il caso Agenzia delle Entrate
4.1 Il cambiamento nella e della Pubblica Amministrazione italiana
I profondi cambiamenti che hanno caratterizzato, negli ultimi anni, la società e lo scenario socio-economico, hanno definitivamente modificato il tradizionale e consolidato modello di Pubblica Amministrazione: sono nati nuovi bisogni, sia a livello di sistema, sia per singole categorie di cittadini, che hanno costretto le Amministrazioni ad adeguarsi e modificare intensamente le proprie modalità di funzionamento e quelle di approccio al cittadino1. Dagli anni novanta ad oggi i Governi che si sono succeduti in Italia si sono impegnati, con forte determinazione, nell’innovazione dell’apparato amministrativo e nel riordino delle strutture della P.A., con lo scopo di migliorare e ridefinire i rapporti istituzionali e quelli tra i cittadini e lo Stato.
La riforma del settore pubblico italiano, infatti, iniziata nel corso degli anni novanta, era divenuta ormai improrogabile. La necessità di migliorare l’organizzazione e le modalità di gestione era un’esigenza, non solo delle Amministrazioni pubbliche - le quali avvertivano l’urgenza di aumentare il rendimento istituzionale migliorando la qualità dei servizi erogati - ma soprattutto dei cittadini, degli imprenditori e dei portatori di interesse i quali, chiamati a confrontarsi quotidianamente con i servizi pubblici, erano diventati molto più attenti, informati ed esigenti rispetto al passato.
La P.A. vive, ancora oggi - senza soluzione di continuità e a distanza di venti anni dall’inizio dei processi di riforma - rilevanti trasformazioni, con una sostanziale spinta verso il federalismo amministrativo e la connessa applicazione di princìpi quali sussidiarietà e decentramento, finalizzati a migliorare l’efficacia e l’efficienza dei servizi, anche cogliendo al meglio le opportunità offerte dalle nuove tecnologie2.
Ampliare, modificare e migliorare la qualità e la quantità dei servizi erogati deve necessariamente coniugarsi con rilevanti mutamenti interni al sistema organizzativo, che vanno ad incidere significativamente sul lavoro pubblico.
Il confronto più o meno sistematico con i paesi esteri ha indicato una strada percorribile: riformare internamente la Pubblica Amministrazione, rendendola più flessibile ed adeguata al mutamento dei tempi.
Per attuare questo cambiamento, però, era necessaria una riorganizzazione che coinvolgesse le strutture, le modalità gestionali, le procedure e l’impostazione del lavoro, secondo i nuovi paradigmi gestionali del New
Public Management3 che preconizzavano l’avvento dello stato manageriale. Il mondo occidentale, infatti, negli anni ‘70, si trovava di fronte alla duplice sfida dell’inefficienza amministrativa e del deficit pubblico, con l’evidente
1 L. Hinna, F. Monteduro, Amministrazioni Pubbliche. Evoluzione e sistemi di gestione, Aracne Editrice, Roma, 2006.
2 E. Borgonovi, Princìpi e sistemi aziendali per le Amministrazioni Pubbliche, Egea, Milano, 2005; G. Negro, L’organizzazione snella nella Pubblica Amministrazione, Franco Angeli, Milano, 2005.
3 C. Pollit, G. Bouckaert, op. cit., 2001; M. Meneguzzo, “Ripensare la modernizzazione amministrativa e
il New Public Management. L’esperienza italiana: innovazione dal basso e sviluppo della governance locale”, Azienda Pubblica, n. 6/1997.
necessità di agire sulla qualità dei servizi, su una migliore amministrazione dei programmi di assistenza pubblica, promuovendo una maggiore e consapevole assunzione di responsabilità da parte dei funzionari.
Dagli anni ‘70 l’immagine dello Stato che dirige la società unilateralmente, con il monopolio del potere e della legislazione, viene messa in crisi: cade il sostegno al dirigismo centralista delle organizzazioni pubbliche e la globalizzazione dei commerci si è già avviata da tempo, ma è in questo periodo che, probabilmente, essa supera la sua soglia critica. La crisi economica indotta dall’aumento del prezzo del petrolio può considerarsi all’origine della crisi del tradizionale modo di pensare il settore pubblico nei paesi industrializzati. Si apre, insomma, il dibattito sulla P.A. e i suoi costi: al settore pubblico viene richiesto un recupero di efficienza4.
Gli anni ‘80 portano, in diversi settori produttivi, una notevole iniezione di cultura del mercato e della concorrenza. Nel settore delle banche e del trasporto aereo i cittadini si abituano a livelli di assistenza al cliente più alti. Le aspettative sulla qualità dei servizi salgono e si fa strada la consapevolezza che il modo migliore per fare progressi non è necessariamente attraverso l’attività di una costosa burocrazia statale - che, anzi, in un certo modo, viene delegittimata - mentre il settore privato (profit e no-profit) viene indefettibilmente rappresentato come il più efficace. A partire dagli anni ‘80, nei paesi anglosassoni, (a iniziare è stata la Nuova Zelanda) vengono avviate una serie di riforme della Pubblica Amministrazione ispirate a un nuovo paradigma. La spinta verso il cambiamento viene favorita dalle nuove agende politiche neoliberali che individueranno, nel mercato, le modalità organizzative più soddisfacenti. Gli imperativi del New Public Management spingono al perseguimento di una netta separazione fra funzioni politiche e funzioni più strettamente amministrative, all’introduzione della competizione e alla contrattualizzazione dei rapporti di fornitura di servizi pubblici, al ridimensionamento degli apparati amministrativi e alla loro divisione in unità organizzate per servizio o per prodotto, all’adozione di stili di gestione ispirati al management privato, alla definizione di standard di servizio formalizzati e facilmente verificabili, alla misurazione delle
performance e al controllo sui risultati5.
Quali che fossero i valori di riferimento del settore pubblico, l’aspirazione a riformarlo ha assunto le connotazioni di una “pandemia” e i valori del
New Public Management sono stati propagandati dalle più influenti
organizzazioni transnazionali (Ocse, Fmi e Banca mondiale), come il metodo brevettato per costruire governi e amministrazioni moderni6.
Le soluzioni pratiche volte ad ottenere questi cambiamenti sono la devoluzione di poteri verso la periferia, il controllo sugli apparati pubblici
4 P. Adinolfi, op. cit, 2004. 5
C. Pollit, G. Bouckaert, op. cit., 2001.
per favorire l’assunzione di responsabilità, la garanzia della libertà di scelta agli utenti, il miglioramento della gestione delle risorse umane, l’ottimizzazione delle potenzialità informatiche e il miglioramento nella qualità della regolazione.
Il New Public Management è una metodologia che si inscrive nelle teorizzazioni cosiddette dello “Stato minimo”, è un’affermazione della superiorità del settore privato ed è un tentativo di introdurre, nel pubblico, i meccanismi del mercato e della competizione: ne consegue, quindi, per l’Amministrazione pubblica, un ricorso all’iniziativa individuale, alle privatizzazioni e a meccanismi di mercato, considerati come promotori di efficienza ed efficacia dell’azione.
Il settore privato - i cui valori sono riassumibili nella dottrina delle tre “E”, efficacia, efficienza, economicità - “tende a essere migliore nello svolgimento di attività economiche, nell’innovazione, nel replicare gli esperimenti di successo, nell’adattarsi ai cambiamenti più rapidi, nell’abbandonare le attività obsolete e nello svolgere compiti complessi o ad alto contenuto tecnico”7.
Il New Public Management giunge a dispiegare la sua influenza nei paesi del Nord Europa (dove sfida i concetti della “probità del settore pubblico”), nell’area di influenza amministrativa tedesca (dove mette in crisi “l’obbedienza amministrativa di stampo prussiano”) e in Francia e nei paesi dell’area mediterranea (dove pone in discussione l’idea di “interesse generale” garantito dallo Stato).
I critici delle nuove tendenze privatistiche e manageriali si raccolgono sotto quello che viene definito il movimento della Traditional Public
Administration. Secondo questi oppositori del New Public Management, la
privatizzazione impedisce il lavoro di squadra nell’Amministrazione e annulla la dimensione etica del decision making pubblico. A lungo, tuttavia, nessuno è parso in grado di fornire nuove alternative al managerialismo anglosassone e chi contava su un rapido esaurimento delle spinte liberistiche indotte dall’internazionalizzazione è rimasto deluso. In ogni paese le teorie del New Public Management vengono filtrate e applicate con notevoli adattamenti alle peculiarità del caso e alle esigenze culturali locali. Non vi è dunque una tendenza globale verso un modello uniforme di New Public Management, i cui paradigmi non sono stati universalmente accettati. Nei paesi mittle europei e mediterranei, le idee di managerialità, di imprenditorialità privata e di mercato competitivo non sono state ancora pienamente adottate con uguale entusiasmo come modelli per il settore pubblico e, anzi, in alcuni contesti, soprattutto quello francese - dove la presenza dello Stato è, tradizionalmente molto sentita - vengono rifiutati con forza.
Il cambiamento dell’Amministrazione pubblica può avvenire solo tramite interventi contestuali, che consentano di governare in modo equilibrato la
dinamica del sistema, secondo una logica di processo capace di attivare “circoli virtuosi”.
Queste considerazioni preliminari inducono a ritenere che molti dei fallimenti nel rinnovamento della macchina dello Stato siano dovuti al fatto di “fare le cose corrette nel modo sbagliato”, ovvero di riporre eccessiva fiducia nei meccanismi, in presenza di una scarsa capacità di gestire processi in modo sistematico8. Se il cambiamento è il fattore di successo più determinante, in eguale misura è anche il più difficile da realizzare, non solo per la diversità degli attori “in gioco” ma, soprattutto, per la grande incertezza che ogni azione riformatrice genera.
Il modello organizzativo su cui si è scelto di basare la P.A. è stato, in passato, il modello burocratico9, che definisce un sistema organizzativo chiuso, dove le regole riducono al minimo i margini di autonomia e discrezionalità: per tutto ciò che non è possibile disciplinare in anticipo si ricorre alla gerarchia. Nel modello burocratico, per giungere ad una decisione, è necessario interessare l’intera catena gerarchica e questo determina la paralisi del processo decisionale.
Il cambiamento dell’Amministrazione pubblica, quindi, deve ricercarsi non tanto nella definizione di nuovi princìpi generali o di nuovi modelli ottimali, sicuramente più razionali, ma attuando soprattutto interventi capaci di rompere i “circoli viziosi”, agendo contestualmente sui vari elementi che compongono il sistema organizzativo10:
• sulla struttura di base: la scelta del modello organizzativo deve attribuire un’elevata autonomia decisionale, in quanto i soggetti che interpretano i ruoli organizzativi ai vari livelli concorrono all’ottenimento del risultato;
• sulla professionalità del personale, attraverso un sistema di selezione, di formazione e di sviluppo della professionalità che sposti l’attenzione:
a. dal contenuto di compiti, mansioni, funzioni, operazioni e atti alle relazioni che collegano gli stessi;
b. da una professionalità specialistica, competente e responsabile per le attività affidate, ad una capace di valutare e massimizzare il contributo che i processi gestiti danno al funzionamento generale della struttura organizzativa.
Le Amministrazioni dello Stato devono porsi, rispetto al cambiamento, come sistema “proattivo”, aperto alle sollecitazioni di un contesto esterno sempre più instabile e mutevole, mettendo in campo forte flessibilità strategica ed operativa attraverso un processo continuo di change
8
E. Borgonovi, op. cit., 2005.
9 R. Mele, Economia e gestione delle imprese di pubblici servizi tra regolamentazione e mercato, Cedam, Padova, 2003.
10 F. Butera, B. Dente, Change management nelle pubbliche amministrazioni. Una proposta, Franco Angeli, Milano, 2009; G. Rebora, “Reinventare l’Amministrazione”, Azienda pubblica, n. 3/1995; G. Rebora, “Il cambiamento organizzativo nella Pubblica Amministrazione”, Azienda pubblica, n. 1/1998.
management, da pianificare nel medio periodo e collegato con le strategie
di gestione delle risorse umane, nonché con i piani di azione funzionali11. Il modello scelto in Italia, per un effettivo e positivo cambiamento delle AA.PP., è quello dell’Agenzia, anche a seguito delle esperienze e dei risultati conseguiti da altri Paesi che lo hanno attuato, quali Spagna, Svezia, Gran Bretagna, Stati Uniti e Nuova Zelanda.
La creazione delle Agenzie fiscali e, nello specifico delle Entrate, ben si colloca in questo nuovo scenario caratterizzato, tra l’altro, dall’evoluzione dell’economia dei servizi che è sempre più basata sull’informazione e sulla conoscenza, nella quale il valore e la ricchezza non sono più creati solo dalle tecnologie o dai brevetti, ma dalle competenze che risiedono nell’organizzazione e nelle sue persone12.
Da una logica di tipo burocratico, fortemente legata a criteri politico- amministrativi, si è passati ad una visione di stampo aziendale che punta alla semplificazione dell’azione amministrativa ed all’orientamento delle scelte strategiche delle Amministrazioni centrali e periferiche verso il perseguimento di obiettivi di performance e di soddisfacimento dei bisogni dei cittadini, fruitori dei servizi.
Questa differente visione ha generato l’introduzione di una nuova cultura gestionale e, con essa, di nuove forme di gestione dei servizi13.
Si può allora asserire che la risposta alle inefficienze manifestate in diversi casi dalla P.A. possa essere:
• ove possibile, un’esternalizzazione delle attività a soggetti con requisiti e modalità operative più consone alla soddisfazione delle esigenze della collettività (ricorso al mercato e a meccanismi concorrenziali);
• in altri casi, un vero e proprio cambiamento di mentalità e un’apertura verso forme di gestione più flessibili e meglio rispondenti agli obiettivi prefissati (nuovi modelli organizzativi e innovative modalità di gestione).
È in questa seconda prospettiva che, nell’ambito dell’Amministrazione finanziaria dello Stato, si è assistito al passaggio dal modello di “governance dipartimentale” al modello di “governance d’Agenzia”.
Con la creazione degli uffici unici delle Entrate del Ministero delle Finanze - che attivò un processo pluriennale per riorientare l’Amministrazione al servizio e ai cittadini, avviando progetti integrati di carattere legislativo, organizzativo, tecnologico, formativo - è stata adottata una metodologia che affronta sia gli aspetti hard che soft dell’innovazione e del cambiamento, ossia la struttura e i processi sociali del mutamento, che
11
Cfr. M. Carceri, R. Cattaneo (a cura di), Cambiare la Pubblica Amministrazione, Laterza, Bari, 1999; P.R. Lawrence, J.W. Lorsch, Come organizzare le aziende per affrontare i cambiamenti tecnico-
produttivi e ambientali, Franco Angeli, Milano, 1976.
12 L. Fumagalli, P. Di Cioccio, L’outsourcing e i nuovi scenari della terziarizzazione. La centralità delle
persone nelle aziende di servizi, Franco Angeli, Milano, 2002.
coinvolge tutto il personale dell’Amministrazione finanziaria in un processo di miglioramento delle modalità di lavoro e delle competenze individuali e che ha permesso di sviluppare l’attitudine ad assumersi la responsabilità della riforma.
La scelta del modello e lo sviluppo del personale sono gli elementi che un’organizzazione pubblica deve riconoscere come trainanti e determinanti di un processo di cambiamento, estremamente complicato, ma necessario e non più derogabile, in quanto sono molteplici le richieste per un’Amministrazione adeguata al mutare dei tempi, più trasparente, efficiente e moderna, capace di rispondere alle esigenze dei cittadini.
In base a queste premesse - attraverso la metodologia dello studio di caso, illustrata nel III capitolo - questo lavoro prosegue esaminando la gestione del cambiamento organizzativo, che ha portato alla separazione delle attività operative da quelle politiche in seno al Ministero delle Finanze attraverso la creazione delle Agenzia fiscali (nello specifico si analizzerà l’Agenzia delle Entrate), nonché i possibili modelli di sviluppo delle competenze del personale pubblico rilevando, in concreto, l’applicazione di un approccio di gestione competence based attraverso la costruzione e l’uso del modello delle competenze presso le Entrate.
La trattazione del caso, quindi, mette in luce la centralità delle persone, vere protagoniste del cambiamento: un’attenta gestione del personale, durante il processo di trasformazione, ha permesso di raggiungere l’accettazione del cambiamento e un buon livello di integrazione, governando, al meglio, le resistenze al mutamento emerse o latenti.