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1.5 I processi di cambiamento

1.5.2 La gestione del cambiamento

Un processo di cambiamento, per sua natura complesso e non sempre prevedibile, deve essere dotato della giusta flessibilità, proponendo percorsi alternativi ed occasioni di feedback, così da poter essere corretto in itinere, coerentemente con l’evolversi delle variabili interne ed esterne all’organizzazione, assicurando la lungimiranza appropriata.

Uno degli aspetti più critici nella gestione di un cambiamento entra in gioco ancora prima che il processo abbia inizio, poiché risiede nella capacità di individuare il momento giusto in cui cambiare.

Nonostante possa essere estremamente difficile individuare il momento ottimale, il management o l’Autorità politica competenti dovrebbero riuscire, in tempo utile, a ravvisare la necessità o la convenienza al mutamento.

La gestione di processi di riforma richiede, quindi, sempre più la capacità di equilibrare i vari elementi organizzativi75. Implica, dunque, un approccio strutturato, un impegno diretto del management di linea per assicurare lo sviluppo integrato di persone, cultura, processi organizzativi, strutture e tecnologie attraverso l’integrazione di leve:

“hard” quali, ad esempio, riprogettazione di servizi e/o di attività a basso valore aggiunto, outsourcing di attività e di servizi che possono essere “acquistati” a minor costo, pre-pensionamenti, mobilità, downsizing, ristrutturazioni, reengineering delle attività che sono strategicamente troppo importanti da esternalizzare;

“soft” come valorizzazione del capitale umano e del know-how accumulato, ottimizzazione delle competenze e dei punti forti delle risorse umane, empowerment, investimenti in innovazione, espansione delle capacità ideative e intellettive, delle competenze specialistiche, reingegnerizzazione dei sistemi gestionali attraverso introduzione di maggiore partecipazione, coinvolgimento,

teamworking, coesione, creazione dell’identità organizzativa

attraverso i “valori-guida”.

Un processo di successo dovrebbe essere fedele all’idea che il cambiamento non può avvenire semplicemente per “forzature”, ma richiede il rispetto di alcune fasi. Le azioni ritenute opportune per una corretta gestione del cambiamento andrebbero ordinate logicamente e cronologicamente in relazione alle specifiche caratteristiche dell’organizzazione. Al tempo stesso è necessario essere pronti a verificare, nel concreto, l’efficacia delle azioni implementate e, ove necessario, rimodulare il programma.

Affinché il cambiamento possa avere caratteristiche di successo, è fondamentale che i vertici siano pienamente responsabilizzati sugli obiettivi del processo di cambiamento. Dall’inizio il management, in modo

75

J.D. Duck, “Managing change: the art of balancing”, Harvard Buiness Review, novembre - dicembre, 1993.

visibile e chiaro, deve far propria la filosofia che permea il processo di cambiamento in corso e dimostrare, con i fatti, la propria coerenza, anche adottando scelte difficili e, a volte, impopolari.

Nella gestione del cambiamento possiamo distinguere 5 fasi:

1. Definire il cambiamento necessario. Nella prima fase vanno stabiliti:

• la nuova direzione, e una sua dettagliata focalizzazione,

• il livello di percezione individuale e collettivo delle cose da cambiare (sistemi, processi produttivi/organizzativi, procedure),

• i passi del piano di cambiamento e una “rotta” preliminare,

• una chiara comunicazione dell’obiettivo del cambiamento,

• il “ritmo” del cambiamento, attraverso una specificazione di obiettivi collaterali,

• una chiara visione di “cosa cambiare” e “come cambiarlo”, per evitare false partenze e sforzi inutili.

2. Raccogliere informazioni. Nella seconda fase vanno eseguite:

• la costante e accurata ricerca di informazioni “di rilievo o significative”,

• la continua esplorazione di nuove opzioni, all’interno della direzione descritta,

• la riformulazione dell’agenda del cambiamento, in funzione dei dati raccolti,

• la raccolta di tutti i suggerimenti e le idee possibili del personale interessato, sia per individuare “punti vulnerabili”, sia per individuare “risorse-chiave” (indagini e valutazioni sulle attitudini e le prassi correnti),

• la raccolta di tutti i possibili problemi “di prospettiva” (operativi e/o gestionali), per chiarire meglio i futuri impegni e le strategie di risposta, anche attraverso il testing di alcune possibilità,

• la composizione di eventuali conflitti, anche attraverso il superamento di paure infondate.

3. Effettuare diagnosi organizzative. Nella terza fase di un processo di cambiamento vanno individuate:

• le principali barriere all’innovazione, non tralasciando i “punti vulnerabili”,

gli strumenti di diagnosi più adatti (workshop, audit, formazione,

brainstorming),

• i potenziali problemi dei singoli individui (come funzioni, gruppi o unità di lavoro), in ottica di anticipazione (diagnosi pro e contro, analisi dei punti di resistenza e di approvazione, analisi delle ragioni),

i possibili “partner attivi” nel cambiamento,

• gli eventuali problemi di maggior costo economico e/o comportamentale per l’organizzazione e i fattori che creano un migliore equilibrio per le attività,

• gli spazi per dialoghi aperti di “confronto”,

gli orientamenti per finalizzare lo sforzo del team su tematiche, strategie e obiettivi, piuttosto che sulle “necessità delle personalità in gioco”.

4. Risolvere problemi. Nella quarta fase vanno indirizzati:

• i comportamenti creativi, aperti e flessibili,

• l’impegno delle persone per la soluzione di problemi visti come ostacoli al cambiamento o all’innovazione di prodotti o processi,

i percorsi di sviluppo individuale e di team,

• i corretti interventi e le loro priorità per costruire e mantenere “la tensione sufficiente” allo sforzo,

• i suggerimenti più “ascoltati” dai diretti interessati al cambiamento, attraverso analisi della situazione attuale e di quella desiderata, per ridurre il divario (gap) esistente.

5. Pianificare le azioni. Nella quinta fase vanno chiaramente definiti:

• i singoli passi di lavoro, in modo da renderli più agevoli nell’implementazione,

• i segmenti specifici di ogni attività, suddividendole in parti piccole e separate tra loro,

gli output desiderati e/o necessari per ogni attività,

• gli obiettivi da raggiungere, specifici, realistici, sfidanti, misurabili,

• le azioni da realizzare per ogni obiettivo,

i tempi di consegna e gli step intermedi,

• le gli obiettivi quantitativi da raggiungere e la qualità attesa.

Infine, in base alla direzione dell’implementazione del processo, la gestione del cambiamento può essere:

1. top-down: il cambiamento viene iniziato ai più alti livelli

manageriali, che devono aiutare e sostenere i programmi ai vari livelli organizzativi, oltre a promuovere il pieno coinvolgimento di tutte le popolazioni aziendali interessate (processo di emulazione); 2. bottom-up: il cambiamento viene iniziato ai più bassi livelli

operativi, il top management può non essere coinvolto direttamente, ma deve permettere i cambiamenti necessari (processo di delega operativa);

3. mista: il cambiamento viene iniziato ai medi livelli manageriali, a livello di impostazione, con contemporanee comunicazioni verso l’alto (richiesta di suggerimenti/autorizzazioni per scelte definitive) e verso il basso (realizzazione dei dettagli operativi dei cambiamenti produttivi od organizzativi).