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L’ ADULTERIO DI L UCREZIA

II. IL MATRIMONIO CORRETTIVO

II.4 D UE EPILOGHI INNOVAT

II.4.1 L’ ADULTERIO DI L UCREZIA

Prima di analizzare il modo inconsueto con cui si chiude la commedia in questione, è necessario ripercorrere le vicende che animano l’intreccio della favola.

142 N. MACHIAVELLI, Mandragola Clizia.

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A Firenze vive una coppia di coniugi benestanti che non riescono ad avere figli e ne muoiono dal desiderio; la moglie Lucrezia è giovane e avvenente mentre suo marito Nicia, nonostante il titolo di dottore in legge, è un gretto e credulone disposto a tutto pur di riuscire ad ottenere un erede dalla moglie.

La fama della bellezza di Lucrezia giunge anche a Parigi dove vive Callimaco, un giovane fiorentino che, dopo aver sentito magnificare le grazie della donna, se ne innamora perdutamente e torna a Firenze con l’unico scopo di conquistarla. Ma Lucrezia risulta onestissima e d’impeccabile moralità perciò Callimaco si fa aiutare da un mediatore dotato di una grande furbizia, Ligurio, che architetta una beffa ai danni dell’ignaro marito: Callimaco, indossando i panni di un famoso medico, convince Nicia a sottoporre la moglie a una cura miracolosa a base di mandragola che garantirà alla coppia la nascita di un figlio. Quest’ultima però è una pianta velenosa ed il primo uomo ad avere rapporti sessuali con la donna, dopo che lei avrà bevuto il miscuglio, andrà incontro a morte sicura.

Si decide così di sostituire a Nicia un garzonaccio catturato in strada che in realtà sarà Callimaco stesso travestito. Invece, il compito di persuadere la bella Lucrezia spetta al suo confessore, frate Timoteo, ricompensato abbondantemente con denaro ed aiutato dal sostegno della madre di lei, Sostrata.

Il piano viene eseguito come previsto e se in un primo momento Lucrezia considera l’incontro come una violenza nei suoi confronti, a metà della notte, quando Callimaco le racconta tutta la storia e le dichiara il suo amore, Lucrezia si concede completamente all’amante non solo per una notte ma per sempre. Infatti, il giorno dopo Callimaco, riassunte le sembianze del medico, ottiene dallo stesso Nicia il permesso di abitare in casa sua e quindi, inconsapevolmente, di godere delle grazie di Lucrezia; nell’ ultima scena i protagonisti si radunano in chiesa per la celebrazione dell’evento.

Potremmo quindi pensare che il finale è lieto per tutti perché, in fondo, ogni singolo personaggio ha raggiunto il proprio scopo: Messer Nicia è contento della paternità della moglie, Callimaco soddisfa i suoi desideri con la donna che più desidera, Lucrezia si ritrova ad avere un amante focoso, Fra Timoteo riceve il suo lauto compenso, Sostrata è felice dell’arrivo di un nipote e Ligurio gode per aver attutato un piano di successo; non importa se si sia perpetrato un inganno, tutti sono soddisfatti per aver raggiunto i propri obiettivi. In realtà, i personaggi hanno violato gravemente le regole morali, di conseguenza qui più che la fine pacifica, troviamo l’inizio di qualcosa di nuovo, dove però tutto è incerto, i ruoli sono invertiti e dove niente o nessuno è ciò che appare di essere.

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La cerimonia stessa, “la benedizione” è una falsità, un inganno, eseguito per l’apparenza, e fondato su bugie e falsità gestiti, per altro, da un uomo di chiesa, inquietante per la mancanza di scrupoli morali e per l’avidità materialistica.

Ma tra tutte le figure presenti nella scena finale, quella che sorprende di più per la sua radicale trasformazione è la bella Lucrezia che, da vittima passiva governata da ordini altrui, diventa donna attiva, artefice in prima persona del proprio destino. La protagonista femminile appare in scena per la prima volta nella decima scena dell’atto terzo quando, alla proposta della madre di seguire il piano della mandragola, reagisce così:

«Lucrezia: Ma di tutte le cose che si sono trattate, questo mi pare la più strana: di avere a sottomettere el corpo mio a questo vituperio, ad essere cagione che un uomo muoia per vituperarmi. Perché io non crederei, se fussi sola rimasa nel mondo e da mme avessi risurgere l’umana natura, che mi fussi simile partito concesso».

In questa battuta Lucrezia si comporta in maniera impeccabile rifiutando il piano accennatole da Sostrata, e dimostrando di essere una donna virtuosa, onesta e molto devota alla religione. Tuttavia, in seguito alle insistenti pressioni del frate e della madre, la protagonista cede pronunciando le fatidiche parole:

«Dio m’aiuti e la Nostra Donna che io non capiti male».

(Atto terzo, scena X)

Perciò, inizialmente, la povera Lucrezia sembra più che altro una vittima passiva che viene costretta dalla madre e dal suo confessore a commettere adulterio ed a rischiare di uccidere uno sconosciuto. In più sembra intrappolata e senza via d’uscita, dato che quelli che dovrebberoessere i suoi alleati, Sostrata e Timoteo, sono invece alleati del marito e i suoi truffatori.

Fino a questo momento non c’è niente di sorprendente o di fuori luogo invece nei comportamenti di Lucrezia che mantiene il ruolo di donna bellissima e integerrima, obbediente nei confronti dei parenti anche se preoccupata per gli atti immorali che le hanno progettato.

Se invece ci spostiamo nella scena quarta dell’atto quinto troviamo una Lucrezia completamente diversa, una donna intraprendente che prende in mano la situazione e sceglie lei stessa ciò che intende fare per il suo futuro:

74 «Poi che l’astuzia tua, la schioccezza del mio marito, la semplicità di mia madre e la

tristizia del mio confessore mi hanno condutto a fare quella che mai per me medesima arei fatto […] E quel che mio marito ha voluto per una sera, voglio ch’egli abbia sempre. Farà ti adunque suo compare, e verrai questa mattina a la chiesa; e di quivi ne verrai a desinare con esso noi; e l’andare e lo stare a te, e poterèno ad ogni ora e senza sospetto convenire insieme […]».

Non possiamo non accorgerci che la protagonista femminile si è tramutata in una donna attiva che inizia a dare ordini e istruzioni su come devono comportarsi gli altri personaggi perché sa perfettamente ciò che vuole e, istruisce l’amante su come comportarsi per

assicurare i loro futuri incontri144. Non a caso nella scena finale è lei che dice al marito di

volere Callimaco come loro compare, ed è lei che decide con quanti soldi “comprare” la santità dal frate:

«Frate: Venite! Callimaco: Volentieri.

Nicia: Maestro, toccate la mano qui alla donna mia. Callimaco: Volentieri.

Nicia: Lucrezia, costui è quello che sarà cagione che noi aremo uno bastone che sostegna la nostra vecchiezza.

Lucrezia: Io l’ho molto caro: e volsi che sia nostro compare.

Nicia: Or benedetta sia tu! E voglio che lui e Ligurio venghino stamani a desinare con esso noi.

Lucrezia: In ogni modo.

Nicia: E vo’dar a loro la chiave della camera terrena d’in su a loggia, perché possino tornarsi quivi a loro comodità: ch’è non hanno donne in casa e stanno come bestie. Callimaco: Io l’accetto per usarla quando mi accaggia

Frate: Io ho’avere e denari per la limosina […].

Nicia: Tu, Lucrezia, quanti grossi ha’ddare al frate per entrare in santo? Lucrezia: Io non me ne ricordo.

Nicia: Pure, quanti? Lucrezia: Dategliene dieci. Nicia: Affogaggine».

(Atto quinto, scena VI)

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Inoltre, è curioso vedere come la nuova Lucrezia gioca ironicamente con le parole e con la semplicità del proprio marito: la proposta che Callimaco deve essere il loro “compare” risulta molto comica, dato che la figura del compare deve essere garante della coppia proprio per il suo mancato interesse verso la sposa. Quando risponde “in ogni modo” al suggerimento del marito di trascorre tempo con Callimaco e Ligurio, è ovvia l’allusione sessuale di sottofondo. A questo punto, se prendiamo in considerazione la «bona uxor» descritta nei trattati cinquecenteschi e il codice comportamentale ad essa attribuito, possiamo dedurre che l’atteggiamento di Lucrezia, nella parte finale della commedia, risulterebbe inaccettabile e scandaloso per la società dell’epoca poiché oltre a commettere adulterio, mente spudoratamente al marito, prende decisioni autonomamente e organizza una nuova vita con il giovane amante, persino sotto il medesimo tetto coniugale.

Quindi Machiavelli, mettendo in scena questo tipo di trasformazione muliebre, non intende di certo lanciare un nuovo modello di donna libera e intraprendente bensì, dal momento che considera la commedia come specchio della vita privata, vuole dimostrare che nella realtà moderna le donne non si comportano diversamente dagli uomini intelligenti e astuti e che il modello della donna nobile, pura e moralmente impeccabile è un mito da smascherare e distruggere.

Questa è l’arma del realismo di cui Machiavelli si serve per fare della commedia uno strumento di critica rivolto al mondo contemporaneo, contraddistinto dalla corruzione generale, dalla sciocchezza degli uomini, dall’incapacità dei cittadini di utilizzare l’intelligenza: per questo alla fine la protagonista accetta la disonestà perché, come spiega Mario Baratto, l’unico ordine morale che può essere ristabilito è quello che corrisponde al disordine sociale145.

“La Mandragola” non è l’unica commedia che si chiude con un adulterio, anche nella commedia più originale di Giovanni Maria Cecchi, “L’Assiuolo”146, Madonna Oretta durante

un piano ideato per cogliere sul fatto il marito fedifrago, a causa dell’astuzia del servo Giorgetto, giace inconsapevolmente con il giovane Giulio. Anche in questo caso, dopo che Giulio rivela la propria identità, Oretta non sembra affatto dispiaciuta anzi perdona il giovane dell’inganno fattale, promettendogli gioie future.

145 M. BARATTO, “La commedia del cinquecento”, p. 121. 146 G. M. CECCHI, “L’Assiuolo”.

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Il discorso pronunciato da Oretta dopo la notte d’amore sembra ricalcare le parole dette da Lucrezia a Callimaco nella Mandragola:

«Poiché la pazzia sua, la gelosia mia e l’astuzia vostra mi hanno condotto a far quello ch’io per me mai arei fatto, i’ non posso dir altro se non che così fusse destinato da chi di noi può disporre: alla deliberazione del quale non dovendo resistere, non mi voglio anco contrapporre. E però io vi prego messer Giulio mio, che considerato il grado, in che io mi trovo per amor vostro, voi vogliate aiutarmi; acciocch’ io non perda in pubblico quello che voi in privato perdere mi avete fatto».

(L’Assiuolo, Atto quinto, scena I)

L’unica differenza tra le due giovani mogli riguarda la consapevolezza perché mentre Lucrezia è perfettamente cosciente dell’azione che stà per compiere ed ha tutta l’approvazione di Nicia, Oretta scopre di aver tradito il marito solo dopo che Giulio svela la propria identità e il piano di cui lei stessa è stata vittima. Per tanto la prima preoccupazione di Oretta è quella di mantenere segreto il loro rapporto affinché riesca a salvare le apparenze di rispettabilità e onestà.

Le modalità con cui è possibile mantenere segreta la relazione con l’amante e allo stesso tempo salvaguardare l’onore di donna maritata sono indicate in maniera dettagliata in un vivace trattato cinquecentesco di Alessandro Piccolomini che si intitola “Il dialogo de la

bella creanza de le donne” ovvero “la Raffaella”147.

Qui la mezzana Raffaella invita in particolar modo le malmaritate a tradire il rispettivo coniuge perché il matrimonio combinato con un uomo che è stato loro imposto senza alcuna possibilità di scelta, non può e non deve ostacolare il soddisfacimento delle pulsioni libidiche. Quindi l’adulterio rappresenta l’unica via di fuga da una vita altrimenti priva dei piaceri più sensuali dell’esistenza umana.

Secondo la mezzana, quella pulsione al piacere che spinge verso un solo amante può essere appagata purché attuata nelle dovute forme, ossia segretamente in quanto per salvare le apparenze basta dissimulare l’adulterio e simulare l’amore nei confronti del marito, proprio come si comporta Lucrezia nei confronti di Nicia. Del resto è l’apparenza che genera sostanza148.

147 A. PICCOLOMINI, La Raffaella.

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Perciò tramite le tecniche di simulazione e dissimulazione la mezzana propone alla giovane gentildonna Margherita, trascurata dal marito, l’opportunità di conciliare il matrimonio con l’adulterio, l’amore del marito con l’amore dell’amante, non solo nell’anima ma anche nel corpo perché il piacere erotico con il marito è scialbo mentre quello con l’amante è carico di passione dato che è legato ad un’intesa istintiva ed ad una libera scelta anziché ad un patto subito.

Probabilmente queste sono le stesse ragioni che giustificano le reazioni positive di Lucrezia e Oretta dopo la notte d’amore con il rispettivo amante; in effetti se analizziamo la loro vita matrimoniale notiamo che entrambe sono sposate con un uomo anziano da cui non sono né apprezzate né rispettate: se Nicia non valorizza la rinomata bellezza della moglie, autorizzandola a tradirlo pur di avere figli, Ambrogio nonostante sia gelosissimo della moglie sorvegliandola notte e giorno, è pronto a tradirla con la gentildonna Anfrosina. C’è quindi una corrispondenza fra le vicende elaborate dai commediografi nei testi teatrali e la legittimazione teorica dell’infedeltà proposta da Piccolomini nel suo trattato poiché entrambi presentano l’adulterio come un’inevitabile conseguenza del cattivo trattamento delle moglie da parte del marito.

A orientare verso una proposta di mediazione interviene la stessa opera successiva di Alessandro Piccolomini, “l’Istituzion morale”149, in cui si propone un amore coniugale tale

da togliere le premesse dell’adulterio soddisfacendole all’interno dell’istituto, e un compromesso con le richieste di ornamenti e uscite della donna, fatto salvo che, nella sua condizione di minorità, dovrà essere educata dal marito e ubbidire ai suoi comandi.