. SCOP), nel quale veniva individuato un elenco di comportamenti che avrebbero dovuto orientare le negoziazioni tra GDO e industria alimentare.

L’emanazione di tale atto faceva seguito a un’indagine condotta dalla Competition Commission nel 2000, con particolare riferimento al settore alimentare, a conclusione della quale tale istituzione aveva pubblicato una relazione molto critica verso il comportamento della GDO, identificando ben 52 pratiche commerciali della grande distribuzione suscettibili di ridurre la competitività dei fornitori, buona parte delle quali tendeva a trasferire sui

114 Come noto, l’intervento nei confronti delle condotte unilaterali ai sensi della legislazione antitrust è previsto nei soli casi di presenza di una posizione dominante.

187

produttori rischi o costi propri dell’attività distributiva, con effetti negativi sugli investimenti e sull’innovazione (ad es. richieste di riduzione retroattiva del prezzo, di finanziamento retroattivo di attività promozionali e di altre pratiche commerciali aventi l’effetto di modificare retroattivamente i termini contrattuali).

466. Segnatamente, il c.d. SCOP, sottoscritto dalle quattro principali catene distributive operanti nel Regno Unito (rappresentanti insieme il 75% del mercato) prevede(va) che:

i) le condizioni di acquisto, su richiesta del fornitore, devono essere indicate in un documento scritto e ogni modifica deve essere comunicata con un congruo preavviso;

ii) i termini di pagamento devono essere ragionevoli;

iii) il distributore non può pretendere contributi obbligatori per le spese di marketing e non può esigere, in modo irragionevole, la partecipazione al finanziamento di un’operazione promozionale, né può richiedere pagamenti per i minori profitti derivanti dalla vendita dei prodotti del fornitore, a meno che tale previsione non sia stata preventivamente sottoscritta dalle parti;

iv) non possono essere richiesti compensi per il deperimento dei prodotti del fornitore in magazzino, in assenza di accordo scritto, negligenza o inadempienza del fornitore.

In caso di controversia agli obblighi descritti, è previsto l’intervento di un mediatore a spese del distributore, come pure la possibilità per il fornitore di rivolgersi direttamente con una denuncia all’OFT.

467. Nel 2007, la Competition Commission (di seguito CC) ha condotto una nuova indagine sul mercato al dettaglio dei generi alimentari e dei prodotti per l’igiene della persona e della casa (c.d. grocery), dalla quale è risultato che la maggior parte delle pratiche della GDO identificate nell’indagine del 2000 continuavano ad essere applicate, “trasferendo rischi e costi eccessivi sui fornitori” in modo da “ridurre la loro capacità d’investire e innovare, con possibili conseguenze negative per i consumatori quanto alla qualità ed alla creazione di nuovi prodotti”.

468. In seguito ad un’ampia consultazione delle parti interessate e di vari organismi governativi, la CC ha proposto, nel febbraio 2008, un pacchetto di misure destinate a rimediare agli inconvenienti emersi: in particolare, essa ha raccomandato la creazione di un nuovo Groceries Supply Code of Practice (GSCOP), destinato a sostituire lo SCOP. Tale nuovo Codice, da estendere a tutti i distributori con un fatturato superiore a 1 miliardo di sterline, avrebbe dovuto, tra l’altro, vietare modifiche retroattive delle condizioni di fornitura convenute e prevedere la formalizzazione scritta dei contratti con i fornitori.

Infine, la CC ha raccomandato: i) la creazione, al posto del semplice mediatore, di un vero e proprio organo arbitrale dotato del potere di risolvere le vertenze tra fornitori e distributori relative al GSCOP; ii) di pubblicare linee guida sull’applicazione del GSCOP; iii) di raccogliere informazioni a seguito dia denunce dei fornitori e dei produttori primari; iv) di indagare in modo pro-attivo sulle violazioni del nuovo Codice.

188

469. Larga parte delle proposte richiamate sono state effettivamente accolte dal legislatore, con l’approvazione, in data 18 dicembre 2012, del Groceries Code Adjudicator Bill.

Con tale atto, è stato ad esempio istituito un organo indipendente, l“Independent Adjudicator”, con poteri investigativi e sanzionatori per gli abusi commerciali posti in essere dalle catene distributive (con fatturato annuale superiore al milione di sterline) in violazione del Grocery Supply Code of Practice.

Tale Codice, introdotto nel 2010 in forza del Groceries Market Investigation Order 2009, aveva integrato il precedente elenco di pratiche commerciali scorrette, vietando espressamente: i) l’applicazione di modifiche retroattive delle condizioni di fornitura convenute o la richiesta di contributi alle spese di marketing (a meno che queste non siano previste nell’accordo di fornitura); ii) la richiesta di pagamenti per l’inserimento dei prodotti sugli scaffali (mentre sono ammessi i pagamenti per la promozione o l’inserimento in listino di nuovi prodotti, a condizione che siano proporzionati ai rischi).

Il nuovo codice ha inoltre previsto la regola della forma scritta, a prescindere dal fatto che essa venga richiesta o meno dal fornitore, e ha limitato il ricorso al de-listing solo ai casi in cui possa riscontrarsi una “genuine commercial reason”, introducendo peraltro una specifica procedura al riguardo.

4.3.3. L’esperienza francese

470. La Francia è certamente, ad oggi, il Paese ove maggiormente e più incisivamente il legislatore è intervenuto in materia di relazioni verticali con la GDO, a partire dalla c.d. legge Galland, del 1° luglio 1996, con la quale sono stati introdotti, tra l’altro, il divieto di vendita sottocosto, e il divieto di negoziabilità del prezzo di acquisto proposto dal fornitore, in virtù del principio di non discriminazione.

Successivamente, attraverso le modifiche al Codice di commercio introdotte con la legge 15 maggio 2001, n. 11, è stata precisata la nozione di “vantaggio discriminatorio”, definendo come illecite anche talune condotte volte ad ottenere dalla controparte contrattuale “qualsivoglia vantaggio non proporzionato al servizio commerciale effettivamente prestato o manifestamente sproporzionato rispetto al valore del servizio prestato”.

Al fine di rendere più chiara la portata del divieto, il legislatore francese ha quindi individuato una sorta di black list delle pratiche abusive più ricorrenti nella prassi commerciale del settore, quali ad es.: la partecipazione, non giustificata da un interesse comune e senza contropartita proporzionata, al finanziamento di un’operazione di promozione commerciale, ovvero di un acquisto o ancora del rinnovo di punti vendita; il beneficio retroattivo di conti o rimborsi; il pagamento di un diritto di accesso al listino del distributore prima di qualsiasi ordinativo.

471. La disciplina descritta è stata quindi integrata con la legge 2 agosto 2005 (c.d. legge Dutreil) che, oltre a completare la black list delle pratiche abusive definite nel Codice di commercio, ha istituito uno schema contrattuale assai complesso per le negoziazioni tra

189

GDO e industria alimentare, introducendo un elevato livello di formalizzazione dei rapporti commerciali tra tali soggetti.

In base a tale schema, ad esempio, il fornitore è obbligato a comunicare a tutti i distributori le sue “condizioni generali” di vendita che costituiscono il punto di riferimento per la valutazione delle discriminazioni abusive. Tale obbligo di comunicazione, che riguarda il listino dei prezzo unitari, gli sconti (condizionati e non), i termini e le condizioni di pagamento, implica che le condizioni generali di vendita siano trasparenti e non si prestino a differenziazioni (se non a quella tra grossisti e dettaglianti espressamente prevista dalla legge). La comunicazione del fornitore rappresenta la base di partenza della negoziazione e può essere successivamente integrata dalle condizioni generali di acquisto proposte dal distributore, purché queste non apportino modifiche eccessive, suscettibili di creare discriminazioni ingiustificate.

La legge Dutreil ha previsto, inoltre, che i servizi resi dal distributore per favorire la commercializzazione dei prodotti che non siano direttamente collegati agli obblighi di acquisto e di vendita (es. operazioni promozionali, esposizione dei prodotti, diffusione di dépliant e cataloghi, allestimento di stand e operazioni di fidelizzazione commerciale) possano essere liberamente negoziati dalle parti, purché fatturati separatamente.

472. Il grado di dettaglio e il formalismo che ispira la disciplina dei rapporti negoziali sono stati ulteriormente rafforzati dalla legge del 3 gennaio 2008 (c.d. legge Chatel), che ha introdotto l’obbligo di concludere un contratto unico e in forma scritta per l’insieme delle relazioni commerciali tra fornitore e distributore, inclusive quindi sia delle condizioni di vendita dei beni, che di quelle attinenti alla prestazione dei servizi resi in favore del fornitore.

473. Da ultimo è stata approvata, nel 2010, la legge sulla modernizzazione dell’agricoltura e della pesca115, che, nel ridisegnare l’approccio in materia di politica agricola e di regolazione dei mercati, ha rafforzato il compito dello Stato di vigilare sulla correttezza delle relazioni commerciali, soprattutto in materia di ripartizione dei margini di guadagno, attraverso la modifica del sopra citato articolo del Codice di Commercio.116

Tra le pratiche vietate dall’articolo, come da ultimo modificato, rientrano in particolare:

i) ottenere, o cercare di ottenere, dai propri partner commerciali un qualsiasi vantaggio non corrispondente al servizio commerciale effettivamente prestato, o manifestamente sproporzionato rispetto al valore economico del servizio reso. Un tale vantaggio può anche consistere in un allineamento globale artificiale dell'IVA o in una richiesta di allineamento alle condizioni commerciali ottenute da altri clienti;

ii) sottomettere, o cercare di sottomettere, un partner commerciale a degli obblighi che creano un disequilibrio significativo nei diritti e negli obblighi tra le parti;

115 L01 n. 2010-874 del 27 luglio 2010.

116 Tale articolo è stato inserito nel capitolo II della norma, rubricato “Pratiche restrittive della concorrenza del Libro IV”, dedicato alla “Libertà di prezzo e di concorrenza”.

190

iii) ottenere, o cercare di ottenere, sotto minaccia di un'interruzione improvvisa totale o parziale dei rapporti commerciali, condizioni manifestamente abusive relative ai prezzi, ai ritardi sui pagamenti, alle modalità di vendita o ai servizi;

iv) interrompere improvvisamente, anche solo parzialmente, una relazione commerciale stabile, senza preavviso scritto, tenendo conto della durata della relazione commerciale e del termine minimo di preavviso. Allorquando la relazione commerciale verte sulla fornitura di prodotti sotto la marca del distributore, la durata minima del preavviso deve essere il doppio rispetto a quella che si avrebbe nel caso in cui i prodotti non fossero marcati dal distributore.

474. L’azione giudiziale nei confronti delle condotte sopra elencate può essere attivata dinanzi alla giurisdizione civile o commerciale competente, oltre che dai soggetti interessati, dal Pubblico Ministero, dal Ministro dell’economia o dal Presidente dell’Autorità di concorrenza, allorché quest’ultima constati, nel corso di un procedimento di propria competenza, una pratica interdetta in virtù della disposizione esaminata.

4.3.4. L’esperienza comunitaria

475. A livello comunitario non sono stati emanati atti con valore normativo volti ad affrontare le problematiche evidenziate.

Tuttavia, in base ad una richiesta fatta il 10 marzo 2011 dalla Commissione europea nell'ambito della Piattaforma B2B del Forum di Alto Livello per un migliore funzionamento della filiera alimentare, è stato creato un tavolo di dialogo multilaterale per discutere delle pratiche eque/sleali lungo tale filiera, proprio con l’obiettivo di identificare una soluzione alla asimmetria e al possibile abuso del potere contrattuale da parte di alcuni attori della filiera stessa.

L’esito di tale dialogo è un documento (“Rapporti verticali nella filiera alimentare. Principi di buone prassi”), emanato dalla Commissione il 29 novembre 2011 di concerto con gli operatori della filiera agro-alimentare, che identifica una serie di principi e di buone prassi a cui gli operatori dovrebbero attenersi nelle relazioni commerciali B2B.

Essendo tale documento entrato a far parte integrante della normativa approvata in Italia per far fronte alle medesime problematiche (si veda al riguardo il successivo paragrafo n. 4.5.2), se ne richiamano brevemente i contenuti qui di seguito.

476. Il documento comunitario enuclea preliminarmente tre principi generali cui dovrebbe essere improntata la relazione commerciale che sono la necessità di: i) tenere in considerazione gli interessi dei consumatori e assicurare la massima efficienza della filiera; ii) salvaguardare la libertà di contrattazione; iii) relazionarsi nei confronti delle altre parti in maniera diligente e responsabile.

Seguono quindi i principi specifici che dovrebbero regolare la contrattazione, enucleati come segue:

191

1. FORMA SCRITTA: accordi stipulati in forma scritta, o verbale ma con espresso consenso di entrambe le parti; forma chiara, trasparente e comprensiva del maggior numero possibile di elementi rilevanti e prevedibili;

2. PREVEDIBILITÀ: nessuna modifica unilaterali ai termini contrattuali, a meno che le circostanze e le condizioni per tali modifiche non siano già state stabilite precedentemente e contemplate nell’accordo;

3. CONFORMITÀ: obbligo di rispettare gli accordi;

4. INFORMAZIONE: scambi di informazioni solo in conformità con la legislazione vigente, correttezza delle informazioni fornite;

5. CONFIDENZIALITÀ: rispetto della confidenzialità delle informazioni e loro utilizzo solo per gli scopi legittimi per i quali sono state comunicate;

6. RESPONSABILlTÀ SUI RISCHI: tutte le parti nella filiera devono assumere i propri rischi imprenditoriali;

7. RICHIESTA GIUSTIFICABILE: divieto di esercitare minacce per ottenere vantaggi o per trasferire costi ingiustificati.

477. Tra le singole condotte qualificate come sleali, elencate in modo solo esemplificativo, figurano invece le seguenti:

i) il rifiuto di mettere alcuni termini per iscritto;

ii) l’interruzione unilaterale, senza preavviso e senza giustificata ragione, del rapporto commerciale;

iii) la modifica unilaterale e retroattiva delle condizioni contrattuali;

iv) l’applicazione di sanzioni immotivate o sproporzionate rispetto al pregiudizio sofferto;

v) l’omissione di informazioni rilevanti per l’altra parte e l’utilizzo improprio delle informazioni ricevute;

vi) l’imposizione di un compenso per l’ingresso nel listino che non sia proporzionale al rischio di commercializzare un nuovo prodotto;

vii) la minaccia di interruzione del rapporto per ottenere vantaggi ingiustificati; viii) richiesta di pagamento di servizi non resi o prodotti non consegnati;

ix) l’imposizione di una fornitura di prodotti o servizi collegata ad un’altra serie di prodotti e servizi;

x) il trasferimento all’altra parte di un rischio ingiustificato o sproporzionato, quale: a) l’imposizione di una garanzia di margine o di un pagamento in cambio di nessuna prestazione;

b) l’imposizione del finanziamento di una promozione;

c) impedire all’altra parte di effettuare azioni di marketing sui propri prodotti.