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LA PROVA UNICA O DETERMINANTE

IL CONTRADDITTORIO E LA PROVA IRRIPETIBILE NELLA CONVENZIONE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

2.2. LA PROVA UNICA O DETERMINANTE

Qualora l’imputato non abbia avuto nessuna possibilità di interrogare il dichiarante, in nessuna fase del procedimento, viene in gioco la seconda deroga al contraddittorio: l’eventuale ruolo marginale della conoscenza nel quadro probatorio circoscrive l’effetto pregiudizievole che la deposizione “viziata” esercita sui diritti della difesa, non essendo questa stata determinante ai fini della condanna dell’imputato. È noto, tra l’altro, che la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali non manifesta in alcuna guisa l’uso di termini o perifrasi che alludano al concetto di decisività della prova, così come non contiene riferimenti

condanna erano sì state rese dal minore vittima di reati sessuali alla polizia giudiziaria, ma erano state assunte sulla scorta delle domande preventivamente indicate dall’avvocato dell’imputato, il quale, dopo aver ascoltato la registrazione dell’audizione, si era detto addirittura soddisfatto delle modalità di svolgimento della stessa, in Zacchè, Il diritto al confronto nella giurisprudenza europea, cit. , p. 212

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Lonati, Il diritto dell’accusato di interrogare o far interrogare le fonti di prova a

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all’occasione di confronto di cui sopra. La prima sentenza che abbia gettato il seme del concetto di prova determinante, secondo le affermazioni della medesima Corte EDU, sarebbe quella emessa nel caso Unterpetinger c. Austria del 1986. È a quest’epoca che la Corte di Strasburgo inizia a ragionare in termini compiuti sull’idea per cui qualora la condanna di un imputato sia stata basata in modo esclusivo o determinante su prove formate da testimoni che l’imputato non è stato in grado di controesaminare durante il procedimento, i diritti della difesa risultano limitati in modo incompatibile con l’art. 6, comma 3, lett. d, CEDU. Il dato inaffidabile non viene espunto, ma trattato con cautela. L’ammissione come prova di dichiarazioni assunte senza contraddittorio non risulta mai di per sé stessa in contrasto con il diritto di interrogare i testimoni a carico, ma ciò che conta è il loro concreto rilievo probatorio nell’accertamento della responsabilità dell’imputato271. Ciò che conta non è la violazione formale del diritto al controesame, ma il risultato probatorio complessivo che scaturisce dall’istruttoria dibattimentale e che viene a fondare il convincimento del giudice: utilizzabilità si, ma a patto che non condizioni troppo l’affermazione di responsabilità dell’imputato. Tuttavia, il principio dell’inutilizzabilità limitata, apparentemente limpido e lineare, è, in realtà, sfuggente: nella progressiva elaborazione dottrinale il concetto di prova determinante o decisiva

271 Lonati, Il diritto del’accusato, cit. , p. 353. Non potrebbe essere altrimenti visto che la Convenzione europea non intende imporre un determinato modello processuale, sancendo regole uniformi di acquisizione delle prove, ma interviene al momento conclusivo del procedimento probatorio, quello valutativo, quanto basta per tutelare le garanzie della persona sottoposta a procedimento penale. Tale approccio, tra l’altro, si pone agli antipodi rispetto alla nostra impostazione in materia, per la quale l’assenza di contraddittorio per lo più impedisce alla prova unilaterale di confluire nel materiale consultabile dal giudice, più che di modulare il suo valore in un momento successivo. Cosi Biral, L’overall examination: nuove

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risulta di ardua definizione e di difficile gestione concreta, radicato come appare sullo scivoloso terreno della valutazione della prova medesima e del peso effettivo da essa assunto nella decisione del caso272. Mentre, infatti, la locuzione “prova unica” non solleva questioni interpretative, dal momento che evoca un mezzo probatorio che, da solo, regge la condanna, la formula “prova determinante” schiude impervi percorsi esegetici. Premesso che, ad avviso della Corte europea, la sole or decisive rule ha valore generale ed opera anche qualora il contraddittorio sia divenuto impossibile per irreperibilità, morte o grave infermità del dichiarante, il problema è capire come interpretare tale regola. Infatti o la colpevolezza è già provata, indipendentemente dalla dichiarazione irripetibile, e allora quest’ultima, più che non determinante, risulta superflua. Oppure non lo sarebbe in assenza della medesima dichiarazione, e allora questa appare determinante, al pari di ogni prova che abbia in qualche modo influito sulla decisione. A rigore qualsiasi prova, che non sia superflua o sovrabbondante, è determinante nel senso che concorre a fondare, quindi a determinare la condanna273. Evidentemente non può essere questa la nozione scelta dalla Corte europea che, altrimenti, si sarebbe spinta a vietare radicalmente l’uso ai fini della condanna di ogni dichiarazione irripetibile. La prassi della Corte europea ha ampiamente dimostrato come la valutazione circa la decisività del materiale probatorio sia in realtà ampiamente discrezionale. Fin dall’inizio del periodo di attività della Corte, essa è stata intesa con una varietà di modulazioni che vanno dal criterio

della <<prova di resistenza>> a quello della <<lettura congiunta>>. Il primo approccio, preferito in dottrina, in quanto ritenuto idoneo a

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Valentini, Contraddittorio, immediatezza, oralità, cit. , p. 20 273 Ferrua, La prova nel processo penale, cit., p. 245

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contenere il parametro all’interno di confini ben definiti, dunque, maggiormente conforme allo spirito della Convenzione, impone di effettuare un delicato ragionamento ipotetico. Tra le varie prove richiamate nelle decisioni nazionali, la Corte europea deve sottrarre le dichiarazioni del testimone che il ricorrente non ha potuto esaminare. Se, dopo tale eliminazione, la condanna risulti supportata ancora da sufficienti elementi, si dovrà escludere il carattere determinante della prova oggetto di valutazione e, dunque, concludere per il rispetto del diritto al confronto. Ove, dopo tale operazione mentale, l’affermazione di colpevolezza non regga, allora si imporranno opposte conclusioni274. Secondo questo approccio, sono determinanti quelli atti dichiarativi unilateralmente assunti che, in presenza di riscontri a loro volta non autonomi, siano stati impiegati per statuire sulla responsabilità, sia quelli che fungano da unici riscontri esterni a prove che, da sole, non basterebbero ad affermare la colpevolezza275. Allo stesso modo si devono considerare determinanti, qualora gli elementi di conferma alle dichiarazioni unilaterali emergano da una prova di analoga natura, e quindi affetta da analoga incompletezza276. Dunque, non si può credere che la semplice sussistenza di altri elementi di riscontro valga ad impedire che la dichiarazione unilaterale costituisca la prova decisiva per la condanna. Determinante, in altre parole, è la prova che ha influito in misura preminente sulla condanna, pur nella vaghezza irriducibile del

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Tamietti, il diritto di interrogare i testimoni tra Convenzione europea e

Costituzione italiana, cit., p. 510

275 Cesari, Dichiarazioni irripetibili e metodo dialettico, cit., p. 261 276

Silvestri, Teste irreperibile e valutazione delle dichiarazioni predibattimentali, cit., p. 293

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termine277. Il secondo approccio, spesso seguito in giurisprudenza, implica una

concezione della decisività più sfumata, elastica e malleabile: non si tratta più di eliminare virtualmente la prova, ma di considerarla unitariamente alle altre risultanze disponibili. È sufficiente, secondo l’impostazione in parola, che la condanna sia fondata anche su altre prove e non occorre che queste siano da sole sufficienti a condannare, possono assumere significato finanche come semplice

riscontro della dichiarazione del testimone assente278. La Corte finisce così con l’accontentarsi della semplice presenza di

ulteriori risultanze, senza prestare attenzione all’incidenza delle stesse nell’economia della decisione: in presenza di elementi tutti convergenti verso il medesimo risultato è assai facile far perno sull’uno piuttosto che sull’altro nella valutazione della decisività279. Ciò che assume rilevanza ai fini del rispetto dei principi del giusto processo è la presenza di molteplici conferme del contenuto delle dichiarazioni: quando si è in presenza di un sistema coerente di

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In Corte eur. dir. uomo, 30 novembre 2000, Vella c. Italia (ricorso n. 48388/99) i giudici presero in considerazione le gravi dichiarazioni accusatorie di un coimputato in procedimento connesso che nel dibattimento si era avvalso della facoltà di non rispondere. La Corte concluse per la manifesta infondatezza del ricorso osservando che le sentenze di merito si fondavano anche su intercettazioni ambientali e sulle affermazioni di tre altri testimoni che il ricorrente aveva potuto contro-interrogare. Tali elementi sarebbero stati presumibilmente sufficienti, da soli, a giustificare la condanna. In senso analogo v.anche C. eur. dir. umani, 8 marzo 2001, P.m. c. Italia, ricorso n. 43625/98. Nel giungere ad una pronuncia di non violazione, la Corte ha attribuito decisiva importanza, inter alia, al fatto che le dichiarazioni non fossero l’unica fonte di prova a carico dell’imputato in C. eur. dir. umani, 26 aprile 1991, Asch c. Austria, cit., 11, par. 30; C. eur. dir. umani, 19 febbraio 1991, Isgrò c. Italia, cit., 13, par. 35;

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Tonini, Il testimone irreperibile: la Cassazione si adegua a Strasburgo ed estende

l’ammissibilità dell’incidente probatorio, cit., p. 885. In Corte eur. dir. uomo, 8

febbraio 2007, Kollcaku c. Italia, la Corte ha escluso la violazione dell’art. 6 della Convenzione perché alle dichiarazioni unilaterali si accompagnavano altri elementi 279

Conti, Le dichiarazioni del testimone irreperibile: l’eterno ritorno dei riscontri tra

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elementi probatori, ciò che assume una valenza dimostrativa determinante è il risultato della dialettica dibattimentale nella sua globalità, e non ciascuna delle sue componenti, in sé considerata280. Questo, in sostanza, è il presupposto logico implicito nel riconoscimento, da parte della Corte, che la condanna pronunciata dal giudice nazionale, in casi del genere, non si basa in misura determinante sulle dichiarazioni acquisite da una sola delle parti. Stando a tale approccio, le osservazioni svolte in precedenza vengono capovolte: possono fungere da riscontro anche elementi affetti dallo stesso vizio genetico della prova “incriminata”, tanto da ammettere la

mutual corroboration tra contributi di due testimoni assenti281. La Corte europea, tra l’altro, si è mostrata flessibile anche nella valutazione circa l’oggetto della corroboration: cioè se la deposizione non sottoposta al vaglio difensivo debba considerarsi utilizzabile solo ove risultino confermate le circostanze in essa contenute, o se possa bastare una conferma più generica del quadro d’accusa, o se, infine, sia sufficiente una corroborazione meramente soggettiva, riguardante, solo l’attendibilità del dichiarante282. È evidente che, man mano che si sfuma l’accezione del termine, aumenta la possibilità di utilizzare le dichiarazioni unilaterali ai fini della condanna.

280 Balsamo, Ancora su contumacia e dichiarazioni predibattimentali, Cass. pen., 2007, p. 3096

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In Corte eur. dir. uomo, 26 aprile 1991, Asch c. Austria è stata, ad esempio, ritenuta un valido riscontro alle affermazioni unilaterali utilizzate in decisione la testimonianza de relato dell’agente di polizia che aveva raccolto le dichiarazioni della vittima

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Biral, L’overall examination: nuove frontiere sul diritto a confrontarsi con i

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Del resto, la giurisprudenza europea si accontenterebbe di una versione ridotta del diritto a confrontarsi con l’accusatore essenzialmente per due ragioni. Da un lato, deve tener presente che in tutta Europa (fatta eccezione per Inghilterra e Italia) esiste ancora il modello misto napoleonico ed è vigente il principio inquisitorio secondo cui le dichiarazioni raccolte in segreto sono utilizzabili in dibattimento. Dall’altro lato, la Corte europea opera una valutazione equitativa, cioè tiene conto se la singola violazione della Convenzione sia stata compensata da altre garanzie, di modo che nel complesso possa ritenersi attuato il giusto processo283.

3. L’IMPATTO DELLA C.E.D.U. SULLA DISCIPLINA INTERNA