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C OME SCEGLIERE UNA MOGLIE ‘ PERFETTA ’

II. IL MATRIMONIO CORRETTIVO

II. 3 I L DIBATTITO SUL MATRIMONIO

II.3.3 C OME SCEGLIERE UNA MOGLIE ‘ PERFETTA ’

Una volta dimostrato il valore socioeconomico dell’istituzione matrimoniale, alcuni intellettuali spostano l’attenzione dal se si debba prender moglie, al come si debba scegliere la futura moglie e alle virtù che in lei vanno ricercate affinché siano in sintonia con il ruolo che le verrà affidato.

Difatti dal momento che sulle donne continuano a pesare pregiudizi di larga tradizione, primo fra tutti il concetto di disordine e imperfezione, nasce il problema sul come rapportarsi con il genere femminile, nei confronti del quale l’uomo-ragione deve riuscire a porre ordine per assimilarlo il più possibile a sé: da qui ha origine tutta la precettistica sui criteri da seguire per la scelta della moglie e sul comportamento che quest’ultima deve tenere129.

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Le qualità che si richiedono alla moglie sono legate ai compiti a lei attribuiti che si differenziano in base al contesto interno o esterno alla vita domestica: nel primo caso fondamentali sono le qualità morali della donna, i suoi costumi, la sua educazione e la sua competenza nel lavoro domestico; nei rapporti con l’esterno sono invece importanti l’età, la famiglia d’origine e il rango sociale della donna.

A partire dall’aspetto estetico, è opinione comune scegliere una moglie né bella né brutta bensì mediocre come spiega Stefano Guazzo ne “La civili conversatione”130:

«Anzi bisogna torla né bella né brutta, come avete detto. Io appresi gran tempo fa che la perfezzione del corpo consiste nella mediocrità, cioè che non sia né troppo robusto o bello, né troppo debole o deforme, perché l'uno rende le persone audaci e gonfie, l'altro le fa abiette e pusillanimi. E perciò si commenda la forma mezana, che è propria della moglie, e si biasima l'estremità della bellezza e della bruttezza, perché l'una cruccia e l'altra sazia».

La mediocrità è preferibile alle due pericolose estremità perché se da un lato l’eccessiva bruttezza può portare il marito a invaghirsi di altre donne, dall’altro, la donna bella è causa di frequente disonore o per lo meno di sospetti e desideri.

Anche Alessandro Piccolomini ne “L’Istitution morale”131 suggerisce che la moglie deve essere, se non bellissima, almeno «più che mezzanamente bella»:

«Oltra di questo non è fuor di proposito che si debba avvertire che ella se ben non è sopra tutta l’altre bellissima non dimeno si possa più che mezanamente chiamar bella e di persona alta e ben fatta; peroché, dovendo di lei nascer figliuoli, molto più dobbiam credere che belli, validi, ben formati e ben fatti nasceran d’una tale che non farebbeno di qualche donna troppo picciola, snervata e manca della persona […]».

Da questa citazione emerge quanto la scelta di una moglie aggraziata abbia una finalità ben precisa ovvero, assicurare ai figli un aspetto fisico armonioso e piacevole. Tale concetto viene ribadito da Francesco Tommasi ne “Il Reggimento del padre di famiglia”132.

130 S. GUAZZO, “La civil conversatione”, p. 303.

131 A. PICCOLOMINI, “Della institution morale”, L. XI, cap. 3, ed. 1560. 132 F. TOMMASI, “Il reggimento del padre di famiglia”, p. 75.

67 «Ma, come s’è detto, la bellezza e la grandezza del corpo stanno molto bene ad una

donna. Perché maritandosi nascon belli, e grandi figliuoli. E si vede per esperienza che i figliuoli matrizzano assai nella grandezza, peroche tutta la corpulenza, piglian da lei».

Ma quasi tutti i trattatisti danno più rilievo alle qualità dell’animo della donna, prima fra tutte l’onestà che garantisce la legittimità della discendenza e l’onorabilità dell’immagine del marito. Ludovico Dolce nel “Dialogo della Institution delle donne” dichiara che «Niuna cosa al riposo de mortali è più necessaria, che insegnar virtù e honesti costumi alla Donna; la quale in tutti i bisogni della vita è compagna perpetua dell’huomo […]»133.

Dal momento che la moglie è vista come una creatura da plasmare in relazione ai bisogni del marito, un altro aspetto importante riguarda l’educazione da lei ricevuta in famiglia, in particolare dalla madre, perché si presuppone una circolarità di comportamenti, valori e status all’interno di una società sempre più statica e divisa in classi.

Giuseppe Passi ne “Dello stato maritale”134 raccomanda:

«Primeriemente devono avertir bene di eleggere donne, che siano nate d’honestissimi parenti, e di quelle patrie che sogliono generare per natura de sangui loro donne pudiche; e che habbino particolarmente le madri, e i padri pacifici, di buona nascita, e che siano di buoni costumi dotati».

Allo stesso modo Piccolomini nel suo trattato afferma come la famiglia d’origine e il comportamento delle sorelle già sposate costituiscano lo specchio in cui si riflette l’educazione della donna:

«Dee adunque l’uomo ben riguardare e con ogni ingegno aver l’occhio che quella giovene ch’egli avrà a torre in consorte sia non sol nata nobile ma sia sopra tutto ben nella propria casa educata, e con modestia, onestà, e timor di Dio allevata; di che non picciolo argomento possono dare le altre sorelle sue che prima già siano maritate».135

133 L. DOLCE, “Dialogo delle institution delle donne”, p. 53.

134 G. PASSI, “Dello stato maritale, trattato di Giuseppe Passi ravennate”, Venezia, appresso Iacomo Antonio Somacho, 1602, p. 98.

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Sempre alla madre spetta l’istruzione della figlia sui doveri domestici e sui lavori di casa, due requisiti fondamentali per diventare una buona moglie; a tal proposito Lodovico Dolce propone i lavori di cucito e filatura per evitare che la donna, attraverso l’ozio e il tempo libero, sviluppi desideri e inclinazioni non conformi alla volontà del marito.

Inoltre, in relazione all’opportunità di essere rieducata dal consorte, è preferibile che la sposa sia giovane e non una vedova da rieducare affinché, come suggerisce Antonio Brucioli, «meglio le possa insegnare gli honesti costumi, e secondo che sono i suoi»136; in tal modo, secondo Piccolomini, «avanzandola l’uomo in età, ella sempre gli sarà più rispettosa e più riverente; il che non è di poco momento, dovendo l’uomo essere il timone di tutta la casa»137.

Il trattatista continua ricordando che tale età è anche «attissima alla generazione e alla educazione de’ figliuoli».

L’ultima regola fondamentale per una corretta scelta della moglie è collegata al rapporto della famiglia con la società in quanto si consiglia rigorosamente di sposare una donna appartenente al medesimo ceto sociale; Torquato Tasso nel trattato prima citato scrive, «donna d’alto affare con uomo di picciola condizione o per lo contrario uomo gentile con donna ignobile non ben si posson sotto il giogo del matrimonio accompagnare»138.

Questo perché una moglie di bassa estrazione potrebbe influenzare negativamente i costumi dei figli e compromettere la conservazione del rango nella sua purità; mentre una donna di rango superiore costituirebbe una minaccia per l’autorità del marito in quanto introdurrebbe una situazione di disordine, imponendo la sua superiorità di classe là dove le si richiede la totale sottomissione al marito.

In effetti, all’interno del matrimonio, la donna appare completamente subordinata al marito poiché come spiega Dolce nel suo trattato139, l’uomo è il capo a cui la moglie deve obbligatoriamente obbedire:

«[…] il marito. Il quale essendo capo della Moglie, deve egli etiando, sì come capo, essere amato e honorato da lei […] così conviene che tutto il governo della moglie dependa dal marito. Di qui potrà ritrarre che al marito appartiene il comandare, e a lei l’ubbidire è richiesto».

136 A. BRUCIOLI, “Dialogi”, p. 11.

137 A. PICCOLOMINI, “Dell’insitution morale”, L, XI, cap. 3. 138 E. e T. TASSO, “Dello ammogliarsi piacevole contesa”, p. 24. 139 L. DOLCE, “Dialogo delle institution delle donne”, L. II, p. 36.

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A tal proposito, ho riscontrato una commedia che più di tutte riflette sul palcoscenico la vita matrimoniale e i ruoli che la società cinquecentesca attribuisce ai rispettivi coniugi: “La

Suocera”140 di Benedetto Varchi. Quest’ultimo, considerando la propria commedia come uno strumento attraverso cui insegnare i buoni costumi, rielabora il modello latino dell’Hecyra terenziana, proponendo l’ampliamento della trama e l’allungamento di determinate scene, prime fra tutte, quelle in cui mogli e mariti si abbandonano a lunghi monologhi.

Uno di questi riguarda lo sfogo del marito Guasparri allorquando si accorge che gli è stato tenuto segreto dalla moglie Criofè il parto della figlia:

«Se tu m’avessi stimato per tuo marito, o pur per uomo, e non per peggio che una bestia, tu non m’avresti trattato come tu m’hai trattato [..] Perché ci sono io? A me s’aveva a venire, a me dovevi far capo; onde mi vien tanta collera. Avevi tu a far una cosa a questo modo di tuo capo, senza mia spressa licenzia e comandamento, anzi senza mia saputa? E’ mi vien voglia: ma io voglio guardare a quello che s’aspetta a fare a me, non a quello che meriti tu. Io ti fo intendere, che tu non ti impacci ma più da qui innanzi né da beffe, né daddovero di così fatte cose: e risolviti ve’, che il padron di casa sono e voglio esser io, mentre che avrò vita».

(La Suocera, Atto quarto, scena II)

Emblematica questa battuta perché rappresenta la reazione di un marito che, vedendo minacciata la propria autorità di pater familias, rimprovera la moglie ricordandole, con veemenza di toni e parole, chi sia il vero padrone di casa; in questo modo Varchi oltre a porre in risalto una delle regole principali a cui le mogli devono rigorosamente obbedire (non contrastare mai la posizione autoritaria del consorte), offre una dimostrazione di come talvolta i mariti, davanti alla trasgressione della suddetta regola, tentino di porre un freno all’ostinazione muliebre e alla loro spinta autonomistica.

Invece il lungo monologo della suocera Cassandra costituisce un vero e proprio manuale di comportamento che tutte le donne sposate dovrebbero seguire in quanto davanti all’ingiusta accusa del marito Simone, dichiara di voler affrontare la situazione con paziente rassegnazione, consapevole dell’inopportunità di un atteggiamento di rivalsa che la porterebbe a contraddire il marito e a voler aver ragione su di lui:

140 B. VARCHI, “La Suocera”.

70 «Ma quanto più mi scusassi col mio marito, e più cercassi di sgannarlo, di

dimostrargli l’innocenza mia, tanto peggio farei, e tanto lo mi crederebbe meno. Onde non so che farmi, se non averne una buona pazienza: egli è mio marito, e non è ragionevole, che io mi ponga a contenderla seco a tu per tu, e volere che la mia stia di sopra ancora che io abbia ragione».

(La Suocera, Atto secondo, scena IV)

Anche in questo caso Varchi coglie l’occasione per una lezione sulla corretta condotta che una moglie deve tenere nei confronti del coniuge, costruendo così un modello moralmente accettabile verso cui orientare il suo pubblico. Difatti sembra che Cassandra segui alla lettera i precetti teorizzati da Piccolomini nell’Istitution morale141:

«Delle ingiurie poi che per mala fortuna possono occorrere tra il marito e la moglie, dee sommamente guardarsi la donna, che il suo marito non abbia cagione di farle ingiuria, o offesa; e contra ragion facendole, quella con prudentia e patientia sopporti: essendo certa che le offese a torto del suo marito non meno a lui stesso che a lei tocca di correggere e castigare, quantunque io giudico ben fatto ch’ella, aspettando destra occasione, si ponga humile e riverente a trarlo d’errore, in che fare usi tale arte che, senza ch’ella il riprenda, egli conosca il suo fallo».

E’ evidente quanto la sopportazione riguardi solo la moglie che deve accettare in modo inerte le offese del marito, anche se ingiustificate, e far sì che il coniuge prenda autonomamente coscienza dell’errore, senza abbandonare l’atteggiamento umile e riverente.

Secondo Lodovico Dolce, la sposa deve tollerare con amorevole pazienza addirittura le percosse del marito e ritenere di averle meritate per castigo de suoi peccati.

Da tutte queste regole si desume che nel matrimonio l’amore reciproco non comporta affatto doveri simili: non solo il corpo ma anche l’anima della moglie sono proprietà del marito, capo indiscusso della famiglia a cui la donna deve obbedire passivamente.

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