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T ENTATIVI DI RIBELLIONE

I.4 L A VOCE DELLE DONNE

I.4.3 T ENTATIVI DI RIBELLIONE

Tuttavia, se la subordinazione femminile rintracciata nelle commedie cinquecentesche è un dato di fatto che emerge anche dai trattati d’institutio, è con grande sorpresa che nei testi teatrali ho riscontrato anche esempi di personaggi femminili che azzardano una sorta di ribellione, o meglio di riscatto nei confronti di un destino a loro avverso. Si tratta principalmente di donne sposate che, davanti alla propria insoddisfazione nei confronti del marito, non rimangono inermi e passive bensì, tramite l’astuzia, riescono a superare i vincoli della morale corrente e a godere dell’amore fisico di un giovane amante piuttosto che del marito vecchio, e spesso impotente, impostogli dalla famiglia con un matrimonio combinato. In prima luogo, la minaccia di un ipotetico adulterio è avanzata dalla giovane Licinia ne “Il

Thesoro”69 di Luigi Groto:

«Però convien che io lo maledica e odi mio padre perché eli è reo, non sol dell’omicidio mio; che m’ha ucciso, ma dell’omicidio di quanti figli produrrei s’a un giovane io fossi maritata, anzi ei si studia quanto a fe d’annullar l’humana spetie. [..] però madre mia cara che vi son figlia unica, che vi amo, e che so certo d’essere da voi amata […] che mi

68 D. LOMBARDI, Scelta individuale e onore familiare: conflitti matrimoniali nella diocesi fiorentina tra ‘500 e

‘700, Università degli studi di Pisa, 2000, pp. 111-112.

34 troviare qualche amante giovane con cui segretamente il desiderio (ne sfoghi che’l

vecchio accende e non può spegnere)».

(Il Thesoro, Atto secondo, scena I)

Licinia utilizza parole forti contro il padre accusandolo non solo di averle imposto un matrimonio con un uomo anziano ma, soprattutto, di averla privata del diritto di maternità proprio di ogni donna; perciò ha intenzione di tradire il marito Zelotipo con un uomo più giovane, se non altro per soddisfare le pulsioni carnali, inevitabili alla sua tenera età. Per raggiungere il suo scopo, la giovane sposa chiede aiuto alla madre Prudenzia che, invece di assecondare il desiderio della figlia, la rimprovera ricordandole quanto l’adulterio sia punito severamente e quanti danni potrebbe recare a se stessa e alla sua famiglia.

«Prudenzia: Ah tristate che ti pensi di prendermi per tua ruffiana? Rea non ti sovvengono le leggi che minacciano a le adultere una morte crudele e inevitabile? Non ti sovvien che a questo nostro secolo state sono molte uccise in adulterio? Oltre alla morte non pensi alla infamia che incorreresti e che faresti teco la tua famiglia e a tante giovani giunte a vecchi che sagge e caste vivono?».

Nella sua risposta, Prudenzia fa riferimento alla figura della ruffiana e ciò permette un confronto con il trattato di Alessandro Piccolomini, “Dialogo de la bella creanza delle

donne”70, dove la mezzana Raffaella avrebbe giustificato le voglie impudiche di Licinia poiché, a suo avviso, una giovane donna, trascurata dal marito, deve ugualmente soddisfare quella pulsione del piacere che muove verso l’amante unico e ciò può farlo segretamente, attraverso gli strumenti della simulazione e dissimulazione:

«Margarita: In ogni modo, questo far i parentadi così al buio è una cattiva usanza; perché molte volte si debbono congiungere in matrimonio due persone di contraria natura e i diversi costumi.

Raffaella: Che importa questo, se ci è il rimedio prontissimo e congruo di darsi in tutto e per tutto ne l’amore di uno, che con desterità ricompensi questo dispiacere che si ha con il marito?».

In effetti numerose sono le maritate che nelle commedie non si pongono alcun problema nel tradire il rispettivo coniuge ricorrendo al travestimento come tecnica di dissimulazione. Un

70 A. PICCOLOMINI, La Raffaella della bella creanza delle donne, dialogo di Alessandro Piccolomini, pp. 59- 60.

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esempio ci è dato da Fulvia, personaggio della Calandria71, moglie del ricco Calandro ma

innamorata del giovane Lidio che, ardita nel cercare il piacere, non esita a travestirsi da uomo per andare a casa del ragazzo che ama.

«Nulla è certo, che Amore altri a fare non costringa. Io, che già sanza compagnia a gran pena di camera uscita non sarei, or, da Amor spinta vestita da uomo fuor di casa me ne vo sola. Ma se quella era timida servitù, questa è generosa libertà».

(La Calandria, Atto terzo, scena VII)

Qui con sua grande sorpresa trova il marito tra le braccia di una prostituta e anziché farsi intimidire si mette a inveire da comare gelosa contro di lui, fingendosi disperata e sommamente offesa:

«In fede mia, non so come io mi tengo che io non ti cavi gli occhi. E forse non pensavi ascostamente farmi questo inganno? Ma per mia fè, tanto sa altri quanto tu. E a quest’ora, in questo abito, d’altri non fidandomi, io propria sono venuta per trovarti. E così ti meno, come tu sei degno, sozzo cane, per svergognarti e perché ognuno prenda compassione di me che tanti oltraggi da te sopporto ingrato […]».

Per non parlare della “Venexiana”72, commedia in cui Valeria e Anzola, la prima sposata

con un uomo vecchio, la seconda vedova, sono mosse dal desiderio carnale di possedere un giovane forestiero Iulius, una smania che nasce appunto dal loro stato di recluse e dall’aridità sentimentale delle loro vite. Quindi anche le vedove, nonostante siano tenute a mantenere integra la propria castità nei confronti del marito defunto, nelle commedie manifestano invece la voglia di risposarsi come la vedova Violante de “La Trinunzia”73 che corteggia

addirittura due giovani uomini da cui però non è ricambiata in quanto a loro volta sono entrambi innamorati di una giovane fanciulla.

Ma il problema dell’adulterio causato dall’infelicità delle mogli, secondo quanto già anticipato dallo stesso Piccolomini nell’ “Istitution morale”74, non si verificherebbe se i

padri accasassero le figlie con coloro che queste amano, evitando il matrimonio combinato senza il consenso degli interessati. Non a caso tale soluzione viene proposta da una delle

71 B. D. BIBBIENA, La Calandria, pp. 60- 64.

72 ANONIMO, La Venexiana in Teatro italiano, La Commedia del Cinquecento, vol. I, Nuova Accademia editrice, 1963.

73 A. FIRENZUOLA, La Trinuzia.

74 A. PICCOLOMINI, nell’ Instituzion Morale chiarisce che amor cortese e amor coniugale possono sovrapporsi in quanto entrambi frutto d’elezione e riconosce che questo avviene più facilmente laddove coloro che si sposano lo hanno scelto (Alessandro Piccolomini, Instituzion morale, op cit. cap. XIV).

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prime donne scrittrici, Moderata Fonte ne “Il merito delle donne”75 un dialogo fra sole

donne:

«Questa pietà in caso di morte non ebbero già molti padri verso le loro figliuole- ritolse Cornelia - perché molti di essi potendo dar un’altra vita alle loro figliuole con accasarle con quei, che esse amavano, le hanno più tosto lasciate morir d’amore».

Nel passo citato, l’autrice, tramite le parole della gentildonna più emancipata del gruppo, Cornelia, afferma come il matrimonio imposto sia da considerarsi una forma di violenza da parte dei padri, privi di compassione davanti alle sofferenze delle proprie figlie.

Ripercorrendo la casistica degli esempi qui sopra riportati, si desume che, all’interno delle commedie cinquecentesche, la voce delle donne emerge per denunciare lo stato d’inferiorità della figura femminile e l’ingiusto trattamento riservato al loro sesso dagli uomini, in particolar modo dai padri e dai mariti, rivendicando così il desiderio di libertà, rispetto e dignità. Probabilmente è da questa voglia di rivalsa che scaturiscono i comportamenti trasgressivi di alcuni personaggi femminili che, pur di appagare i propri istinti e sopperire alle proprie mancanze, violano il codice etico del tempo. Tale contrasto mette in evidenza l’atteggiamento ambiguo dei commediografi poiché se da un lato sembrano mettersi nei panni del gentil sesso offrendogli la possibilità di recriminare la prevaricazione maschile nei loro confronti, dall’altro danno l’impressione di seguire una linea misogina proponendo l’adulterio come l’unico metodo utilizzato dalle donne per autoaffermarsi.