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L’ UNIONE OMOSESSUALE NEL M ARESCALCO

II. IL MATRIMONIO CORRETTIVO

II.4 D UE EPILOGHI INNOVAT

II.4.3 L’ UNIONE OMOSESSUALE NEL M ARESCALCO

Nel prologo recitato dall’istrione, lo spettatore viene già informato circa l’argomento principale della commedia de Il Marescalco:

«[…] il magnanimo Duca di Mantova, esempio di bontà e di liberalità del nostro pessimo secolo, avendo un marescalco ritroso con le donne, come gli usurai con lo spendere, gli ordina una burla, per via de la quale gli fa tor moglie con nome di quattro milia scudi di dota, e strascinatolo in casa del gentilissimo Conte Nicola,

149 A. PICCOLOMINI, “Dell’institution morale”: […] e perchè l’onor della donna e l’utilità della casa è riposto nell’osservanzia del suo marito e nella concordia con quello che resta che io le insegni come tale union conservar si debba. (L. XI, cap. 8).

78 albergo di vertù e rifugio de i vertuosi, sposa per forza un fanciullo che da fanciulla

era vestito. E scopertosi lo inganno, il valente uomo ne ha più allegrezza nel trovarlo maschio che non ebbe dolore credendolo femina. Ora se si pecca mortalmente a non dare un cavallo a quel venerabile castrone, che non ha paura d'essere un cujum pecus […]».

(Il Marescalco, Prologo)

In un solo paragrafo, Aretino descrive tutti gli elementi che vuole mettere in scena: la beffa ordita dal Duca sotto forma di matrimonio, la sessualità del protagonista e l’ambientazione cortigiana; ma ciò che stupisce maggiormente è la rivelazione del finale della commedia in cui il protagonista “sposa per forza un fanciullo che da fanciulla era vestito”.

Perciò, al contrario dello schema tradizionale, qui il pubblico scopre fin da subito quale sarà l’agnizione finale privando così la commedia di uno degli espedienti più efficaci che, di solito, ne ravvivano lo svolgimento diegetico. Secondo lo studioso Ferroni150, il mancato sfruttamento dell’agnizione fa già parte dello svuotamento e del rovesciamento del meccanismo comico.

In effetti quello del Marescalco è un finale del tutto singolare che capovolge uno dei luoghi comuni più diffusi non solo nella commedia ma anche nella novella: il travestimento151. Generalmente i personaggi femminili o quelli maschili indossano i panni del sesso opposto per realizzare l’unione eterosessuale desiderata e ristabilire quindi l’ordine nei rapporti fra i sessi; in questo caso, invece, la rivelazione del paggio dà vita ad un’unione omosessuale che viene proclamata come vincente, dando vita ad un nuovo ordine.

Un’attenta lettura della commedia rivela che il marescalco, sebbene dichiari diverse volte di non volersi sposare, non proferisce alcuna dichiarazione circa il suo comportamento sessuale; sono invece gli altri personaggi a classificare il protagonista non con l’etichetta di omosessuale, come sottolinea il critico Michael Sherberg152, ma più precisamente di pederasta.

Nella seconda scena del primo atto, messer Jacopo pronuncia un’insinuazione molto significativa al riguardo:

150 G. FERRONI, “La costrizione al teatro: il Marescalco” in “Le voci dell’Istrione. Pietro Aretino e la

dissoluzione del teatro”, Napoli, Liguori, pp. 71-72.

151 P. Aretino, “Teatro Comico, Cortigiana (1525 e 1534), Il Marescalco”, pp. LXXXII, LXXXIII.

152 M. SHERBERG, “Il potere e il piacere: la sodomia del Marescalco” in “La rappresentazione dell’altro nei

79 «Sempre ti trovi in conclavi col tuo pivo».

La parola «conclavi» in rapporto etimologico con «chiave» e «chiavare» ha chiare risonanze sessuali, mentre un «pivo» è un cinedo, un giovinetto effemminato, secondo Jean Toscan, il partecipante passivo alla sodomia.

Sempre Sherberg, nella terza scena del primo atto, individua un’altra battuta pronunciata da messer Jacopo in cui fa riferimento alla cerimonia alla filosofesca con possibile allusione alle pratiche pederaste dei filosofi.

Suggestivo è anche il linguaggio della Balia, unico personaggio femminile della commedia, che nella sesta scena del primo atto afferma:

«[…] lascia andare le gioventudini, e comincia a dare principio a la casa tua».

Qui con «gioventudini» allude probabilmente agli interessi pederasti del Marescalco; ma è Giannicco che nella seguente citazione riassume l’idea condivisa dagli altri personaggi circa l’orientamento sessuale del protagonista:

«Pure si dice che voi siete una bestia, padrone a non torla [la moglie], e ho udito la non saprei dir chi, che non è niente de la moglie».

(Il Marescalco, Atto terzo, scena III)

Siccome il Marescalco non vuole prender moglie allora è una bestia, cioè un sodomita. E’ questa l’opinione comune confermata anche dall’Istrione che nel prologo apostrofa il protagonista con epiteti bestiali (cujum pecus ossia bestione) precisando così il senso della sua ritrosia nei confronti delle donne.

La conclusione raggiunta dai protagonisti della commedia ci permette di riflettere su un altro legame importante propugnato dalla tradizione letteraria e filosofica ossia quello tra omosessualità e avversione alle donne o rifiuto di sposarsi. Come osserva Sherberg153, la

corrispondenza tra sodomia e misoginia si ritrova già a partire da Platone che nel Simposio, tramite le parole di Aristofane, confessa quanto i pederasti non abbiano per natura nessuna voglia di sposarsi né di procreare e se si sposano lo fanno solo perché questo è il costume sociale.154

153 M. SHERBERG, “Il potere e il piacere”, pp. 100-103.

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Nel “Decameron”155 di Boccaccio i due personaggi sodomiti sono sempre definiti in base al

loro odio contro le donne: di Ser Ciappelletto si dice che «Delle femmine era così vago come sono i cani de’ bastoni» (I, 1, 13) e con le stesse parole la moglie del sodomita Pietro de Vinciolo, afferma «Io ne sono molto certa che tu vorresti che fuoco venisse da cielo che tutte ci ardesse, si come colui che se’ così vago di noi come il can delle mazze» (V, 10, 55). Aretino sembra ricalcare questa similitudine nell’espressione dell’Istrione: “ritroso con le donne come gli usurai con lo spendere”.

Un altro testo cronologicamente più vicino a quello aretiniano, l’Orfeo156 di Poliziano,

conferma ancora una volta l’associazione tra misoginia e sodomia:

«Da qui innanzi vo' côr e fior novelli,

la primavera del sesso migliore, quando son tutti leggiadretti e snelli: quest'è più dolce e più soave amore. […] Quant'è misero l'huom che cangia voglia per donna o mai per lei s'allegra o dole, o qual per lei di libertà si spoglia o crede a suo' sembianti, a suo parole! Ché sempre è più leggier ch'al vento foglia

e mille volte el dì vuole e disvole; segue chi fugge, a chi la vuol s'asconde, e vanne e vien come alla riva l'onde».

Qui il protagonista, dopo aver perso per ben due volte la moglie Euridice di cui era innamorato, si serve di motivi misogini quali la volubilità e l’incostanza muliebre per risolversi a non amare più le donne e farsi invece propugnatore della pederastia che diventa per lui “più dolce e più soave amore”.

Nel medesimo contesto socio culturale, molto importante è anche la poesia burchiellesca e bernesca che in gran parte trae spunto e si immerge nell’esperienza sodomitica per le proprie rime, assorbendone le possibilità innovativo-sovversive, soprattutto linguisticamente.

155 G. BOCCACCIO, Decameron, a cura di V. Branca, Milano, Mondadori, 1976.

156 A. POLIZIANO, “Fabula di Orpheo”, in A. Tissoni Benvenuti, “L’Orfeo di Poliziano”, Padova, Antenore, 1986.

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La polemica contro le donne collegata alla sodomia ritorna, in particolare, nella poesia di Francesco Berni autore del “Sonetto contra la moglie”157 e del “Capitolo d’un ragazzo”158:

se nel primo componimento afferma che tra tutti i mali da cui può essere colpito un uomo quello peggiore è avere una moglie, nel secondo sviluppa il tema della pederastia dichiarando che «egli è pur un trastullo aver un garzonetto che sia bello da insegnarli dottrina e condullo!».

Del resto una figura ormai riconosciuta nella società ma allo stesso tempo fuori norma, diversa, contro natura e oscena come è quella del sodomita s’inserisce perfettamente negli intenti di questa poetica tesa a contravvenire alla norma ed a scandalizzare giocosamente. Nella commedia aretiniana la sodomia è un vizio attribuito anche ad un altro personaggio, il Pedante, che a differenza del Marescalco non nasconde le proprie preferenze sessuali:

«Ne le intestine, ne le viscere, ne lo utero mi hanno penetrato le acoglienze che mi ha fatto sia Eccellentissima Signoria […]».

(Il Marescalco, Atto terzo, scena X)

Siamo davanti ad una citazione molto importante perché il Pedante oltre ad utilizzare il linguaggio della penetrazione anale (ne le intestine, ne le viscere…), afferma che ad averlo penetrato è stato proprio il Duca (Eccellentissima Signoria) dichiarando così la sua omosessualità.

Infatti sono presenti altre battute in cui i personaggi alludono alla sessualità del signore come nella scena quarta del quinto atto quando la Gentildonna raccomanda al paggio Carlo:

«Non ti scordar di mettergli la lingua in bocca che così piace al Signore»

(Il Marescalco, Atto quinto, scena IV)

Non a caso, come ricorda la studiosa Cristina Cabani nell’Introduzione al Marescalco159,

Aretino, nello stesso anno in cui pubblica il Marescalco, scrive un Pronostico nel quale accusa Federigo Gonzaga di varie empietà fra cui quella di praticare «continuo coito mascolino e femenino»160.

157 F. BERNI, “Rime” a cura di Danilo Romei, Mursia, Milano, 1985, pp. 30-31. 158 F. BERNI, “Rime”, pp. 27-28.

159 P. ARETINO, “Teatro Comico, Cortigiana (1525 e 1534), Il Marescalco”, p. LXXXIII.

160 P. ARETINO, Un pronostico satirico, edito ed illustrato da Alessandro Luzio, Bergamo, Istituto italiano arti grafiche, 1900, p. 22.

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A questo punto è utile esaminare il rapporto fra i cortigiani e il potere del Duca che emerge, in prima istanza, nelle scene in cui il Conte e il Cavaliere tentano di convincere il Marescalco a sposarsi:

«CONTE: Maestro, io ti vo' bene, et a gli amici si vuol dar sempre ottimi consigli. Di’ poi che io non te l’abbia detto; tu deveresti pur sapere ed avere inteso da ciascuno, che non c’è se non un Duca di Mantova al mondo, e che solo egli fra prencipi dona, accarezza e fa grandi i servitori, e non vesteno così i primi gentil’uomini del Papa, né de lo Imperadore, come vesti tu […]. E vaglion più le amorevoli parole di sua Signoria, che i fatti de gli altri; e se la sua umanità non ci facesse ognuno compagno, non ardiresti stare in su ‘l tirato di ciò che ti comanda. CAVALIERE: Il Conte ti favella da vero amico».

(Il Marescalco, Atto quarto, scena terza)

In queste battute sia il Conte che il Cavaliere giustificano i loro sforzi in nome dell’amicizia che nutrono nei confronti del protagonista e, nello specifico, il Conte descrive la logica dello scambio che caratterizza il rapporto Signore- cortigiani: dal momento che il Signore ‘accarezza’ i propri sudditi provvedendo alle loro necessità come nessun altro principe, i cortigiani non stanno «in su’ l tirato» cioè obbediscono ai suoi ordini.

Ma come si può vedere nelle suddette citazioni, le considerazioni sul Marescalco sono sempre accostate alle virtù e magnanimità del Duca, ciò vuol dire che è l’umanità del Duca a rendere i personaggi della commedia ‘compagni’.161

Infatti davanti al rischio che la prodigalità del Signore venga meno, si scioglie anche il legame tra i cortigiani come nel caso del Cavaliere e del Conte che, davanti al rifiuto del Marescalco, reagiscono con minacce:

«CONTE: […] Riferiremo la tua asinarìa al Signore; e s’egli ci commette che ti caviamo gli umori del capo, faremo il debito.

CAVALIERE: Tu fusti sempre un cavallo, e s’egli stesse a me, ti tratterei da quel che sei».

(Il Marescalco, Atto quarto, scena III)

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Ciò rivela quanto il vero motivo per cui i due cortigiani convincono insistentemente il marescalco a sposarsi non corrisponde nell’amicizia o nella bontà del matrimonio bensì nell’esecuzione degli ordini del Duca e dai vantaggi personali che da essi ne derivano. Alla fine però, il Marescalco viene accolto dal Duca per quello che è, che sia sodomita o semplicemente avverso alle donne, perciò a rimanere vituperati sono gli altri personaggi in quanto, essendo gli unici a non conoscere la natura burlesca delle nozze, hanno condotto un’inutile campagna di convincimento e non sono riusciti a percepire le reali intenzioni del Duca; la beffa ai danni di tutti i personaggi della commedia è racchiusa nella frase di Ambrogio pronunciata al momento dell’agnizione:

Ora si che ci potiamo chiamare babbioni mantovani, ah, ah ah!

(Il Marescalco, Atto quinto, scena X).

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