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Gli agenti e gli stakeholders coinvolti nel processo di cambiamento

1.5 I processi di cambiamento

1.5.3 Gli agenti e gli stakeholders coinvolti nel processo di cambiamento

Sulla praticabilità dei modelli di cambiamento influiscono pesantemente gli attori chiamati a realizzarlo. Una leadership strategica è indispensabile, così come è fondamentale un ruolo attivo dei principali stakeholders. Il riferimento ai cittadini, agli utenti è ormai di rito. Ma gli organi e le metodologie per dare voice e definire il grado di soddisfazione degli utenti e raccoglierne le richieste e gli orientamenti sono assai primitivi.

Il secondo problema è quello della partecipazione. Le esperienze di altri paesi mostrano che i cittadini, i dirigenti e il personale delle Amministrazioni sono una risorsa formidabile per attuare il cambiamento in quanto portatori di energia, di conoscenze tecniche ed esperienze.

La partecipazione non è solo un fatto socialmente e politicamente rilevante ma è anche indispensabile per il successo del cambiamento. Essa è anche parte essenziale di metodologie per riorientare e valorizzare le risorse di intelligenza, passione e competenza presenti nelle Amministrazioni. In generale, però, la partecipazione dei cittadini e dei lavoratori al cambiamento della P.A. è di solito bassa76.

Tutto il management è responsabile del successo del cambiamento: l’alta direzione deve essere in grado di sviluppare la strategia e di mostrare la propria partecipazione e convinzione circa la necessità e bontà del progetto di modifica. Attraverso un’azione competente e l’incontro diretto, aperto e personale tra l’alta direzione e i lavoratori è possibile costruire un clima di fiducia e di cooperazione77.

La dirigenza deve trasmettere verso la base la mission del cambiamento proveniente dal vertice e cercare di prevenire e risolvere le problematiche provenienti dalla base. Senza il coinvolgimento completo del management si corre il rischio di trasformare un’ottima strategia di cambiamento in un insuccesso a causa dell’incoerenza fra gli intenti strategici, le azioni implementate e le comunicazioni effettuate.

Il management deve essere anche in grado di dare l’esempio all’intera organizzazione, implementando in prima persona il cambiamento e gestendone direttamente le conseguenze.

Tra gli strumenti più utilizzati per velocizzare il processo di cambiamento vi è la costituzione di appositi team, gruppi di lavoro che hanno l’obiettivo di traghettare l’organizzazione verso lo “stable period”, attraverso la fase di cambiamento.

La prassi ha consentito di osservare nel tempo che, a prescindere dai contenuti dello specifico processo di cambiamento, gestire in più occasioni e contesti diversi le reazioni delle persone al cambiamento consente di

76

C. Dell’Aringa, G. Della Rocca, Razionalizzazione e relazioni industriali nella Pubblica

Amministrazione, Franco Angeli, Milano, 1999.

77 “L’organizzazione degli elementi e delle relazioni non è né causale né sovraordinata, bensì è il risultato delle scelte effettuate dalle persone che, con diversi ruoli e diverse responsabilità, sono impegnate nel governo dell’organizzazione” in S. Garzella, op. cit., 2005. Nello stesso senso si legga C.W. Hofer, D. Shendel, La formulazione della strategia aziendale, Franco Angeli, Milano, 1984.

avere pronti gli strumenti giusti, rodati e da personalizzare per fronteggiare le conseguenze di riorganizzazioni.

In linea generale è sempre opportuno definire i ruoli con chiarezza, distinguendo tra figure o funzioni che hanno la responsabilità di change

makers da quelle che sono, invece, di change agents78.

I primi sono rappresentati dalla dirigenza e dalle persone che, nei diversi uffici e funzioni, promuovono il cambiamento con comportamenti, stili, azioni ed atteggiamenti coerenti con il nuovo scenario organizzativo.

I change agents, invece, sono coloro cui è affidato il ruolo di pianificazione, supporto e realizzazione degli strumenti per il cambiamento.

All’interno dell’organizzazione possono essere individuati i ruoli critici dei processi di cambiamento:

• gli “innovatori”, vale a dire coloro che elaborano nuove idee e propongono nuove modalità di organizzazione;

• gli “analisti”, coloro che sanno elaborare la conoscenza necessaria per elaborare un piano, un progetto di cambiamento, sulla base delle risorse disponibili e dei modelli progettuali di riferimento;

• le “guide” del cambiamento, coloro che possiedono una competenza più pratica e sanno mobilitare le persone intorno al progetto, assegnando obiettivi e compiti individuali, salvaguardando il raggiungimento di fini organizzativi comuni.

Non sempre i ruoli coincidono nelle stesse figure; talvolta, infatti, coloro che possiedono una forte carica imprenditoriale o una chiara visione del futuro non riescono a elaborare un piano o a tradurre in modo concreto il progetto in piani e programmi operativi. Non sempre, inoltre, i ruoli critici sono unicamente quelli interni all’organizzazione.

Non esiste mobilitazione degli attori intorno ad un progetto, una responsabilizzazione attiva delle persone senza un loro coinvolgimento come agenti del cambiamento. Se si vuole che il sistema organizzativo evolva come un sistema e non come un insieme eterogeneo di parti sconnesse tra loro, occorre che le Amministrazioni individuino nel personale la principale fonte del valore aggiunto dei servizi offerti: il fattore chiave, nei processi di cambiamento organizzativo, è proprio la funzione di gestione delle risorse umane.

Gli enti pubblici scontano una carenza nello sviluppo di questa funzione, non riuscendo ad utilizzare al meglio le competenze possedute all’interno. La strategia di cambiamento deve far leva in modo deciso sull’utilizzo di questa funzione per assicurare una convergenza tra le aspettative, le capacità e le prospettive di sviluppo dei singoli e gli obiettivi di crescita dell’organizzazione. In quest’ottica, la partecipazione non si ottiene con la manipolazione culturale, con stili di direzione paternalisti o con un appello

alla “buona volontà” dei singoli, ma con la valorizzazione e il riconoscimento dei contributi forniti dai singoli.

Alle operazioni di riorganizzazione e alle sue diverse fasi, dalla negoziazione alla conclusione del processo, passando per gli stadi intermedi, partecipano attori con esigenze e ruoli diversi.

Gli stakeholders, interlocutori o portatori d’interessi, che “hanno una chiara posta in palio” nel processo di cambiamento, in analogia alla teoria degli

stakeholders di Freeman (1984), possono essere suddivisi in due gruppi79: 1. stakeholders primari, che rappresentano il sistema sociale che

interagisce con l’organizzazione e che sono rappresentati:

• dai dirigenti, tra cui si instaura il confronto circa la definizione dei nuovi indirizzi di gestione;

• dal personale coinvolto, interessato dal cambiamento organizzativo e culturale seguente all’operazione;

• dai cittadini, sui quali si rifletterebbero eventuali cambiamenti nel sistema e nei servizi80;

• dai fornitori, i cui rapporti potrebbero venir modificati, se non cessare del tutto, a seguito delle scelte della nuova organizzazione;

• dai sindacati, impegnati a salvaguardare gli interessi dei dipendenti;

da altre organizzazioni, che lavorano in partnership con l’ente che si riorganizza;

2. stakeholders secondari, che rappresentano il più vasto contesto

ambientale, verso cui esercitano solo rapporti d’influenza e che possono essere identificati con:

• le comunità locali;

• i gruppi di opinione, le associazioni, i movimenti;

i mass-media;

• i partiti politici e gli organi elettivi;

• le istituzioni;

• il tessuto economico - imprenditoriale.

Se gli effetti di un’operazione di cambiamento sono marginali sui comportamenti degli stakeholders secondari, divengono spesso dirompenti sugli stakeholders primari in quanto l’impatto sulle persone, sui processi e sul modo di lavorare è molto elevato e richiede un’attenta pianificazione e gestione dell’intero processo di cambiamento.

79

R.E. Freeman, Strategic management. A stakeholder approach, Pitman, New York, 1984. 80 V. Coda, op. cit., 1988.

1.5.4 Le criticità

Non tutte le operazioni di cambiamento si concludono con i risultati auspicati. È frequente, infatti, che le previsioni fatte ex-ante, sia per errori di stampo previsionale, sia a causa di una gestione inefficace, non si realizzino.

Quando le spinte al cambiamento hanno origine da mutamenti del quadro normativo, si suppone che l’impatto sull’organizzazione sia molto forte in quanto le resistenze dovrebbero essere vinte a priori dall’obbligatorietà delle azioni da porre in essere81.

Nonostante i fattori che determinano il successo o l’insuccesso di un mutamento siano legati alle caratteristiche delle singole operazioni e delle singole organizzazioni, analisi teoriche e esperienze concrete dimostrano che esistono fattori critici di successo con valore universale, che possono favorire l’accettazione, la collaborazione e lo sforzo comune per l’esito positivo di un cambiamento organizzativo come82:

• la condivisione e l’effettiva bontà della riorganizzazione;

• il possesso di riscontrate caratteristiche di flessibilità;

• precedenti esperienze di cambiamento, che evidenziano capacità di

change management già sviluppate;

• l’enfasi sull’innovazione;

• le competenze e la professionalità delle risorse umane, che aumentano le probabilità che si instaurino delle sinergie favorevoli;

• l’attenzione riservata alla gestione delle risorse umane per assicurare la fiducia e l’ottimismo necessari ad affrontare il cambiamento.

Così come sono state individuate delle caratteristiche propedeutiche al buon esito del cambiamento organizzativo, si possono evidenziare dei fattori di insuccesso nei processi di change management, che possono determinare una gestione errata o poco accurata del complesso processo di riforma oppure far perdere il focus su aspetti critici e specifici, quali:

• trasformazioni eccessive che non tengono nella giusta considerazione la necessità di adattamento ed integrazione nel passaggio dalla vecchia alla nuova modalità organizzativa;

• una diversificazione troppo spinta, rispetto alle attività istituzionali, attuata senza possedere le necessarie competenze;

• un numero eccessivo di cambiamenti in un arco di tempo troppo breve per poterne gestire accuratamente i diversi step.

Spesso i progetti di riforma, pur nella diversità di aree di intervento e di soggetti (Stato, Regioni altri enti, etc.), sono stati basati su una concezione giuridico - formale. Tale concezione porta a credere che, una volta fissata la “norma”, il percorso per arrivare ai risultati ne derivi di conseguenza.

81 R. Normann, Le condizioni di sviluppo delle imprese, Etas libri, Milano, 1978. 82

A. Gilardoni, A. Danovi, op. cit., 2000; P. Bastia, op. cit., 1996; F. D’Egidio, Il change management, Franco Angeli, Milano, 1993; J.P. Kotter, op. cit., 1998.

In realtà è assai più facile cambiare la norma che non cambiare i processi reali di un’organizzazione: la politica e la legislazione devono essere tempestivi, evitando di perdersi dietro alla molteplicità del reale.

Spesso gli innovatori e gli attori del cambiamento ignorano - o sono indotti a ignorare - la natura complessa delle organizzazioni83. Nelle riforme del settore pubblico, infatti, è prevalso un paradigma di tipo giuridico - formale, che descrive le organizzazioni come degli ordinamenti giuridici che funzionano come delle macchine, orientate, nel loro funzionamento, dalle norme84.

Questo approccio, se non accompagnato e integrato da altri, consente di modificare soltanto il livello istituzionale (la configurazione giuridico - formale), mentre non riesce a mutare né il livello organizzativo (processi, servizi, sistemi professionali, meccanismi operativi e di coordinamento) né quello cognitivo (le cognizioni sottostanti alle pratiche).

Il cambiamento impatta sul “sistema operativo” che include, da una parte, il progetto istituzionale e manageriale dell’organizzazione e, dall’altra, l’uso e l’abuso che i membri dell’organizzazione fanno di tale progetto85.

La “organizzazione reale” non è modificabile per editto perché contiene insieme sia i paradigmi dell’organizzazione formale sia quelli dell’organizzazione di fatto: essi in condizioni “normali” convivono tacitamente ma spesso si propongono come modelli divergenti o opposti nelle fasi di intenso cambiamento86.

Altro fattore critico è la dipendenza da percorso (path dependence). Il funzionamento dell’organizzazione dipende dall’ambiente nel quale opera, dalle persone, dalla sua storia, dal percorso e dall’eredità del passato: organizzazioni simili, ma in luoghi con storie e persone diverse, risponderanno in modo differente a uguali stimoli87.

Le organizzazioni, inoltre, sono immerse in un ordine istituzionale più ampio (embedded): le varie soluzioni raramente sono importabili da altri contesti organizzativi e geografici ed ipso facto implementabili nelle organizzazioni di casa propria, anche per la presenza del sistema di valori e di cognizioni largamente condiviso dalla cultura e dalla politica.

Di fronte al mutamento e anzi, proprio quando il mutamento è rapido e segna una soluzione di continuità con il passato, gli attori sociali e politici tendono, per ridurre l’incertezza, a far riferimento a schemi, modelli e comportamenti conosciuti e consolidati e, perciò, più affidabili88.

Proprio per questo, la complessità, nei grandi cambiamenti, del circuito fra potere, risorse e apprendimento, spesso genera un’inerzia che ostacola il raggiungimento dei risultati attesi, malgrado investimenti spesso ingenti per

83 J.G. March, J.P. Olsen, op. cit., 1992. 84

M. Catino, “Fatti e norme”, Studi Organizzativi, n. 2-3/2002.

85 E. Friedberg, “Il management del cambiamento: il contributo della sociologia dell’organizzazione”, Studi organizzativi, n. 1/2007.

86 F. Butera, op. cit., 1992. 87

G.F. Frassetto, op. cit., 2003.

riformare assetti di potere, con l’impiego di risorse materiali e conoscitive, nonché processi di formazione89.

Per concludere, quindi:

1. Le riforme legislative sono necessarie ma non sufficienti poiché il processo di realizzazione e di integrazione dei vari fattori presenta specificità, difficoltà e ostacoli90.

2. La complessità nella concezione di un servizio è elevata, poiché richiede innovazione di concezione, progettazione di sistemi tecnico organizzativi complessi, aderenza alle esigenze degli utenti, valutazione dei benefici e dei costi e benchmarking91. Ai fini della buona organizzazione di un servizio non è necessario ricorrere ad organigrammi o mansionari, che pure sono importanti. Sono invece determinanti le forme organizzative in cui prevalgono le dimensioni cooperative, comunicative e conoscitive di una comunità: l’organizzazione è un modo per condurre ad unità elementi dispersi, per suscitare e orientare energie, per comunicare, per creare e acquisire conoscenze.

3. L’innovazione tecnologica, a cui è stata spesso affidata la missione di cambiare quello che le leggi non riuscivano a modificare, si rivela quasi sempre incapace, da sola, ad assicurare lo sviluppo armonico della concezione e erogazione dei servizi. La tecnologia crea contesti di possibilità e percorsi di abilitazione, ma non sostituisce mai l’organizzazione. Ciò, purtroppo, non appartiene alla cultura, agli schemi contrattuali di fornitori e clienti di tecnologia, che assumono che “l’organizzazione seguirà l’innovazione”92.

4. È chiara la difficoltà a generare mobilitazione di capacità ed energia delle persone. Competenze e motivazioni delle persone, nelle nuove condizioni, vanno costruite nel tempo: “il prodotto del cambiamento sono le persone”93. Il cambiamento suscita resistenze politiche, sociali e culturali, apre possibilità inesplorate, modifica le relazioni dei soggetti: “il processo di cambiamento è un processo sociale che va gestito”94.

5. Vi è il problema di chi progetterà e realizzerà il cambiamento e come: a seconda dei vari fattori occorre scegliere fra modalità top-

down, bottom-up, center-down. Occorre scegliere oggetti e priorità

del cambiamento, definire il modo di procedere più appropriato e

89 G. Rebora, E. Minelli, “Il Change management. Un modello di lettura e interpretazione”, in Studi organizzativi, n. 1/2007.

90 S. Gherardi, A. Lippi, (a cura di), Tradurre le riforme in pratica, Cortina, Milano, 2000. 91

S. Capranico, In che cosa posso servirLa. Idee e cultura per le organizzazioni di servizio, Guerini, Milano, 1992; T. Pipan, Il labirinto dei servizi, Cortina, Milano, 1996.

92 A. De Maio, E. Bartezzaghi, O. Brivio, G. Zanarini, Informatica e processi decisionali, Franco Angeli, Milano, 1982.

93

R. Likert, Nuovi modelli di direzione aziendale, Franco Angeli, Milano, 1973. 94 C. Argyris, D. Schon, op. cit., 1998.

scegliere la struttura organizzativa a cui affidare la realizzazione del cambiamento.

Per la P.A. permane il dilemma fra la gestione dei processi di cambiamento con strutture organizzative interne oppure, attraverso l’outsourcing, con l’ausilio di società di consulenza.

La prima alternativa è spesso lenta e di incerto esito poiché genera, di solito, resistenze e vischiosità: le strutture interne, infatti, sono state disegnate per gestire e non per innovare. La seconda, spesso, non trasferisce conoscenze ed esperienze alla P.A. La soluzione è certamente in una terza via che veda protagoniste le forze interne e che utilizzi bene risorse esterne95.

In sostanza non è sufficiente fare una legge. È necessario “gestire il cambiamento”, che richiede una progettazione congiunta di tecnologia, persone, organizzazione e ambienti di lavoro e un’azione per cambiare prassi lavorative, culture, mentalità, competenze96.

Per analizzare le modalità di gestione di un cambiamento organizzativo è necessario porre attenzione sia sugli effetti e gli impatti che un mutamento provoca sulle risorse umane, sia sugli strumenti utilizzati per governarli.

95 N. Luhmann, Organizzazione e decisione, Bruno Mondadori, Milano, 2005. 96

L.E. Davis, Organization design, in G. Salvendy, Handbook of industrial engineering, Wiley, New York, 1982.

CAPITOLO II

Gestione delle risorse umane