• Non ci sono risultati.

B EFFE AI MARITI FEDIFRAGH

IV. I MOTIVI COMICI CHE RIMODELLANO LA FIGURA MULIEBRE

IV.1.2 B EFFE AI MARITI FEDIFRAGH

Spesso nel corso delle commedie, le malmaritate scoprono l’adulterio del marito e si vendicano organizzando delle beffe per smascherare e svergognare il coniuge infedele. Olimpia ne l’Alteria di Luigi Groto dopo aver appreso che il marito Androfilo è pronto a tradirla con la giovane Alteria, intende vendicarsi con una beffa progettata insieme al servo Volpino. In un primo momento la malmaritata sfoga la sua rabbia confessando alla balia Brigida di aver capito il perché Androfilo viene meno ai doveri coniugali:

«Olimpia: Ma (per quel c’hor ritrovo) meco mostrasi il ribaldo impotente, stanco, e debole per poter poi con l’altre far il giovane e valent’huomo, e per far de’ miracoli».

(Alteria, Atto secondo, scena X)

Perciò senza alcuna esitazione accetta di eseguire il piano che Volpino le suggerisce, ovvero sostituirsi alla fanciulla di cui il marito si è invaghito al fine di ottenere due vantaggi:

«Volpino. Di questo a voi seguiranno due commodi, l’uno che eviterete l’adulterio di costui, l’altro, ch’ei volendo il vomero metter ne l’altrui terre, darà l’opera a propri campi suoi.

Olimpia. Anzi vogliovi ire. Ogni modo: e poi che fatto il perfido: havrà ciò, che vuol meco, io vorrò dirgliene quattro parole, che m’intenda […] e vendicarmene ancho saprò».

163

La povera Olimpia, però, rimane a sua volta ingannata dalla furbizia di Volpino che, indossando i panni del padrone Androfilo, si reca all’appuntamento dove lo attende Olimpia travestita da Ardelia; nella scena seguente Volpino tramite doppi sensi osceni descrive l’incontro con la padrona:

«Volpino. O felicissimo e lieto giorno.

Branco. Si se qualche tortora e qualche pernice grassa noi avessimo stamane in su’l taglier.

Volpino. Pernice morbida, e grassa, è stata quella, che godutomi ho io […] e succiatomi l’ho, si che sol il grasso ne pentola è rimaso».

(Alteria, Atto quarto, scena III)

La medesima situazione si verifica nella “Fantesca” di Girolamo Parabosco dove Caterina, credendo di beffare il marito Terenzio, giace invece con il servo Ghiribizzo. Invero, Caterina una volta scoperto l’innamoramento di Terenzio per la giovane Beatrice lamenta la triste condizione delle malmaritate e vuole a tutti i costi vendicarsi:

«O povere moglie, come sete mal trattate da perfidi, & tristi mariti. Quando eglino sono in casa, sempre tengono il capo basso come un fratino novello. Sempre hanno qualche dolore o qualche pensiero, che loro travaglia o la mente, od il corpo, & con questa scusa a pena vogliono guardare le misere moglie in viso. […] Et fuora di cosa poi, sono i più cortesi, i più mansueti, i più gentili, i più amorevoli, & i più allegri huomini del mondo. Hora l’ho io provato, che in sette anni ch’io sono stata moglie di questo rubaldo, io non ebbi tante carezze, ne egli 00mai si mostrò così gagliardo come ha fatto hora, credendosi ch’io fossi questa mariuola. Ma se mi entra il diavolo nel capo, io gli mostrarò che anche le femine sanno fare le vendette quando vogliono dei torti che lor son fatti».

(Fantesca, Atto Quinto, scena II)

In questa commedia però, l’imbroglio di Ghiribizzo viene a galla nel momento in cui Caterina rimprovera il marito per l’accaduto; quello non capisce a cosa si riferisce e, di conseguenza, si arrabbia per il tradimento da lei compiuto:

164 «Caterina. Fingete di esservi pur hora accorto ch’io fossi quella che

tenevate con tanto affetto in braccio, & a cui donavate così saporiti basci.

Terenzio. Non dir più che tu m’occidi.

Caterina. Voglio dir ogni cosa a maggior vostra confusione, & vostra maggior vergogna, quante lanze rompeste an cavagliere?

Terenzio. Ah traditora tu hai da morire per le mie mani […] E dove son stato teco puttana

Scelerata? Tu non rispondi? Parla, dove son stato io teco?».

(Fantesca, Atto Quinto, scena IX)

Probabilmente Luigi Groto e, prima di lui, Girolamo Parabosco hanno imitato questa duplice beffa dal “Beco” (1538) di Francesco Belo poiché la malmaritata Minoccia assume l’identità di Sandra, amante di Beco per ostacolare l’adulterio del marito ma, alla fine, è lei stessa che rimane vittima della trama ardita da Nello poiché non giace con il marito ma con il servo.

Il tema delle beffe che uomini e donne si fanno l’un l’altro appartiene ai tradizionali motivi novellistici, tant’è vero che Boccaccio nel “Decameron” dedica tutta la settima giornata della raccolta alle beffe che le donne fanno ai propri mariti. Qui notevole è l’introduzione alla seconda novella in cui il narratore Filostrato dichiara che le beffe delle donne non dovrebbero essere oggetto di biasimo, in quanto rappresentano la legittima vendetta sugli uomini che si compiacciono troppo nell’ingannare le proprie mogli:

«Carrissime donne mie, elle son tante le beffe che gli uomini vi fanno, e spezialmente i mariti, che, quando alcuna volta avviene che donna niuna alcuna ne faccia, voi non dovreste solamente esser contente che ciò fosse avvenuto o di risaperlo o d’udirlo a alcuno, ma il dovreste voi medesimamente andar dicendo per tutto, acciò che per gli uomini si conosca che, se essi sanno, e le donne d’altra parte anche sanno: il che altro che utile esser non vi può, per ciò che, quando alcun sa che altri sappia, egli non si mette troppo leggiermente a volerlo ingannare».

(Decameron, II-7)

Filostrato raccomanda alle mogli che, quando fanno qualche beffa al marito dovrebbero andare a raccontarlo dappertutto per far sì che si prenda atto che se loro sanno fare le beffe

165

alle mogli, anche le donne, da parte loro, sanno farle ai mariti e ciò sarà loro utile per evitare che quest’ultimi decidano d’ingannarle con leggerezza.