E.2 La ricerca della efficacia ed efficienza dell'azione amministrativa richiede un coordinamento
2.2. L’emersione del disagio sociale e la graduale perdita della salute
2.2.3. Il sostegno alla fragilità delle persone e delle famiglie
2.2.3.1. Tutela dei bambini e adolescenti Contesto Contesto
Il riconoscimento della centralità dell’infanzia e dell’adolescenza tra le politiche di welfare rappresenta il punto d’arrivo del percorso decennale che ha accompagnato l’approvazione della Convenzione Internazionale dei diritti del Fanciullo del 1989 e che si è alimentato del dibattito culturale e pedagogico sviluppatosi parallelamente all’adozione delle leggi di ratifica. L’affermazione del concetto dei bambini come soggetti di diritto in forma non residuale rispetto agli adulti e ai genitori, disceso dalla Convenzione, ha aperto una stagione nella quale le spinte culturali più innovative si sono coniugare con norme specifiche: dalla legge 285 del 1997 fino alla legge 149 del 2001, passando per la 328 del 2000, norme cioè che non solo hanno sottolineato la necessità di considerare i bambini come cittadini, ma che hanno orientato il sistema dei servizi verso obiettivi di benessere sociale. Spetta alla legge 149/2001 il compito non semplice di indicare i percorsi per rendere esigibile il diritto di ogni minore ad una famiglia e il diritto ad instaurare relazioni significative, non solo familiari: all’ombra di tale norma, pur nelle croniche carenze dell’esigibilità dei diritti da subordinare alle disponibilità economiche, della mancata definizione dei livelli essenziali, e dell’incompletezza del nuovo Piano d’azione nazionale sui minori, la Regione Toscana ha costruito i propri percorsi affinché si affermasse un welfare a misura di bambino sostenuto da una rete qualificata di servizi e di professionalità. Poche ma essenziali le tappe di questo progressivo avvicinamento ai bisogni di tutela e protezione dei cittadini minori di età:
o la completa affermazione del processo di trasformazione degli istituti con la conseguente diffusione delle comunità socio educative di impronta familiare;
o l’organizzazione dei centri per l’affido e la diffusione dell’affidamento familiare come strumento privilegiato nelle pratiche di allontanamento;
o il sostegno alla diffusione dell’adozione nazionale ed internazionale con la realizzazione di servizi territoriali in forma associata dedicati alla preparazione, formazione e valutazione delle coppie;
o il consolidamento del sistema di monitoraggio sugli interventi e servizi per i minori in famiglia e fuori famiglia.
Eppure negli ultimi anni le informazioni sullo stato dell’attuazione delle tutele dei minori restituiscono un quadro in cui, per la prima volta, alcuni fenomeni risultano in controtendenza: oltre al bisogno di sostegno espresso dai nuclei, come testimonia l’aumento significativo degli interventi correlati, già menzionato nella sezione “Famiglie fragili e multiproblematiche”, merita ancora una sottolineatura il marcato aumento dell’accoglienza semiresidenziale (che non accenna a diminuire neppure nei dati 2010) e il ricorso all’affido part-time che nel triennio 2007-2009 risulta interessato da un incremento percentuale del 26,3% (dai 175 minori del 2007, ai 203 del 2008, fino ai 220 del 2009).
La flessione iniziata nel 2007 del numero dei ragazzi accolti in strutture residenziali si conferma anche nel periodo 2008-2010 senza che tuttavia tale dato possa confortare rispetto allo stato di attuazione della legge 149, laddove si evidenzia nel confronto tra l’anno 2008 e l’anno 2010 la diminuzione del 15% degli affidamenti familiari: nel triennio 2008-2010 l’accoglienza in struttura residenziale cala del 28% (685 minori presenti del 2008, 493 nel 2010) con un decremento del 56% tra il 2008 e il 2009 della componente minori stranieri non accompagnati; questi ultimi nel 2010 risultano al 18% a fronte del 30% del 2008. Anche nel caso della diminuzione degli affidamenti familiari incide fortemente la componente dei MSNA che registrano un decremento del 68% tra il 2008 e il 2010; i minori stranieri non accompagnati nel 2010 si attestano al 6,9% degli affidamenti familiari (nel 2008, 8,9%).
D’altro canto se la perdita di vigore dell’affidamento familiare è questione che interessa tutto il territorio nazionale tra il 2007 e il 2008 (diminuzione del 9,5%), va anche rilevato come in Toscana l’indicatore “bambini in affidamento familiare ogni bambino accolto nei servizi residenziali” sia pari all’1,7 (dato 2009): tradotto alla luce dei percorsi di interventi individuati dalla legge 149 - che richiede ai servizi di privilegiare l’affidamento familiare rispetto all’accoglienza in struttura – questo dato ci dice che ad ogni bambino collocato in comunità residenziale corrispondono mediamente 1,7 bambini accolti in famiglie. Un rapporto percentuale che quindi rimane soddisfacente, soprattutto se confrontato alla media nazionale del 2008 che si attesta su un valore
pari a 1 – ovvero di egual ricorso alle due diverse modalità di accoglienza -, ma che certo non conferma pienamente, se correlato ai trend evidenziati, la tenuta del sistema dei servizi di tutela e protezione su scelte dettate esclusivamente dall’adeguatezza degli interventi piuttosto che da contingenze collegate al progressivo restringimento del quadro generale delle risorse..
Anche le famiglie toscane, come accade a livello nazionale, hanno dimostrato nell’ultimo decennio una maggiore sensibilità alla tematica dei bambini abbandonati consentendo dal 1999 al 2009 l’incremento ed il “rinnovamento” della popolazione minorile regionale: “nuove” famiglie si sono formate intorno a “nuove” generazioni grazie alle adozioni nazionali ed internazionali che, nel periodo indicato, hanno visto l’ingresso nella nostra regione di 3.806 minori di cui 3.348, cioè l’88%, provenienti da un paese estero. I minori adottati sono in costante aumento dal 2002: da 241 a 456 (di cui 85% , minori provenienti da un paese estero); la stessa tendenza si registra riguardo alle coppie adottive: dalle 217 coppie del 2002 alle 375 del 2009.
Tenendo presente da un lato il percorso fatto in Regione per l’organizzazione dei servizi sui minori e la famiglia e dall’altro le evidenze dei fenomeni, non meno che i vincoli di finanza pubblica, è legittimo chiedersi, alla vigilia del nuovo ciclo di programmazione, da dove ripartire per sostenere lo sviluppo dei servizi locali dedicati alla cura, protezione e promozione dell’infanzia e dell’adolescenza; sviluppo che necessariamente dovrà avvenire nel più ampio sistema organico di risposte ai bisogni dei cittadini. L’individuazione degli obiettivi e delle azioni si innesca quindi sulle seguenti macro direttrici:
o l’affermazione in ogni processo di valutazione ed intervento della centralità del bambino e dei suoi diritti;
o la necessità di completare i processi di innovazione organizzativa informativa e tecnologica dei percorsi di valutazione, presa in carico e monitoraggio dei minori e dei nuclei, sia di livello locale che regionale introducendo meccanismi e metodologie che consentano di effettuare la valutazione di esito e di efficacia degli interventi, nonché il controllo della spesa sociale;
o qualificare l’accoglienza residenziale di minori attraverso percorsi di marcata integrazione tra il lavoro svolto dentro le comunità e gli interventi attivati dai servizi territoriali sulle famiglie di origine;
o promuovere la conoscenza e la diffusione dei diritti dei bambini e degli adolescenti, anche nell’ottica della partecipazione, della rappresentanza e dell’ascolto;
o puntare sulla diversificazione dei servizi e sullo sviluppo della solidarietà di prossimità e sulla sussidiarietà;
o investire in percorsi formativi multidisciplinare ed integrati, rivolti a sostenere le competenze degli operatori in relazione alle diverse fasi ed ambiti dei percorsi di tutela, protezione e cura.
Obiettivi
Fermo restando il livello essenziale del diritto del minore a vivere nella propria famiglia e quindi il macro livello di servizio dell’attivazione di interventi di sostegno mirati quando questa non risulti adeguata alle proprie funzioni (si rimanda alla sezione “Famiglie fragili e multiproblematiche” e “Dinamiche dei nuclei familiari”), l’obiettivo prioritario per la fase in cui si rende necessario allontanare il bambino va individuato nel rafforzamento della rete integrata dei servizi di tutela: l’integrazione dei servizi e degli interventi in favore dell’infanzia e dell’adolescenza e delle loro famiglie, deve riguardare ambiti e aspetti sociali, sanitari, educativi, scolastico-formativi, giudiziari; si realizza pertanto, modellandosi sui diversi ambiti di intervento, attraverso:
- collaborazioni tra istituzioni diverse: integrazione istituzionale;
- co-gestione delle risorse umane e materiali con configurazioni organizzative e meccanismi di coordinamento tra attività sociali e sanitarie: integrazione gestionale: ne sono strumento privilegiato le équipe multiprofessionali con funzioni di valutazione, programmazione e presa in carico degli interventi e con organizzazione territoriale flessibile, tale da coniugare le funzioni di protezione con quelle di cura;
- condivisione di linee guida , accordi di programma, protocolli di intesa, tavoli di concertazione, percorsi formativi e di supervisione per l’assunzione di responsabilità ed impegni comuni: integrazione professionale.
Azioni
Quando si rende necessario allontanare temporaneamente il minore dalla propria famiglia:
1) garantire che sia praticato prioritariamente l’affidamento familiare provvedendo di conseguenza:
- al ricorso, sulla base dei bisogni personalizzati, di tutte le tipologie di affidamento previste dalla normativa;
- alla diffusione e all’organizzazione omogenea su tutto il territorio regionale dei Centri per l’affido con funzioni di reperimento, informazione, formazione e sostegno alle famiglie affidatarie, garantendo l’impiego delle figure professionali adeguate, quali assistenti sociali, educatori e psicologi;
- alla presa in carico del minore e della sua famiglia di origine attraverso un adeguato sostegno psicologico per la riduzione o la risoluzione delle problematiche che hanno determinato l’allontanamento, sperimentando modelli di intervento orientati al coinvolgimento attivo e consapevole dei nuclei nel processo di tutela dei figli;
- all’attivazione di un livello di coordinamento regionale sull’affido con l’obiettivo prioritario di promuovere uno spazio di confronto e condivisione tra le istituzioni e tra gli operatori, in grado anche di individuare gli aspetti più critici del percorso e di proporre soluzioni operative, metodologiche e di raccordo istituzionale finalizzate alla migliore definizione delle competenze e delle responsabilità di ogni attore;
- alla valorizzazione delle associazioni familiari, riconoscendo il loro ruolo di risorsa attiva nelle politiche di promozione dell’affidamento e dell’accoglienza, attraverso lo sviluppo di un modello di corresponsabilità tra le reti di famiglie e il servizio sociale dell’ente pubblico tale da:
o attivare azioni di sensibilizzazione alla tematica attraverso le reti associative e i contatti con le famiglie, al fine di trasmettere il bagaglio di esperienze e di biografie individuali e di implementare la disponibilità delle famiglie affidatarie;
o realizzare forme di sostegno alle famiglie affidatarie con gruppi di incontro, auto-aiuto in collaborazioni con enti locali e sulla base di accordi e/o protocolli operativi; o collaborare per il pieno sviluppo di una cultura dell’affido familiare come forma di
solidarietà sociale e per la sensibilizzazione della comunità e della rete locale, individuando azioni strategiche su tematiche particolarmente delicate dell’affido, quali l’affido di adolescenti stranieri, l’affido di neonati e l’affido omoculturale. 2) accogliere temporaneamente il minore in una struttura residenziale:
quando si renda necessario proteggere i minori attraverso provvedimenti che ne dispongono l’allontanamento temporaneo dalla famiglia, il ricorso all’accoglienza in struttura residenziale, se l’affidamento familiare non è praticabile o se non ha dato gli esiti sperati, rimane una delle forme più incisive di tutela:
- promozione di un coordinamento di livello regionale tra i responsabili delle comunità operanti in Toscana, i servizi territoriali, anche con il coinvolgimento delle commissioni multidisciplinare, al fine di:
- dettare linee di indirizzo per la definizione, in via generale, degli ambiti specifici di accoglienza delle comunità rispetto all’affidamento familiare, con particolare riguardo all’accoglienza di neonati, bambini e ragazzi abusati, adolescenti problematici, minori stranieri non accompagnati;
- rafforzare l'integrazione tra comunità e servizi territoriali nel processo di
recupero/rieducazione delle famiglie di origine, sostenendo l’affermazione di una cultura comune del lavoro con le famiglie multiproblematiche e rinforzando e sistematizzando il circuito comunicativo/esperenziale tra l’èquipe che agisce sul territorio con funzione di diagnosi e progettazione dell’intervento e l’èquipe della comunità;
- condividere strumenti e metodologie di intervento in grado di contrastare il fenomeno della permanenza prolungata dei minori in struttura con particolare attenzione al lavoro di
valutazione multidisciplinare sulle competenze genitoriali della famiglia d’origine che ai processi che determinano l’allontanamento e l’accoglienza in struttura;
- rafforzare la dimensione di accoglienza, protezione e cura delle strutture con l’attivazione di percorsi formativi mirati sul lavoro di comunità, sulle metodologie riparative-terapeutiche e sull’approccio nei confronti di bambini e adolescenti con alle spalle percorsi fallimentari o traumatici di affidamento familiare e adozione;
- definire modelli organizzativi e professionali di qualità orientati all’azione terapeutica e al recupero tempestivo del danno per le comunità residenziali che accolgono minori traumatizzati da esperienze di abuso e maltrattamento;
- individuare percorsi di autonomia successivi all’accoglienza in struttura residenziale rivolti al reinserimento dei giovani nella società (appartamenti orientati all’autonomia, sostegno a reti di famiglie solidali, il lavoro attraverso una rete di imprese inclusive ecc);
- sostenere il processo di trasformazione e di innovazione delle comunità valutando sia l’adeguatezza delle tipologie che il loro corretto inserimento in una rete di servizi all'infanzia flessibili e articolati (rimando sezione accreditamento e sperimentazioni), anche attraverso processi formativi in grado di realizzare una cultura condivisa dell’intervento residenziale sempre più personalizzante e sempre meno istituzionalizzante;
- sviluppare l’attività di monitoraggio dell’accoglienza in struttura residenziale, sia sotto il profilo delle caratteristiche delle comunità che dell’approfondimento della situazione di ogni bambini e ragazzo, mirando alla realizzazione di banche dati che possano contribuire alle azioni di controllo, vigilanza ed opportunità di qualificazione in capo ai vari soggetti;
- promuovere una cultura della vigilanza non solo di carattere ispettivo (formale) ma con valore di accompagnamento verso la migliore attuazione del progetto personalizzato e di crescita delle funzioni educative e di accoglienza espresse dalle comunità e da tutti i soggetti della rete di tutela (sostanziale);
- concludere il percorso sperimentale sulla tipologia Casa famiglia multiutenza
complementare.
Quando si rende necessario garantire la protezione di urgenza
Gli interventi disposti dai servizi territoriali in via d’urgenza per i minori, pur inquadrandosi nella più ampia cornice delle funzioni svolte dal Pronto Intervento Sociale, richiedono un ulteriore sforzo nella definizione di una disciplina quanto più possibile rigorosa che possa orientare e sostenere l’impegno degli operatori e dei soggetti istituzionali in questa particolare fattispecie di servizio: proprio per tutelare concretamente l’interesse del minore, rispondendo al bisogno di soccorso immediato, i servizi pubblici esercitano infatti un potere decisionale nell’allontanamento talvolta in anticipo o in surrogazione dell’intervento giudiziario.
Il servizio di pronto intervento sociale si rivolge a minori:
- vittime di maltrattamento e/o abuso o in stato di abbandono, secondo quanto disposto dall’art. 403 del Codice Civile e dalla legge 184/1983 e successive modifiche;
- stranieri non accompagnati, ai sensi del DPCM 535 del 9.12.1999; - interessati dall’applicazione di provvedimenti giudiziari improcrastinabili.
Si richiedono pertanto modalità organizzative che nell’ambito dei servizi sociali, socio-sanitari, socio-educativi ed ospedalieri ed in collaborazione con le forze dell’ordine e l’autorità giudiziaria, garantiscano:
- l’individuazione e la condivisione dei fattori di gravità determinanti l’intervento e l’allontanamento in via d’urgenza e le relative prassi di raccordo per la segnalazione, la presa in carico e l’attivazione dell’intervento;
- forme di tutela e protezione adeguate, oltre che per i minori, anche per le donne sole con minori in situazioni di forte fragilità e a rischio di incolumità psico-fisica, sia sotto il profilo dell’accoglienza immediata in strutture di alta protezione che della definizione di percorsi personalizzati in grado di rispondere a problematiche composite e diversificate;
- il superamento dello stato emergenza attraverso il lavoro di rete con i servizi e le istituzioni competenti.
La protezione e la tutela oltre le situazioni di urgenza
Il sistema di protezione basato sul lavoro coordinato e specializzato per gli interventi di recupero e riabilitazione di minori vittime di violenza, abuso e violenza assistita risulta offuscato dagli sforzi effettuati per la definizione degli interventi sanitari e dal primato generalmente attribuito al processo penale nei confronti dell’abusante. E’ necessario quindi ribilanciare le tematiche ripensando ad un percorso organico di aiuto e riparazione che abbia una sua valenza terapeutica e sociale indipendente dal procedimento penale e in grado di collaborare con il versante sanitario su specifici bisogni, ponendosi l’obiettivo primario dei bisogni riparativi del trauma del minore. Si dovrà quindi provvedere a:
- adottare modelli organizzativi caratterizzati da uniformità delle procedure, in grado di garantire la valutazione e il trattamento di minori vittime di maltrattamento e/o abuso e dei loro familiari attraverso la costituzione di equipe multidisciplinari; l’attuazione dei relativi percorsi di accoglienza e di presa in carico delle vittime da parte dei servizi territoriali sociali e socio sanitari sarà effettuata tramite l’elaborazione di protocolli multidisciplinari e riconoscendo il ruolo e le professionalità espresse dal terzo settore e in particolare dall’associazionismo specializzato nelle tematiche sulla violenza di genere;
- sostenere e valorizzare le esperienze territoriali basate sulla messa a punto di modelli di intervento incentrati su coordinamento tra gli attori coinvolti nei percorsi di tutela delle fasce più deboli, nell’ottica dell’estensione di buone prassi sul territorio regionale.
Quando il minore trova una nuova famiglia.
L’attività decennale sviluppata dai quattro Centri per l’adozione di Area Vasta (Centri) per l’informazione e la preparazione delle coppie aspiranti all’adozione offre la naturale sponda organizzativa e di presenza di competenze professionali qualificate per mirare al raggiungimento di una maggiore unità ed integrazione di tutto il percorso adottivo che approdi proprio alla valorizzazione della funzione di regia e di coordinamento svolta dai Centri medesimi e dai Responsabili Organizzativi in materia di adozione (ROA); esaurita infatti la spinta propulsiva della legge 149/2001 per la fase di prima organizzazione, ciò che oggi si rende necessario è una definizione di un percorso adottivo che sia capace di riconoscere l’apporto dei diversi soggetti chiamati ad intervenire nell’iter procedurale - complesso a norma di legge proprio per la presenza di responsabilità e competenze diversificate – compresi i soggetti del terzo settore, quali Enti Autorizzati ed Associazioni di famiglie.
Nella definizione del percorso adottivo integrato si dovranno individuare strategie di intervento in grado di assicurare:
- il rafforzamento della rete dei rapporti e delle relazioni tra servizi per l’adozione e servizi territoriali sociali e socio-sanitari, e tra questi e l’Autorità Giudiziaria, il privato sociale, l’Azienda Ospedaliera Meyer e gli Enti Autorizzati;
- la copertura e il sostegno delle coppie anche nelle fasi che seguono l’ottenimento del decreto di idoneità (tempo dell’attesa) e del post adozione attraverso lo strumento privilegiato delle equipe multiprofessionali e attraverso le modalità da individuarsi in specifici atti di indirizzo per l’organizzazione dei relativi servizi;
- l’applicazione della legge regionale 70/2009 “Interventi di sostegno alle coppie impegnate in adozioni internazionali”;
- l’adeguato supporto e consulenza per le istanze degli adulti adottati nei percorsi di elaborazione dell’identità personale e nella ricerca delle proprie origini;
- il coinvolgimento del mondo della scuola nella condivisione di modalità adeguate di relazione nei confronti di bambini e ragazzi adottati e nell’individuazione di modalità per il sostegno scolastico del minore e della sua famiglia;
- l’approfondimento conoscitivo e statistico degli aspetti critici e fallimentari connessi al percorso adottivo (adozioni problematiche, fallimenti adottivi; si rimanda alla sezione “osservatorio minori”).
Tutela del neonato, prevenzione degli infanticidi e degli abbandoni traumatici alla nascita, diritto al parto in anonimato.
I servizi territoriali socio-assistenziali e sanitari, nonché i servizi ospedalieri, necessitano di modelli organizzativi e di indirizzi caratterizzati da un alto grado di integrazione e di competenze mirate quando si trovano a programmare ed erogare interventi di sostegno per gestanti e madri in gravi difficoltà che manifestano incertezze rispetto al riconoscimento del nascituro o che abbiano espresso la volontà di partorire in anonimato.
Il percorso regionale denominato “Mamma segreta”, attivato durante la vigenza del precedente Piano Integrato Sociale, ha consentito di svolgere attività di sensibilizzazione e prima formazione tra gli operatori sociali e socio sanitari, stimolando anche l’attivazione tra i servizi territoriali e i consultori di progetti specifici orientati all’approccio integrato del fenomeno.
Gli obiettivi da perseguire rimangono legati alla diffusione omogenea sul territorio regionale di modalità operative, di presa in carico e di sostegno e accompagnamento:
- concludere il percorso di formalizzazione delle linee guida regionali; - favorire la costituzione di équipe integrate di lavoro;
- sostenere la diffusione del modello regionale rappresentato dal percorso “Mamma segreta” attraverso cicli formativi mirati che affrontino le implicazioni culturali ed affettive, le metodologie del lavoro d’équipe, i contesti normativi collegati al diritto al non riconoscimento, le procedure per garantire la segretezza del parto;
- prevedere forme di accoglienza residenziale adeguate alle necessità delle gestanti e madri in difficoltà, anche sperimentando percorsi flessibili;
- il monitoraggio del fenomeno attraverso l’armonizzazione dei flussi informativi (sanità, interventi per minori, dichiarazioni di adattabilità ecc.).
Azione sistemica l’attuazione e diffusione della cartella sociale minori
La concreta attuazione dei diritti dei minori passa anche attraverso la disponibilità delle informazioni sui processi e fenomeni generali e sulle condizioni individuali con la conseguente articolazione:
- del sistema informativo regionale sui minori in famiglia e fuori famiglia (rimando al