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Parte I. La comunità albanese di Calabria

3. Gli albori della pubblicistica calabro-albanese: “L’Albanese d’Italia”

4.1 La disfatta di Campotenese

Nel 1908 in occasione del sessantenario dei fatti del 1848, Guglielmo Tocci, arbëreshë di S. Cosmo Albanese ed ex-deputato,118 aveva intenzione

di indire “un concorso finanziario e morale” per porre una targa in memoria degli “eroi Albanesi” che morirono per “l’idea nazionale” durante la disfatta di Campotenese; tra questi eroi vi era stato infatti anche il fratello di Guglielmo, Francesco Saverio Tocci.119 Per dimostrare l’importanza di

questo momento storico, Guglielmo si mise in contatto con quanti, sopravvissuti, erano stati testimoni di quei giorni. Queste lettere, che ricostruiscono gli ultimi momenti delle squadre albanesi, sono conservate presso il fondo “Cesare De Novellis” della Biblioteca Nazionale di Cosenza e sono state pubblicate da Elvira Graziani. Principalmente grazie a queste è possibile ricostruire l’ultimo atto del movimento patriottico calabrese nel Quaranttotto, atto cruento che acuì l’astio e la paura nei confronti della monarchia.

Campotenese, frazione di Morano Calabro, confinava ad est con Castrovillari ed era passaggio obbligato per le truppe regie. Per rallentare la marcia dell’esercito di Busacca si decise “l’abbattimento del ponte di S.

116 Marulli G., Documenti storici riguardanti l'insurrezione calabra, Napoli, 1849, p. 275

117 Musolino B., La Rivoluzione del 1848 nelle Calabrie, Napoli, 1903

118 Graziani E. (a cura), La figura e l’opera di Guglielmo Tocci: dal fondo Cesare

De Novellis, Cosenza, 2006

119 Lettera di V. Palazzo, sindaco di S. Cosmo Albanese, a Guglielmo Tocci. S. Cosmo Albanese, 19 ottobre 1911. In Ibidem, p. 89

Martino, detto volgarmente del Cornuto” che attraversava Campotenese.120

Della demolizione si fecero carico “i fatigatori della Salina di Lungro” che prestatisi volontariamente rinunziarono “all’indennità, contentandosi del solo cibo giornaliero”. Il Comitato, disponendo che fossero premiati per la loro generosità, continuava:

Noi manifestiamo che essi sono Albanesi, e quindi degni di quella lode che meritano tutti quanti sono i discendenti dell’immortale Schanderbeck.121

Il Comitato richiamava esplicitamente il nesso identitario dell’origine albanese degli abitanti di Lungro. La loro generosità e il loro impegno veniva dunque collegato alla memoria delle gesta del celebre eroe albanese, Giorgio Castriota, detto Skanderbeg, principe albanese e re d’Epiro, riuscì a contenere l’invasione ottomana impedendone l’arrivo in Europa; per questo fu definito da papa Callisto III “athleta Christi” e “defensor fidei”.122 Allo

stesso modo i suoi discendenti si erano dimostrati pronti a difendere la patria mettendo la propria opera al servizio della rivoluzione contro il nemico. A controllare i lavori di demolizione vi erano Vincenzo Mauro, fratello di Domenico, e Demetrio Chiodi, entrambi di San Demetrio Corone; Francesco Saverio Tocci, di San Cosmo Albanese, e Nicola Tarsia, di Firmo.

Il 29 giugno arrivò una colonna di tremila uomini al comando del generale Busacca e gli “Albanesi” guidati da Mauro scesero per combattere ma furono costretti a rifugiarsi a Morano. Il giorno seguente, ritornati a Campotenese, ebbero notizia che un’altra colonna di borbonici, comandati dal generale Lanza, aveva occupato Rotonda. Tocci, Chiodi, Mauro e Tarsia avevano ricevuto intanto ospitalità per poter riposare, ma, traditi dagli abitanti, furono attaccati dalle truppe regie. Cercarono di resistere, ma dovettero cedere e furono condotti a Rotonda, dove Tocci, Chiodi e Mauro furono massacrati “a colpi di baionetta, cavando loro financo gli occhi”, mentre Tarsia fu condotto in carcere.123

I capi della squadra arbëreshë di Campotenese furono sterminati per aver rifiutato di gridare “Viva il Re”; alcuni testimoni raccontavano che invece acclamassero “Viva l’Italia”, “Viva l’Indipendenza” e che Vincenzo Mauro

120 Lettera di Camillo Santojanni a Guglielmo Tocci. Roma, 11 agosto 1907. In

Ibidem, 66-67

121 Marulli G., Documenti storici, cit., p. 345

122 Genesin M.- Matzinger J.- Vallone G. (a cura), The Living Skanderbeg. The

Albanian Hero between Myth and History, Amburgo, 2010

123 Lettera di Camillo Santojanni a Guglielmo Tocci. Roma, 11 agosto 1907. In Graziani E., La storia della Calabria nel XIX secolo, cit., pp. 66-67

avesse detto “Viva Iddio che ci aiuti nei nostri disegni”.124 Ormai le sorti

della resistenza calabrese erano segnate.

L’arciprete di rito greco, Demetrio Chidichimo, ricordando gli arbëreshë di Plataci che parteciparono alla spedizione di Campotenese, riportava un aneddoto che spesso gli raccontava suo padre:

Una notte mentre nel campo si dormiva profondamente, dopo una giornata piena di scoramento e delusione, Pietro Chidichimo Zecca con altri suoi compagni di Plataci, ancora in veglia, prese a cantare il “Cristòs anesin” [sic]. A quel canto si destò tutto il campo, e quanti albanesi vi si trovavano e per il primo l’Illustre D. Antonio Marchianò accorsero a far festa ed eco ai felici evocatori di quell’inno glorioso della nostra Chiesa. Così in quella notte il Canto della Redenzione pasquale valse a ridestare negli animi affievoliti tutto il coraggio e la speranza dei primi giorni della campagna di Campotenese.125

Il gruppo di patrioti calabro-albanesi consapevoli della fine del loro sogno di libertà trovavano rifugio nella consolazione della religione. Era intonato il canto pasquale “Christos anesti”, cantato dai fedeli nella celebrazione della notte tra il Sabato e la Domenica di Pasqua. “Cristo è risorto”, intonavano i fedeli di rito greco e questa risurrezione era portatrice di speranza e di giustizia: “Chi ha faticato digiunando, riceva ora la sua ricompensa. Chi ha lavorato fin dalla prima ora, riceva oggi il suo giusto salario.”126 Tra questi patrioti Chidichimo ricordava Antonio Marchianò,

Vicepresidente del Collegio di S. Adriano che, come si vedrà, occupò un posto di primo piano nell’agitazione patriottica della comunità.

Alla disfatta di Campotenese seguirono altre atrocità perpetuate dalle truppe borboniche sulla popolazione,127 il Comitato di Salute Pubblica

dichiarò quindi ufficialmente la sua resa per “evitare al paese gli orrori di una guerra accanita”, d’altronde era ancora vivo il ricordo della furia sanfedista. Con questo annuncio il Comitato si ritirò spontaneamente dalla città non senza auspicare che ben presto schiere di calabresi e siciliani fossero in grado “non solo di rioccupare la provincia, ma di allargare la

124 Lettera di N. Coppola a Guglielmo Tocci. Castelluccio Inferiore, 22 ottobre 1906; lettera di Nicola Pisarra a Guglielmo Tocci. New York, 9 aprile 1907. In

Ibidem, pp. 68-73

125 Lettera di Demetrio Chidichimo a Guglielmo Tocci. Plataci, 30 marzo 1910. In

Ibidem, p. 77

126 P e r i l c a n t o e i l t e s t o t r a d o t t o d i “ C h r i s t o s a n e s t i n ” c f r. http://www.jemi.it/index.php/la-chiesa-italo-albanese-qisha-

arbereshe/eparchia-di-lungro/le-parrocchie/1351--sp-756/275-christos-anesti 127 In “L’Italiano delle Calabrie”, Cosenza, 30 giugno 1848

rivoluzione nel rimanente regno”.128

Effettivamente nei paesi arbëreshë continuarono i tentativi insurrezionali. Nel luglio del 1848 l’arciprete di S. Demetrio, Trifone Lopez, contattava l’Intendente per denunciare che Raffaele Mauro e Antonio Marchianò, latitanti dopo “lo scioglimento delle masse di Campotenese”, continuavano a predicare la rivoluzione; sostenevano che un’armata francese fosse pronta ad appoggiare il moto rivoluzionario e sarebbero state sterminate tutte le famiglie fedeli alla monarchia borbonica.129 L’intendente si apprestava

quindi ad informare il Ministero di Polizia segnalando che

in S. Demetrio ed in S. Sofia, paesi albanesi del Distretto di Rossano può dirsi essersi sviluppati i germi dell'anarchia. In S. Sofia i compromessi nella passata emergenza si dicono pronti a novelli sconvolgimenti politici, spargendo voci allarmanti, e tacciando di debolezza il Real Governo. In S. Demetrio i primi rivoltosi repubblicani, alla testa de' quali è D. Raffaele Mauro, fratello di Domenico girano armati per quel territorio, minacciando apertamente che fra giorni, rinascendo una sommossa, faranno la loro vendetta; […] Gli autori delle macchinazioni sono stati e sono D. Raffaele Mauro, D. Antonio Marchianò, Vicepresidente del Collegio Italo-greco, nel quale stabilimento si crede con fondamento nascosto D. Domenico Mauro. Per questi due comuni, e per qualche altro, come sarebbe S. Benedetto Ullano paese albanese di questo primo Distretto, patria del famigerato D. Giovanni Mosciaro, prego l'E. V. di autorizzarmi a disporre un disarmo generale, da eseguirsi all’arrivo della Truppa, la quale per questa operazione dovrà piombare inaspettatamente sopra luogo.130

Fu richiesto dunque l’intervento di una truppa regia composta da almeno cinquanta soldati per poter garantire la “pubblica tranquillità”: il timore di una guerra civile era in agguato. Nel frattempo continuavano le agitazioni nei paesi albanesi di S. Demetrio, S. Sofia e Macchia. Girava voce che fossero sorte a Cosenza e a Castrovillari delle “associazioni illecite con promesse e vincolo di giuramento” per operare contro lo stato.131 In effetti 128 Agli abitanti della Calabria Citra. Cosenza, 7 luglio 1848, in Graziani E., La

storia della Calabria nel XIX secolo, cit., p. 18

129 ASN, Ministero di Polizia generale. Seconda Numerazione. Fascio 3200 VI, Esp. 238, vol. 15 par. 11. San Demetrio 28 luglio 1848. L'Arciprete del Comune Segnato, Trifone Lopez, al Sig. Intendente della Provincia di Calabria Citra

130 ASN, Ministero di Polizia generale. Seconda Numerazione. Fascio 3200 VI, Esp. 238, vol. 15 par. 11. Cosenza, 1 Agosto 1848. L’intendente di Calabria Citeriore al Ministro di Polizia generale

131 ASN, Ministero di Polizia generale. Seconda Numerazione. Fascio 3200 VI, Esp. 238, vol. 15 par. 17. Cosenza 9 settembre 1848. Lettera dell'intendete della Calabria Citeriore al Ministero di Polizia

Domenico Mauro aveva fondato una setta a Castrovillari che si riuniva nella casa di campagna del sacerdote Raffaele Salerno. Tra i membri vi erano i calabro-albanesi Muzio Pace, Giuseppe Pace e Domenico Damis, per citare i più famosi. Quest’ultimo aveva a sua volta fondato una setta nella villaggio albanese di Lungro.132

Ancora notizie di “Albanesi disturbatori della quiete pubblica” si hanno per gli ultimi mesi del 1848 in cui si verificarono incursioni a feste pubbliche al grido di “Viva la Repubblica!” con bandiere tricolori.133 Nel mese di

dicembre si ebbe poi il tentativo, in occasione delle votazioni per i deputati parlamentari, di far eleggere nuovamente Domenico Mauro. Ormai la spinta rivoluzionaria si era spenta e a S. Sofia si arrivò ad una colluttazione tra le due parti della popolazione – rivoltosi e regi – in cui morirono due patrioti.134