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D UE MADRI SPREGIUDICATE

III. LE NUOVE SFUMATURE DEI PERSONAGGI FEMMINIL

III. 3 L A MADRE DI FAMIGLIA

III.3.1 D UE MADRI SPREGIUDICATE

Nella “Mandragola”, accanto alla straordinaria evoluzione della protagonista Lucrezia, si rimane stupiti dall’insolito atteggiamento dimostrato dalla madre Sostrata poiché persuade la figlia a tradire il vecchio marito Nicia, pur di farle avere dei figli.

Difatti, dopo essersi messa d’accordo con il frate Timoteo, Sostrata propone a Lucrezia il ‘progetto mandragola’ ideato dal parassita Ligurio:

«Sostrata: Io credo che tu creda, figliuola mia, che io stimi l’onore ed el bene tuo quanto persona del mondo, e che io non ti consiglierei di cosa che non stessi bene. Io ti ho detto e ridicoti, che se fra Timoteo ti dice che non ti sia carico di conscienzia, che tu lo faccia senza pensarvi. Lucrezia. […] Di tutte le cose che si sono trattate, questo mi pare la più strana: di avere a sottomettere el corpo mio a questo vituperio, ad essere cagione che un uomo muoia per vituperarmi. Perché io non crederei, se fussi sola rimasa nel mondo e da me avessi risurgere l’umana natura, che mi fussi simile partito concesso».

Simboliche queste due battute perché mettono in luce la disparità fra una madre spregiudicata ed una figlia onesta e virtuosa: mentre Sostrata induce la figlia a commettere adulterio, (qualora non venga considerato un peccato da fra Timoteo), Lucrezia rifiuta il piano propostole in quanto è ben consapevole che tradire il proprio marito e rischiare di uccidere un altro uomo sono due atti immorali che difficilmente possono essere perdonati. Il fatto che il carattere della madre si discosti da quello della figlia si desume già nella prima scena del primo atto quando Callimaco, elencando i motivi che alimentano la sua speranza di conquistare Lucrezia, afferma:

«Callimaco: Due cose: l’una, la semplicità di messer Nicia, che, benchè sia dottore, egli è il più semplice ed el più sciocco uomo di Firenze; l’altra, la voglia che lui e lei hanno d’avere figliuoli, […] Una terza ci

124 è, che la sua madre è suta buona compagna, ma la è ricca, tale che io

non so come governarmene».

Sostrata è definita dal giovane Callimaco come ‘buona compagna’ ovvero una donna dai facili costumi, dalla morale dubbiosa e, di conseguenza, facilmente corruttibile; al contrario della figlia che dimostra resistenza e incredulità anche davanti agli argomenti teologici utilizzati da frate Timoteo per convincerla ad accettare il progetto. A questo punto Sostrata ricorre a ragioni di senso comune spiegandole che una vedova senza figli socialmente non conta più nulla:

«Sostrata: Làsciati persuadere, figliuola mia. Non vedi tu che una donna che non ha figliuoli non ha casa? Muorsi el marito, resta come una bestia abbandonata da ognuno».

Tramite queste parole, Sostrata rivela un’insensibilità nei confronti della figlia ma anche una grande testardaggine ed ostinazione perché vuole a tutti i costi che Lucrezia partecipi al piano; tant’è vero che di fronte all’ennesima risposta negativa, Sostrata prende in mano la situazione e fa capire all’uomo di Chiesa e alla povera figlia che sarà lei a decidere, mentre Lucrezia non avrà alcuna libertà di scelta:

«Sostrata. Ella farà ciò che voi volete. Io la voglio mettere stasera a letto io. Di che hai tu paura, mocciociona? E’ ci è cinquanta donne in questa terra che ne alzerebbono le mani al cielo».

Perciò se nella battuta prima riportata potremmo rintracciare la preoccupazione di una madre per il futuro della propria figlia che rischia di essere ‘abbandonata da ognuno’, in quest’ultimo discorso, invece, Sostrata sottolinea in maniera ironica la fortuna che ha Lucrezia di poter tradire il proprio marito con il consenso di tutti.

Un modello opposto a quello di Lucrezia è rivestito da Prudenzia nel “Thesoro” di Luigi Groto poiché, davanti alle minacce di adulterio avanzate dalla figlia Licinia, si arrabbia e la dissuade dal commettere un gesto così immorale che potrebbe recare danni a se stessa e alla propria famiglia:

«Prudenzia: Ah tristate che ti pensi di prendermi per tua ruffiana? Rea non ti sovvengono le leggi che minacciano a le adultere una morte

125 crudele e inevitabile? Non ti sovvien che a questo nostro secolo state

sono molte uccise in adulterio? Oltre alla morte non pensi alla infamia che incorreresti e che faresti teco la tua famiglia e a tante giovani giunte a vecchi che sagge e caste vivono? Frena dunque la lingua, e’l desiderio ne far, ch’io t’oda più dir cose simili».

Inoltre Prudenzia rappresenta un modello perfetto di madre e moglie aderente ai canoni cinquecenteschi in quanto rimprovera severamente Licinia per aver offeso il suo consorte ricordandole ciò che non è lecito ad una donna sposata:

«Prudenzia: Ah Licinia, che t’odo dire? Acquetati. Tai parole non son di donna savia. Le maritate non hanno licentia di aprir la bocca, e honor loro che soffrano i difetti de lor mariti, e tacciano».

In seguito la saggia Prudenzia, difende il proprio marito dalle accuse della figlia, giustificando la sua decisione di darla in sposa al vecchio Zelotipo:

«Prudentia: E poi non puoi dolerti con giustitia di tuo padre che sol per esser povero, ti ha dato quel vecchio. Sai che i minimi de la nostra città ardiscono domandar doti grandissime. E, sai che non ce ne è cara Licinia».

Quando Licinia descrive in maniera dettagliata le mancanze del marito in ambito sessuale, Prudenzia ne rimane indignata perché sembra che sua figlia abbia perso tutti i valori che si addicono ad una donna per bene. Invero nei trattati cinquecenteschi sono indicati tutte quelle virtù che una madre è tenuta a trasmettere alle figlie femmine per formare una perfetta maritata, ovvero la castità e il pudore a cui si associano la vergogna, la sobrietà, la modestia, la continenza, l’umanità, la frugalità e la diligenza. Tutti valori, questi, che Licinia pare aver dimenticato ed è forse tale ragione a scatenare la disapprovazione della madre.

Nella commedia di Pietro Fortini assistiamo, invece, ad un personaggio femminile completamente fuori dagli schemi che racchiude in sé ruoli diversi ovvero quello di moglie, madre, amante, padrona e vicina di casa. La studiosa Adriana Mauriello, nell’Introduzione alla “Galatea”, spiega come una dimensione negativa contraddistingue la madre Pirra in quanto rappresenta il bersaglio di pesanti accuse da parte dei suoi interlocutori che, spesso, non esitano ad elencare le sue numerose “virtù”.

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La serva Flonia per esempio, la descrive come una padrona “superba, strana, fantastica, stizosa, furiosa, arrabbiata e indiavolata”; in aggiunta sia Flonia che la figlia Galatea la ritraggono come una donna violenta perché più volte, nel corso della commedia, dichiarano di ricevere da lei tante ‘busse’:

«Galatea: Ma prima ch’io abbi simil grazia da quello, sarò innanzi morta di busse da questa strana, bizzarra, fantastica di Pirra: non vedi, Flonia, che se la mi fusse matregna non mi batterebbe così aspramente? […]»

(Atto Primo, scena I)

Flonia. Quella furia infernale, quella spaventevole arpia, quella spaventevole cagna di Pirra questa mattina ha il diavolo in corpo. Oh se voi sapesse quante busse ha date a quella poverina di Galatea!»

(Galatea, Atto Primo, scena IV)

Fortini toglie dunque qualsiasi tratto positivo dal personaggio di Pirra giungendo perfino a definirlo, come in quest’ultima battuta, con appellativi demoniaci.

Invero Pirra è una madre autoritaria che opprime la figlia Galatea, impedendole di uscire di casa e ostacolando il suo amore con Tindaro:

«Galatea. El dolore mi fa morire: non vedi come Pirra mi racchiude ogni giorno in camera? E t’imprometto che, se non fosse per quella vecchierella di mana Lenia, mi morrei di dolore e di disperazione: ma ella per compassione, infatto, come sete uscite fuori, mi viene ad aprire e mi fa la guardia che mia madre non mi sopraggiunga e qualche fiata m’ha portate nuove di Tindaro e me li ha fatto parlare».

(Galatea, Atto Primo, scena I)

Per giunta, secondo quanto confessa la serva Flonia, sembrerebbe che Pirra abbia picchiato la figlia perché credeva che avesse scoperto la sua relazione extraconiugale con l’amante Alfonzo:

127 Flonia: Perché andasti in camera, e deve aver paura che tu non vedesse

quello ghiaceva in letto seco […]».

Da ciò possiamo desumere che Pirra, oltre ad essere una madre crudele, è anche una moglie fedifraga e irrispettosa nei confronti del marito Antioco che, nonostante ciò, disprezza senza mezzi termini:

«Pirra: Credo che voi aviate perso il cervello affatto come perseno e mia fratelli quando mi maritotno a voi, che possin rompere il collo! […] E perché la mia figlia non abbi a far tal cosa, non la vò dare a quel vechio come e mia fratelli mi derno a voi».

(Galatea, Atto Terzo, scena VI)

In questa scena Pirra contrasta con caparbietà la volontà di Antioco di far sposare Galatea con il vecchio Sforza perché non vuole che alla figlia capiti la sua stessa sfortuna; a tale offesa, il marito risponde a tono:

«Antioco. Stai meglio che tu non meriti, sciagurata, bisognava ti facesse quello che meritavi […] e quello che dovrebbe fare ogni marito a la donna: ma quello che non ho fatto è restato per non essere favola di tutta la Toscana e non mi meraviglio perché tu sei nata di una donna che de le figlie sue non è stata veruna (priva) di fallo e così quelle che di loro son nate; ma non c’è stata la più sollecita e la più fina di te che se il vituperio del mondo, sfacciata, senza vergogna […]».

(Galatea, Atto Terzo, scena VI)

La battuta di Antioco è molto importante perché spiega quanto, le scelleratezze di Pirra derivino dall’ambiente famigliare in cui nessuna delle sue sorelle si salva da una condotta scorretta e, fra queste, Pirra risulta essere la più sfacciata e la più svergognata. A questo punto possiamo pensare che Fortini sia d’accordo con i teorici cinquecenteschi circa la scelta della moglie in relazione all’educazione ricevuta in famiglia, in particolare dalla madre, per la presupposizione di una circolarità di comportamenti, valori e status.

Tant’è vero che il pessimo esempio di Pirra ricade sulla figlia Galatea che, costretta alle nozze dai genitori, intraprende una relazione adulterina con il giovane Tindaro,

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diventando, allo stesso modo della madre, una moglie adultera. Ciò è confermato da Flonia nella sesta scena dell’ultimo atto:

«Tindaro. Galatea come sta contenta?

Flonia. Pensate voi; meglio che la può; pure alfine s’è risoluta più presto pigliare Asdrubale che essere monica. Andate su che n’ha maggior desio veder voi che il marito. Penso che sarete il suo refugio, el suo contento, el suo aiuto. Intendete.

Tindaro. E io desio veder lei e far tutto quello che vuole».

Da tali considerazioni possiamo affermare quanto una madre sia determinante nella formazione delle figlie femmine poiché anche solo attraverso il proprio comportamento è in grado di influenzare e condizionare quello delle rispettive figlie.