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Parte I. La comunità albanese di Calabria

3. La comunità calabro-albanese nell’Italia Unita

3.2 Albanesi e “cittadini Italiani”: rivendicazioni istituzionali

Per quanto le masse contadine non avessero trovato nel nuovo stato politico la soluzione economica e sociale desiderata, il notabilato della comunità arbëreshë si adoperò in modo da ottenere riconoscimenti istituzionali che permettessero il radicamento della propria identità in seno alla nazione italiana.

Le richieste avanzate al governo d’Italia insistevano sulla necessità di una nuova regolamentazione dell’istituzione educativa del Collegio italo-greco e sulla fondazione di una sede vescovile di rito greco che garantisse l’autonomia religiosa della comunità.

Non a caso la richiesta dei “sottoscritti Sindaco e Notabili del Comune di S. Demetrio Corone” arrivò in occasione della proposta di legge del 1866 sull’asse ecclesiastico che prevedeva la soppressione delle corporazioni religiose e l’incameramento di tutti gli immobili degli enti conservati e soppressi. Dal momento che il Collegio, fondato per volere di papa Clemente XII, era sotto il diretto controllo della Chiesa, il timore era di veder abolita l’istituzione scolastica albanese preposta alla formazione dei papas. Oltre a perdere la possibilità di formare la gioventù arbëreshë, si rischiava di compromettere la sopravvivenza del rito greco.

Per questo motivo il professore di Filosofia del Collegio, Angelo Marchianò, fu incaricato di scrivere una “Memoria sul Collegio e Vescovo greco di S. Adriano” da indirizzare “agli onorevoli Deputati e Senatori del Parlamento Italiano”.

Per quanto firmata solo dal notabilato di S. Demetrio, la lettera voleva esporre “i desideri e i bisogni di [tutti i] trentasei mila Albanesi divenuti cittadini Italiani per quattro secoli di dimora in questa nuova lor patria”. La “Memoria” si apriva dunque con una rivendicazione di appartenenza: nonostante la comunità si riconoscesse come Albanese, sottolineava il nuovo stato di “cittadini Italiani”. La cittadinanza, in quanto condizione di

47 Cingari G., Romanticismo e democrazia. nel Mezzogiorno: Domenico Mauro,

appartenenza di un individuo o gruppo ad uno Stato, portava con sé situazioni giuridiche attive.

La consapevolezza di essere passati dallo status di sudditi di una monarchia assoluta a quello di cittadini di una monarchia costituzionale come quella sabauda, in cui largo spazio era lasciato al Parlamento, dimostra la coscienza politica rispetto ai conquistati diritti civili e politici. Gli Albanesi rivendicavano il loro posto di cittadini della nazione italiana in nome del loro “patriotismo (sic)” e della “nobile abnegazione”; infatti, nonostante le persecuzioni borboniche, “in mezzo le catene e negli esilii nessuno venne meno al proprio dovere, combattendo la tirannide con ogni modo”.

Gli Albanesi hanno la coscienza di aver fatto il loro dovere: ed ora la prima volta si presentano innanzi al Parlamento Nazionale, portando in cima alle loro picche il Decreto del Gran Cittadino, che li dichiara benemeriti della patria e li affida alla lealtà del Re galantuomo ed alla generosità della Nazione. Essi son certi che la loro voce troverà un’eco nei Rappresentanti della nazione, giacché la causa che propugnano è giusta e doverosa. 48

Ad ulteriore conferma della loro partecipazione alla rivoluzione pre- risorgimentale, i calabro-albanesi portavano il già citato decreto garibaldino del 20 ottobre 1860. Chiedevano dunque che fossero riconosciuti i loro meriti e legittimata istituzionalmente la loro presenza ed appartenenza alla nazione italiana. La richiesta, come anticipato, riguardava il Collegio Italo- greco. Ripercorrendo la storia dell’istituzione dalla sua fondazione fino all’età borbonica sotto Francesco II, si mostrava come nel tempo la sua originaria natura puramente seminariale fosse stata modificata: divenuto, grazie all’intervento di figure centrali come il vescovo Bellusci, un istituto “Ecclesiastico-Laicale”, volto alla formazione della gioventù arbëreshë, aveva formato generazioni di patrioti. Inoltre il Collegio aveva un’importanza determinante per la sopravvivenza identitaria della comunità:

Il Collegio di S. Adriano riassume la vita degli Albanesi d’Italia, perché in esso si compendiano tutti i loro interessi morali, intellettuali e religiosi. […] Essi s’intitolano Italo-Greci; né vogliono in alcun conto rinunziare a questi due illustri nomi, giacché rappresentano le due grandi Civiltà; e chi si mostra indifferente è indegno di goderne i benefici – Perciò gli Albanesi si affollano attorno il loro monumentale Stabilimento, per metterlo sotto l’ombra inviolabile dei Poteri dello

48 Marchianò A., Memoria sul Collegio e Vescovo Greco di S. Adriano scritta da

Angelo Marchianò Professore di Filosofia in nome ed a richiesta dei cittadini di S. Demetrio Corone, Cosenza, 1866, p. 9

Stato, acciò mutilandosi le membra, non venisse distrutto il corpo.49

Veniva dunque messo in stretta correlazione il rapporto tra identità e istruzione. La perdita dell’istituzione scolastica avrebbe significato una “mutilazione” che avrebbe rischiato di compromettere l’esistenza dell’intera comunità. Inoltre gli albanesi si trovavano a confermare la loro molteplice appartenenza alla quale non erano disposti a rinunciare. Se nel periodo pre-unitario gli sforzi intellettuali furono tesi a giustificare la presenza e la partecipazione ai moti nazionali, quando lo scopo nazionale fu raggiunto, gli arbëreshë sapevano di essere entrati di diritto a far parte dello stato italiano grazie alle proprie azioni; quel posto lo avevano guadagnato e adesso reclamavano ciò che pensavano spettasse loro di diritto.

In un momento in cui si dibatteva in Italia circa la centralità della scuola come luogo in cui “fare gli italiani,50 i calabro-albanesi sembravano

muoversi in senso contrario chiedendo un’istruzione ad hoc volta al rafforzamento di un’identità altra. Sollecitavano dunque la trasformazione del Collegio in Seminario Ginnasio-Liceo regolato da provvedimenti speciali “serbando in vigore le Bolle di fondazione ed affidando la Presidenza ad un Vescovo Greco rivestito di giurisdizione sopra le Chiese Greche”. Nella Memoria era messa in luce l’importanza della guida di un vescovo di rito greco come garante della formazione dei papas.

Perché dunque il Seminario avesse una guida sicura e stabile era avanzata la necessità di fondare una Diocesi Greca. Nella discussione parlamentare in vista della legge sull’asse ecclesiastico si valutava infatti il riordinamento e la riduzione del numero delle diocesi, che avrebbero coinciso con le unità territoriali provinciali.51 I calabro-albanesi

confidavano nel fatto che una volta istituita la nuova diocesi, il pontefice avrebbe riconosciuto la circoscrizione. Nei quattro secoli di permanenza nel Regno, gli arbëreshë non erano mai riusciti ad ottenere dalla Santa Sede

49 Ibidem, p. 4

50 Notevole la produzione storiografica circa il rapporto tra scuola e nazione nel periodo risorgimentale. Fondamentali restano: Soldani S. - Turi G. (a cura),

Fare gli italiani. Scuola e cultura nell’Italia contemporanea. La nascita dello Stato nazionale, Bologna, 1993; Traniello F., Nazione e storia nelle proposte educative degli ambienti laici di fine Ottocento, in Pazzaglia L. (a cura), Cattolici, educazione e trasformazioni socio-culturali in Italia tra Otto e Novecento, Brescia, 1999, pp. 61-91; Morandini M.C., Scuola e nazione. Maestri e istruzione popolare nella costruzione dello Stato unitario (1848- 1861, Milano, 2003

51 Camera dei deputati, Discussione del progetto per la liquidazione dell’asse

una diocesi autonoma e svincolata dal controllo dei vescovi di rito latino che sempre, come si è visto, provarono a imporsi sulla comunità, tentando talvolta di ostacolare la perpetuazione del rito greco e di impedire il normale funzionamento del Collegio. La richiesta della fondazione di una nuova diocesi, che andava inoltre a coincidere con delle circoscrizioni ecclesiastiche già esistenti di rito latino, era ancora una volta non allineata alla politica del governo italiano, volta a snellire la rete istituzionale ecclesiastica.

Gli arbëreshë erano consci di come, sia la richiesta riguardante l’istituzione del Seminario Ginnasio-Liceo, sia circa la diocesi di rito greco, potessero risultare inappropriate al Parlamento e quindi così perorarono la loro causa:

Gli Albanesi non domandano privilegio, ma intendono conservare un diritto a loro dovuto; […] Chi volesse tirare la pialla nell’Italia troverebbe che sono più i monti che le pianure, essendo le disuguaglianze accidentali condizione essenziale delle società, contro cui riescono vani gli espedienti degli uomini. Gli Albanesi reclamano l’eccezione in grazia del rito e dei costumi diversi, della lingua e di altre ragioni particolari, che la Legge non può prendere in considerazione, né debitamente regolare colle sue forme generiche. […] Si ha la speranza che Deputati e Ministri si accorderanno questa volta per dare gli interessi disparati un assetto ampio e completo e degno della saggezza Italiana.52

Facendo dunque leva sui diritti dovuti, gli albanesi chiedevano il riconoscimento della loro alterità ed usavano una similitudine per mostrare come le differenze fossero naturali: come la struttura geografica d’Italia è caratterizzata più da monti che da pianure, così non era possibile pretendere omogeneità nella popolazione della penisola. Le diversità sono “condizione essenziale” dei popoli e vano è il tentativo di omologazione che tutte le nazioni auspicano. La saggezza consiste nella presa d’atto delle naturali differenze e nel tendere all’inclusione attraverso la legge che non deve essere generica ma deve porre attenzione alle esigenze più disparate. L’unico modo per perseguire lo scopo di aggregazione nazionale era investire nell’istruzione, – “Volesse Iddio che l’istruzione costasse poco allo stato” – perché “l’Italia deve ricostruire e non distruggere le opere sue”.53

Con queste considerazioni – quanto mai attuali – i calabro-albanesi tentarono di convincere i deputati delle necessità della comunità. Nonostante tutto il Collegio dovette attendere fino al 1903, sotto la direzione Scalabrini, per ottenere il decreto di pareggio scolastico e il 1923

52 Marchianò A., Memoria sul Collegio e Vescovo Greco di S. Adriano, cit., p. 10 53 Ibidem, p. 13

per l’elevazione a Liceo Ginnasio Statale.54 La diocesi, dipendente

direttamente dalla Santa Sede, fu invece fondata il 3 febbraio 1919 da papa Benedetto XV con la bolla “Catholici fideles”, per favorire la ripresa del rito greco nell’Italia Meridionale.55