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I modelli di interpretazione del cambiamento e di gestione dei processi di cambiamento organizzativo sono molti.

Il primo dei modelli di cambiamento organizzativo analizzato è quello di

Lewin (1954) che descrive la trasformazione organizzativa in tre fasi53: 1. lo scongelamento di norme e strutture (unfreezing);

2. il cambiamento vero e proprio (changing o moving); 3. il ricongelamento in strutture e regole nuove (refreezing).

Nella prima fase (unfreezing) vengono alla luce le opportunità offerte dal cambiamento, così da accrescere il senso d’urgenza nei confronti della possibilità di abbandonare i vecchi paradigmi per i nuovi. Nello specifico, lo “scongelamento” (unfreezing) consiste in:

• creazione di consapevolezza del bisogno di cambiare;

• creazione del clima adatto per cambiare;

• alterazione delle forze agenti sugli individui dell’organizzazione in modo che il loro “equilibrio” sia sufficientemente “sollecitato” per motivarne il cambiamento;

• azioni di pressione per attuare modifiche;

• azioni di riduzione delle resistenze.

Nella seconda fase (changing o moving), formato un gruppo con capacità e potere per condurre il processo, è necessario sviluppare la visione del cambiamento e una strategia per raggiungerla, assicurandone l’efficace comunicazione all’intera organizzazione. In particolare, il cambiamento o trasformazione (moving) prevede:

• modifica della “grandezza/importanza” delle forze che definiscono la situazione iniziale;

• presentazione di una “precisa direzione di cambiamento”;

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M. Crozier, Il fenomeno burocratico, Etas, Milano, 1969. 53 K. Lewin, op. cit., 1951.

• sviluppo di nuovi metodi e processi di apprendimento orientati alle nuove attitudini e comportamenti.

Nella terza fase (refreezing) si consolida il processo assicurandosi che il cambiamento venga istituzionalizzato e cristallizzato in una nuova cultura organizzativa. Il ricongelamento - ristrutturazione (refreezing) consiste, infine, in:

• rinforzo delle modifiche che sono avvenute;

• ri-creazione e mantenimento stabile del nuovo equilibrio organizzativo generato;

• azioni di facilitazione dell’integrazione;

• azioni di facilitazione dell’assimilazione del cambiamento nei singoli individui.

Queste tre fasi non discendono naturalmente l’una all’altra, ma devono essere attentamente programmate e sostenute con piani e azioni di medio e lungo periodo.

Sulla base di questo, Kanter (1983) formulò un modello che prevedeva tre passaggi fondamentali54:

1. crisi della tradizione;

2. presa di decisioni strategiche e avviamento delle prime mosse; 3. istituzionalizzazione dell’azione di cambiamento.

Più recente è il modello di Kotter (1998), che viene considerato da molti “il” modello della trasformazione organizzativa e prevede otto fasi55:

1. stabilire il senso dell’urgenza; 2. creare una coalizione guida;

3. sviluppare una vision e una strategia; 4. comunicare la visione del cambiamento;

5. potenziare un’azione generale di tutta l’organizzazione; 6. generare risultati di breve termine;

7. consolidare i profitti e produrre ulteriore cambiamento; 8. ancorare le innovazioni alla cultura organizzativa.

Biech (2007) invece, nonostante le trasformazioni che nell’arco degli anni

hanno interessato il modello di cambiamento originario - aumentandone il numero di fasi e modificandone il nome - ritiene che ci siano dei passaggi obbligati, il denominatore comune, affinché un processo di cambiamento organizzativo conduca a dei risultati concreti: in ogni singola fase occorre realizzare il completamento di distinte attività e calibrarle ad hoc, in considerazione delle specifiche situazioni organizzative analizzate56.

In seguito alla comparazione dei diversi modelli, l’autore presenta un modello di trasformazione organizzativa a sei fasi:

54 R.M. Kanter, The Change masters: innovation for productivity in the american corporation, Simon & Schuster, New York, 1983.

55 J.P. Kotter, Guidare il cambiamento, Etas libri, Milano, 1998. 56

E. Biech, Thriving through change: a leader’s practical guide to change mastery, ASTD Press, Alexandria, VA, 2007.

1. fase 1: sfidare lo stato attuale. In questa fase è importante che chi appartiene ad un’organizzazione coinvolta nel processo di cambiamento, riconosca la necessità che qualcosa debba essere gestito in modo diverso e preferisca un futuro che va verso uno

status quo di innovazione. Deve anche essere riconosciuto il fatto

che resistere al cambiamento, attuando strategie personali difensive della posizione, può procurare danni gravi all’organizzazione stessa. Generalmente questo processo viene avviato da qualcuno che è vicino al vertice dell’organizzazione e che identifica il bisogno di cambiamento (per un fabbisogno interno, per aggiornamento tecnologico, per le minacce dei competitor, per l’ambiente esterno, ecc.);

2. fase 2: armonizzare ed allineare la leadership. È importante comunicare a tutta l’organizzazione rispetto a che cosa e perché avverrà la trasformazione. Questo step consiste in due assi principali:

• allineare la leadership dell’organizzazione rispetto alla comprensione dei bisogni dell’organizzazione stessa;

• identificare il modo di sfidare tali bisogni attraverso una prospettiva sistemica;

3. fase 3: mobilitare l’impegno. In questa fase si passa dalla pianificazione alla programmazione; è importante il coinvolgimento dei dipendenti e la formazione di gruppi di lavoro, in cui si pianifica cosa cambiare e cosa mantenere. I leader si impegnano a costruire un gruppo unito, per garantire l’impegno di tutta l’organizzazione. Ai facilitatori della trasformazione, può esser richiesto di imparare o di inventare nuovi strumenti e/o tecniche;

4. fase 4: sviluppare e formalizzare un piano. In questo step si crea un programma formale di attività correlate agli obiettivi di cambiamento e a degli indicatori di risultato coerenti. Si adottano degli strumenti di indagine per formalizzare il processo di trasformazione culturale e verificarne oggettivamente i risultati nel tempo;

5. fase 5: guidare l’attuazione del piano. Questo è il passaggio del processo in cui è preponderante l’azione, affinché il processo attuato si muova in avanti. Gli obiettivi di breve termine dell’organizzazione saranno un importante risultato: costituiranno la prova che ciò che si intendeva raggiungere coi propri sforzi sta iniziando a dare i suoi frutti; ciò alimenterà la motivazione e accelererà l’attuazione delle azioni successive. È quindi importante fare dei risultati raggiunti un evento da testimoniare;

6. fase 6: valutare ed istituzionalizzare le trasformazioni. La realizzazione dei progetti e delle azioni volte ad una trasformazione è stata completata. È importante, in questa fase, incoraggiare le persone ad accettare il desiderio di cambiamento e le possibili variazioni in modo permanente. Le trasformazioni devono divenir

parte della cultura organizzativa, istituzionalizzate e trasformate in realtà.

Il metodo A.D.K.A.R. è, invece, uno dei modelli più noti per la messa a punto di un programma di change management, sviluppato da Prosci in seguito alla collaborazione di più di 1000 aziende di 59 paesi diversi57. Il modello individua i cinque punti fondamentali da utilizzare per la costruzione di un programma di change management:

1. awareness (consapevolezza): spiegare perché è necessario cambiare;

2. desire (desiderio/determinazione): attivare l’adesione proattiva delle

persone coinvolte;

3. knowledge (conoscenza pratica): come attuare il cambiamento;

4. ability (attitudine): costruire i nuovi profili e i nuovi comportamenti;

5. reinforcement (sostegno): sostenere/consolidare il cambiamento.

Si tratta, in pratica, di un utile strumento per verificare la copertura da parte dell’iniziativa di change management di tutti i punti fondamentali del programma.