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L A COSTANZA AMOROSA

IV. I MOTIVI COMICI CHE RIMODELLANO LA FIGURA MULIEBRE

IV. 2 L A COSTANZA AMOROSA

In contrasto ai comportamenti muliebri appena delineati, alcuni commediografi presentano personaggi femminili che si distinguono per l’assoluta dedizione, costanza, ostinazione e rispetto nei confronti dei loro amanti. Si tratta peraltro di donne attive e coraggiose che talvolta sono disposte ad andare incontro a lunghi viaggi, difficoltà e disagi pur di tener fede al proprio amore.

Nel Prologo dell’Amor Costante Alessandro Piccolomini sottolinea in maniera programmatica tale stile di vita:

«Vi ammaestreremo, con la nostra comedia, quanto un amor costante (donde piglia il nome la comedia) abbia sempre buon fine e quanto manifesto error sia abbandonarsi nelle avversità amorose: perhè quel pietosissimo dio che si chiama Amore non abbandona mai chi con fermezza lo serve».

(Amor Costante, Prologo)

Tant’è vero che il tema della costanza amorosa appare soprattutto nelle commedie di andamento sentimentale-romanzesco, particolarmente frequenti nella produzione degli Intronati senesi come, Lelia ne “Gli Ingannati” (oh virtuosa donna! Oh fermo amore! cosa veramente da porre in esempio a’ secoli che verranno, V, 2), Lucrezia e Margarita nell ”Amor

Costante” di Piccolomini e Drusilla ne “La Pellegrina” di Girolamo Bargagli. Quest’ultima

è la figura più rappresentativa di questo gruppo in quanto travestita da pellegrina, affronta un difficile viaggio per ritrovare il marito Lucrezio. Drusilla si dispera per il lungo abbandono di Lucrezio e lo attende ritirandosi in una vita solitaria:

«Pellegrina: tanto più pensavo a lui e così aspettando e bramando mi vivevo […] Intanto essendo già tornato il zio e voi con esso lui: e vedendolo io tutto volto a maritarmi […] per poter dar tempo al ritorno di colui, di cui solo volevo, e potevo io ragionevolmente essere; mi diedi, come sapete, ad una vita ritirata e quasi eremitica, e a non voler sentire altro che orationi, digiuni e discipline».

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Successivamente Drusilla si ammala a tal punto da esser creduta morta ma dopo essersi ripresa, prende l’iniziativa di andare in cerca di Lucrezio con la scusa di compiere un viaggio di pellegrinaggio:

«io presi da questa cagion di speranza di rivedere Lucretio: perché sollevata ch’io fui alquanto dal male: feci credere al zio ed a tutti voi altri ch’io era scampata per voto da me fatto di condurmi pellegrinando a Roma […] dove io arei inteso e forse veduto quello che fosse di Lucretio».

(Pellegrina, Atto Secondo, scena I)

Drusilla continua afferma che Amore le ha trasmesso il coraggio d’intraprendere per la prima volta un viaggio così lungo:

«Vedete che inventione m’insegnò Amore, e quanto mi fece ardita: che dove prima io non ero mai consueta di fare altro viaggio che dalle monache a casa; allora fatta sicura non mi spaventò d’avere a che fare così longo e fadigoso camino».

Drusilla trova Lucrezio ma venendo a conoscenza delle prossime nozze tra Lucrezio e Lepida dichiara di aver scoperto «d’haver amato troppo fedelmente un huomo senza fede. Tutto si risolve quando vengono rivelati gli amori di Lepida con Terenzio: la giovane Drusilla acquista la certezza che il suo Lucrezio non ha mai smesso di amarla e si ricongiunge a lui per sempre.

Per quanto riguarda invece l’Alessandro, Piccolomini mette in scena la storia di Ferrante e Ginevra che già sposatisi segretamente e poi fatti prigionieri dai Turchi, si ritrovano a vivere a Pisa a casa di Guglielmo sotto i due falsi nomi di Lorenzino e Lucrezia. Lucrezio scopre subito la fedeltà di Lucrezia che respinge tutti i doni che il giovane Giannino le invia; perciò decide di fuggire insieme a Lucrezia pronti ad andare contro tutti. Guglielmo scopre il piano dei due sposini e chiede spiegazioni a Lucrezia:

167 Lucrezia: Perche’l mio zio non ti contentò mai ch’io fussi moglie di

costui: e per questo ci sposammo di nascosto; perch’io havevo deliberato di non essere conosciuta da altro huomo

Che da lui. E voi lo sapete Guglielmo […] vi pregai o che m’uccideste o mi prometteste di non parlarmi mai di darmi marito: che prima harei consentito a mille morti, che darmi in preda in qualunque modo d’altro huomo […].

Guglielmo: S’egli è così, non fu mai donna più costa di te, né amor più costante, ma non tel credo».

(Amor Costante, Atto Quinto, scena III)

Guglielmo, sdegnato per tanta ingratitudine nei suoi confronti, chiude in una stanza i due giovani innamorati costringe entrambi a bere un veleno; a sciogliere l’intreccio arriva il gentiluomo spagnolo Consalvo che porta in luce sorprendenti veirtà: Guglielmo è fratello di Pierantonio, fratello di Consalvo e Lucrezia è figlia di Consalvo pertanto Ginevra e Ferrante possono godere del loro costante amore.

Assume le sembianze di una vera e propria eroina cavalleresca Elfenice nella “Donna

costante” di Raffaello Borghini che, pur di sottrarsi ad un matrimonio impostole dal padre e

rimanere fedele al suo amore per Aristide, beve un narcotico somministratole dal medico Erosistrato e, ora, tratta fuori dalla tomba per opera del medico, intende recarsi in Francia travestita da uomo, per ricongiungersi a lui:

«Cosi mi sia propitio il Cielo nel trovar presto cavalli, e nel partirmi tosto di questa terra, come io mi rendo certa che il mio Signore non mi farebbe mai così gran torto d’amare altra donna che me, la quale gli ho dato tutta me stessa, e più amo lui che le pupille de gli occhi miei, e che l’istessa vita».

(La Donna Costante, Atto Terzo, scena I)

In un primo momento i due amanti riescono a ritrovarsi e decidono di fuggire insieme quando Aristide viene catturato dagli sbirri ed Elfenice, addolorata, vaga per le vie di Bologna come una pazza con il coltello in mano minacciando chiunque s’imbattesse in lei. A questa coppia s’intrecciano le vicende di un’altra storia d’amore, quella di Milciade e Teodolinda.

Alla fine trionfa l’amore, Clotario e Agiulfo si riconciliano e annunciano le nozze tra Elfenice con Aristide e Milciade con Teodolinda.

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Importante è anche la Gostanza dell’omonima commedia di Girolamo Razzi, una fanciulla che, innamoratasi di Antonio, si frequenta con l’amato per ben tre anni; successivamente il padre le fa sposare Lionardo perciò i due amanti giurano di mantenersi fedeli ad ogni costo e di non darsi mai ad altri.

Addirittura Gostanza per mantenere tale promesse chiede al suo nuovo sposo di lasciarla stare «intatta nelle sue case lo spazio di cinque anni». Lionardo commosso dalla fedeltà di Gostanza accetta le sue richieste e anzi si pone lui stesso alla ricerca Antonio: alla fine, dopo la falsa notizia della morte de due amanti di Gostanza e la conseguente disperazione della donna, i due amanti rientrano e così la commedia si conclude con il rientro di Antonio e Lionardo e le nozze del primo con Gostanza e di Lionardo con Margerita.

Infine non meno significativa è la commedia dell’Erofilomachia di Sforza D’Oddi che denuncia fin dal titolo i nobili sentimenti dell’amore e dell’amicizia e presenta in Ardelia, come abbiamo già visto nel paragrafo sulle cortigiane oneste, il tipo raro di cortigiana appassionatamente innamorata e fedele.

Per concludere, attraverso l’opposizione tra i comportamenti delle moglie disinibite che non si fanno problemi a tradire i propri mariti e, quelle che invece si dimostrano costanti e fedeli in amore, ritorna nuovamente l’ambiguità tra misoginia e filoginia199, ampiamente trattato

nel primo capitolo di questo studio di tesi; tant’è vero che nei personaggi appena descritti rivivono due archetipi antichi: la santa e la peccatrice che rispecchiano rispettivamente il binomio Eva - Maria.

199 R. BORBONE e ANTONIO STAUBLE, “Tipologia dei personaggi femminili nella commedia rinascimentale”, Università di Losanna, 1922-1923, pp. 331-332.