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GLI ULTERIORI SVILUPPI DEL “NUOVO ORIENTAMENTO” E L’IMPATTO SULL’ORDINAMENTO ITALIANO

UNITO E LE SUCCESSIVE IMPLICAZIONI OPERATIVE

4.3. GLI ULTERIORI SVILUPPI DEL “NUOVO ORIENTAMENTO” E L’IMPATTO SULL’ORDINAMENTO ITALIANO

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In tal senso Biral, L’overall examination, cit., p. 17, avverte come sia preoccupante che la Grande Camera tra le garanzie procedurali annovera la possibilità per l’accusato di dare la propria versione dei fatti e quella di chiamare a deporre i testimoni a discarico. Nel primo caso, pretendendo dall’imputato che si difenda fornendo la propria ricostruzione della vicenda storica, si attenta ad un principio cardine del processo, qual è il diritto al silenzio dell’imputato. Nel secondo caso, richiedendo allo stesso di fornire la controprova rispetto alla tesi accusatoria, si rovescia la regola per cui l’onere della mancata prova è a carico dell’accusatore 328

BIral, L’overall examination, cit., p. 18. L’A. sottolinea come tra I motivi che giustificano il recupero delle dichiarazioni predibattimentali viene spesso annoverato “l’interesse della giustizia” formula che potrebbe innescare un preoccupante effetto a cascata: “ oggi, in ragione di questa logica, si chiede di non applicare in maniera inflessibile la regola di valutazione che vieta di fondare la condanna su dichiarazioni unilaterali; domani, in nome dell’interesse al perseguimento dei reati, qualche altra garanzia potrebbe perdersi per strada”. Preoccupazione smentita nei fatti dalle successive applicazioni di cui si può dare un anticipo: nella sent. 6 settembre 2018, Dadayan c. Armenia, il ricorrente, accusato di favoreggiamento al contrabbando di uranio, sosteneva di essere stato condannato sulla base delle dichiarazioni accusatorie rese dai due contrabbandieri (processati in Georgia) nel corso delle indagini preliminari. Dopo aver effettuato il test elaborato dalla Corte in tema di testimoni assenti la C.edu ha accolto tale doglianza, riscontrando la violazione dell’art. 6 comma 1 e 3 lett. d Cedu. Da un lato, a fronte del rifiuto da parte del Ministro della Giustizia georgiano di autorizzare il trasferimento dei testimoni, le autorità armene non avevano compiuto tutti gli sforzi necessari per assicurare al ricorrente il diritto al confronto (ad es. tramite un’audizione mediante videoconferenza). Dall’altro, i giudici nazionali non avevano adottato le opportune cautele nel valutare tali dichiarazioni accusatorie. In definitiva, le dichiarazioni rese dai due contrabbandieri erano state utilizzate in maniera determinante ai fini della condanna in assenza di garanzie procedurali idonee a riequilibrare il deficit di dialetticità.

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Fin da subito, nelle sue successive pronunce, il giudice europeo ha mostrato di adoperare in modo altalenante i principi elaborati nel 2011. Alcuni esempi329 sono offerti dalle sentenze Trymbach c. Ucraina del 12 gennaio 2012, Nechto c. Russia del 24 gennaio 2012, Sarkizov c. Bulgaria del 17 aprile 2012. Nelle prime due la Corte ha ribadito che il diritto di difesa è ristretto in modo incompatibile con le garanzie previste dall’art. 6 CEDU, qualora una condanna si basi esclusivamente o in misura decisiva su dichiarazioni rese da una persona che l’accusato non abbia avuto l’opportunità di esaminare in nessuno stato del procedimento. Nell’ultima, la Corte, nonostante abbia ricordato in via di principio l’insegnamento della Grande Camera a proposito dell’equità complessiva del procedimento, ha poi di fatto confermato il principio generale, escludendo la violazione dell’art. 6 CEDU perché nel caso concreto le dichiarazioni rese dal testimone assente non erano state determinanti per la condanna. A pronunce di questo tipo si alternano altre in cui, al contrario, si utilizza l’Al-Khawaja test, e in particolare quell’accezione di garanzie procedurali come elementi di corroborazione delle dichiarazioni unilaterali determinanti. È il caso, ad esempio della sent. Tseber c. Repubblica Ceca del 22 novembre 2012, in cui la Corte ha ritenuto che il carattere determinante della deposizione della persona offesa divenuta poi irreperibile, in assenza di prove solide idonee a corroborarla, implichi la conclusione che i giudici nazionali non abbiano potuto valutare correttamente ed equamente l’attendibilità di tale prova330. Nella sent. Gani c. Spagna del 19 febbraio 2013,

329 Sono citate da Casiraghi, I testimoni assenti, cit., p. 3131

330 La sentenza è citata da Balsamo, La Corte di Strasburgo e i testimoni assenti, cit., p. 2845. Il principale elemento di prova a carico era rappresentato dalle dichiarazioni rese dalla vittima escussa nell’ospedale in cui si trovava ricoverata, la quale aveva indicato il ricorrente come autore dell’aggressione da lui subita nella sua abitazione, per mezzo di un’arma da fuoco. Nel corso dell’istruttoria

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sembrerebbe essere stato utilizzato lo stesso ragionamento, pur con esito rovesciato, dal momento che era stata ritenuta insussistente la violazione del diritto al confronto per la conferma che le dichiarazioni unilaterali ricevevano dal restante materiale probatorio331. In realtà, la decisione si spiega in una diversa prospettiva, ben dichiarata all’interno della sentenza: il ricorrente aveva avuto l’occasione di interrogare la vittima, durante le indagini preliminari, ma a questa occasione di confutazione aveva di fatto rinunciato, posto che il difensore, pur regolarmente convocato, risultava assente

all’interrogatorio, senza addurre alcuna giustificazione332. Alla luce di questo sintetico panorama giurisprudenziale, urgeva

qualche chiarimento circa il corretto utilizzo dell’ Al-Khawaja test, in

dibattimentale era stato sentito un amico della vittima che aveva riferito che, circa mezz’ora prima dell’aggressione, aveva incontrato in un bar l’imputato, armato e piuttosto scostante nell’atteggiamento. Queste ultime dichiarazioni non erano state considerate idonee a suffragare la tesi accusatoria. Allo stesso modo si è proceduto nella sent. c. eur. dir. uomo 10 luglio 2018, İshak Sağlam c. Turchia. La condanna del ricorrente in sede nazionale si era basata su dichiarazioni non formate in contraddittorio, senza che, in alcuna fase del procedimento, fosse data la possibilità agli imputati di esaminare i testimoni a carico. Alla luce del c.d. Al-Khawaja test, i giudici di Strasburgo hanno accertato: i) che non vi erano ragioni per giustificare l’assenza dei testimoni dal dibattimento; ii) che le dichiarazioni d’accusa dei testimoni assenti avevano avuto natura decisiva ai fini della condanna; iii) che non era stato approntato, in favore della difesa, alcuno strumento volto a riequilibrare il contradittorio mancato

331 Balsamo, La Corte di Strasburgo e i testimoni assenti, cit., p. 2844. Il ricorrente era stato accusato di aver sequestrato, torturato e stuprato l’ex compagna ed era stato condannato sulla base essenzialmente delle dichiarazioni a suo tempo rese alla polizia da parte della vittima, la quale non era stata in grado di completare la sua deposizione in dibattimento per il forte trauma psichico riportato a seguito delle violenze subite. Gli elementi che erano stati considerati per supportare l’attendibilità del testimone assente erano tutti di natura indiziaria: il fatto che era stata ritrovata con indosso abiti dell’uomo; la logicità dell’esposizione del suo racconto in contrapposizione alle contraddizioni contenute in quello del ricorrente; la natura delle lesioni subite, accuratamente accertate da esperti, compatibili con le violenze che aveva dichiarato di aver subito; la coincidenza della deposizione, seppur incompleta, resa dalla vittima nel corso dell’udienza con quella resa durante le indagini

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merito soprattutto a due questioni: se l’accertamento della fairness processuale dovesse passare o no attraverso tutti e tre i criteri da quello previsti e quale fosse l’ordine da seguire. A risolvere tali dubbi è intervenuta la sentenza della Grande Camera Schatschaschwili c. Germania del 15 dicembre 2015333. Con riferimento al primo quesito, la Corte ha precisato che la mancanza, ad esempio, di buone ragioni idonee a giustificare l’assenza del testimone (primo step) non può di per sé implicare l’iniquità del processo: resta un fattore estremamente significativo da soppesare, però, con i criteri previsti dagli altri passaggi, cioè l’importanza delle dichiarazioni unilaterali e le misure adottate dall’autorità giudiziaria allo scopo di ridurre il pregiudizio provocato alla difesa. Relativamente alla seconda questione, invece, la Grande Camera ha confermato la sequenza indicata nella sentenza Al-Khawaja, puntualizzando, tuttavia, che l’ordine può essere sovvertito allorché la verifica di uno dei tre aspetti sia risolutiva del vaglio complessivo334. Passando poi ad analizzare il

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La sentenza è commentata da Zacchè, Il diritto al confronto nella giurisprudenza

europea, cit., p. 219 e ss.

334 In senso critico Cecchi, La Corte europea torna sul testimone irreperibile e

condanna l’Italia, Dir. pen. proc., 2018, p. 966, secondo cui questa conclusione

abbassa notevolmente le garanzie difensive previste per l’imputato: se può essere accettabile per valutare l’equità processuale, non lo è per deliberare in merito alla responsabilità penale. Con la sent. 7 giugno 2018, Dimitrov e Momin c. Bulgaria, è stato ribadito come il decesso del testimone costituisca un motivo serio che giustifica l’assenza dibattimentale; né all’organo dell’accusa può essere rimproverato la mancata anticipazione del contraddittorio in sede di indagini preliminari, laddove lo stato di salute del testimone, pur malato di tumore, non fosse tale da rendere prevedibile l’impossibile partecipazione al processo. Quanto al secondo step, la Corte di Strasburgo accerta, nel caso di specie, il carattere determinante delle dichiarazioni provenienti dal teste assente. Ciononostante, viene escluso la violazione dell’art. 6 commi 1 e 3 lett. d Cedu, poiché il deficit dialettico è stato controbilanciato da solide garanzie procedurali: i ricorrenti hanno partecipato attivamente al processo e hanno potuto far valere gli argomenti favorevoli al loro proscioglimento; i tribunali hanno svolto un esame molto approfondito della credibilità della prova principale, tenendo conto e respingendo in modo motivato le obiezioni a tale riguardo proposte dai ricorrenti; infine, le decisioni dei tribunali nazionali sono risultate ampiamente motivate e non arbitrarie. Viene poi in rilievo la sent. 12 giugno 2018, T.K. c. Lituania: qui, l’assenza del testimone è stata ritenuta

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caso concreto ha concluso per la violazione dell’art. 6 CEDU perché il giudizio complessivo sulle contromisure adottate per compensare l’impiego delle dichiarazioni determinanti era negativo: non è stata garantita all’accusato un’occasione adeguata di confronto con i testimoni a carico in nessuna fase del procedimento, anzi, quando vi era stato modo, nell’udienza anticipata di acquisizione della prova, il giudice istruttore non aveva provveduto neppure a convocare il suo difensore.

Una possibile ricaduta del “nuovo corso” della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, proiettato nel contesto nazionale, sarebbe quella di ripensare i risultati della sentenza 25/11/2010 delle Sezioni Unite, secondo cui le dichiarazioni predibattimentali rese in assenza di contraddittorio, non potrebbero fondare in modo esclusivo o determinante l’affermazione di colpevolezza dell’imputato. Alla luce delle precisazioni contenute nella sentenza Al-Khawaja, infatti, l’assolutezza di questa regola, per come è stata espressa nella decisione della Corte di Cassazione, dovrebbe essere mitigata al fine di prevenire un ipotetico e imprevisto nuovo contrasto con la giurisprudenza dei diritti umani335. In senso contrario, non si può fare a meno di notare che, laddove si ravvisi nell’overrulling della Corte EDU un abbassamento della tutela offerta ai diritti di difesa, non si può certo pensare che una disciplina maggiormente garantista

nazionale possa scontrarsi con le censure di Strasburgo336.

giustificata, in quanto si trattava di un minorenne vittima di un reato sessuale. Tuttavia, il giudice europeo accerta la violazione dell’equità processuale, in quanto l’impiego decisivo delle dichiarazioni predibattimentali della fonte vulnerabile non è stato compensato da solide garanzie procedimentali: in particolare, il giudice ha negato la convocazione degli esperti che avevano interrogato i minori

335 Balsamo, La Corte di Strasburgo e i testimoni assenti, cit., p. 2845 336

Di questo parere Cecchi, La Corte europea torna sul testimone irreperibile e

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D’altro canto, laddove si riconosca che i recenti orientamenti del giudice europeo, piuttosto che essere il risultato di un repentino sbalzo d’umore giuridico, siano, invece, frutto del normale modus

operandi della Corte case by case, allora si potrebbe stare ben sereni

del fatto che nessun nuovo contrasto possa sorgere tra la disciplina nazionale e quella pattizia. Semmai, ciò che potrebbe essere ancora una volta rimproverato allo Stato italiano, è la consueta violazione del diritto al confronto, secondo canoni già ampiamenti consolidati presso la giurisprudenza europea, come dimostra la più recente sentenza di condanna ai danni dell’Italia da parte della Corte alsaziana. Si tratta del caso Cafagna c. Italia337, Corte eur. dir. uomo, Sez. I, 12 gennaio 2018. La Corte ha valutato se c’è stata violazione del diritto di difesa del ricorrente, attraversando i tre passaggi dettati dall’ Al-Khawaja test. In primo luogo, ha riscontrato che l’assenza del testimone era imputabile alle autorità nazionali che non hanno adottato tutte le misure idonee a garantirne la presenza in aula, come ad esempio la disposizione di ulteriori ricerche (primo step); ha riconosciuto che le deposizioni del teste irreperibile costituivano la prova determinante della colpevolezza (secondo step); ha statuito, infine, che non c’erano ulteriori elementi a sostegno della credibilità e dell’affidabilità della prova regina. L’ennesima condanna dell’Italia, dunque, può confermare i dubbi circa l’effettività dell’overrulling della Corte EDU in merito al “diritto al confronto” con l’accusatore.

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La sentenza è commentata da Cecchi, La Corte europea torna sul testimone

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CONCLUSIONI

Dottrina e giurisprudenza si sono abbondantemente dedicate, nel corso degli anni, al tema della prova irripetibile, andando ora nella direzione di una lettura restrittiva della stessa, in conformità alla sua natura eccezionale rispetto alla regola del contraddittorio, ora nella direzione opposta, lasciandosi suggestionare da esigenze diverse ritenute altrettanto meritevoli di tutela. Quest’ultimo è il caso, ad esempio, della vittima del reato alla quale si risparmia, esonerandola dal ripetere le sue dichiarazioni in giudizio, uno spiacevole incontro tanto fisico quanto verbale in tale sede con il presunto carnefice; o del teste più generalmente fragile, per ragioni anche estranee al processo, rispetto alle cui dichiarazioni si è invocato da più parti la lettura per impossibilità sopravvenuta di audizione dello stesso. Del resto, nel senso di dilatare oltre misura l’ambito operativo dell’art. 512 c.p.p. la giurisprudenza si è spinta ad affermare che nell’accertamento del requisito dell’imprevedibilità il giudice deve tener conto di qualsiasi elemento, anche il più banale, che possa far ritenere possibile la ripetizione in dibattimento dell’atto di indagine, ridimensionando notevolmente l’onere della prova in capo alla parte interessata alla sua acquisizione, sulla quale a suo tempo gravava l’onere di richiedere l’incidente probatorio. Orientamenti di questo tipo non solo non devono essere assecondati, ma dovrebbero essere stroncati sul nascere dato che ampliano pericolosamente l’estensione di una deroga al contraddittorio che già di per sé si pone in difficoltà di senso sul piano gnoseologico. Complice di facili fraintendimenti in tema di irripetibilità è stato, poi, senz’altro, il legislatore, il quale nel confezionare le varie figure di prova irripetibile ha omesso di volta in volta alcuni requisiti che nella loro reciproca coesistenza rendevano accettabile la deroga al contraddittorio: l’assolutezza e l’oggettività

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dell’impossibilità nell’art. 512 c.p.p., l’imprevedibilità nell’art. 512bis c.p.p. e nell’art. 403, comma 1bis. Se mediante un’interpretazione costituzionalmente orientata è facile superare le omissioni di un legislatore smemorato, più difficile è invece leggere in maniera sistematicamente coerente le disposizioni scritte da un legislatore poco avveduto circa le loro potenzialità espressive. È il caso della regola di valutazione espressa dall’art. 111, comma 4, seconda parte Cost., secondo la quale la colpevolezza non può essere provata sulla base delle dichiarazioni rese da chi si è sempre volontariamente sottratto all’esame dell’imputato o del suo difensore. Nonostante si sia tentato di aggiustare il tiro della previsione leggendola in armonia con la prima parte del quarto comma, che esprime il principio del contraddittorio nella formazione della prova, resta un’anomalia di fondo. Essa esprime l’eventualità, infatti, che sia recuperato in giudizio un atto d’indagine la cui formazione nel contraddittorio tra le parti sia stata impedita da una causa soggettiva di impossibilità e la possibilità che, laddove ci siano dubbi sull’esistenza della libera scelta in capo al dichiarante di sottrarsi all’esame, si presume che non ci sia stata: gli atti di indagine, in tal modo, vengono recuperati con più facilità. Il vulnus al principio del contraddittorio discende così dallo stesso testo costituzionale.

Il legislatore riformistico, del resto, è stato poco accorto anche nel disciplinare un’altra questione, quella inerente all’impiego decisivo in sentenza della prova assunta in difetto di contraddittorio. La prova unilaterale, per citare un’immagine evocata da illustre dottrina, è come un vagone: da sola o unita ad altre omologhe fonti di conoscenza non riesce a portare da nessuna parte; al seguito di una “prova motrice” può contribuire ad accrescere importanza e portata al convoglio, accreditando agli occhi del giudice la direzione verso la

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quale spinge. Per quanto giurisprudenza e dottrina si siano affaccendate nel cercare cavilli a cui appigliarsi per sostenere la fondatezza di una regola il cui rispetto viene sistematicamente messo in dubbio semplicemente perché non è scritta da nessuna parte, sarebbe forse più opportuno che fosse il legislatore ad intervenire in modo definitivo sul punto. Questa strada sarebbe auspicabile anche in vista di un allineamento del nostro Paese agli insegnamenti della Corte edu, pur nella consapevolezza di quanto sia scivoloso il terreno delle regole di valutazione della prova, cui quella in discussione afferisce: più che altro essa si tradurrebbe in un controllo sulla motivazione, dal momento che non esistono strumenti idonei a monitorare l’iter psicologico che conduce il giudice alla decisione, se non nella misura in cui di esso resta traccia proprio nella motivazione del suo provvedimento. Del resto, una presa di posizione chiara sul punto sarebbe gradita anche in considerazione della confusionaria applicazione che della regola si è fatta persino nelle decisioni della Corte di Strasburgo, dove il criterio della prova unica o determinante è stato accertato ora con una rigorosa “prova di resistenza” ora con una più malleabile “lettura congiunta”, modalità tanto diverse tra loro da generare epiloghi decisori opposti. Anche se le più recenti pronunce dei giudici europei, a partire dal caso Al-Khawaja, introducendo il criterio delle “solide garanzie procedurali”, hanno fatto pendere l’ago della bilancia verso la seconda lettura, le perplessità degli interpreti nazionali restano e richiedono un bisogno di chiarezza che per il momento è rimasto inascoltato.

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