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Parte I. La comunità albanese di Calabria

5. Agesilao Milano: eroe o attentatore?

1.1 Gli esuli meridionali a Genova

Mazzini già nel 1851 aveva sottolineato la centralità dell’Italia meridionale nel progetto di una rivoluzione in chiave nazionale e aveva invitato Garibaldi a muoversi in favore, in particolare, della Sicilia. Mentre l’Eroe dei due modi era in America, Mazzini gli aveva indirizzato una lettera il 14 dicembre 1851, in cui sottolineava come “il Napoletano [fosse] buono, disposto, ma disorganizzato”.6 Tale disorganizzazione aveva avuto la

meglio: continui tentativi insurrezionali avevano agitato il Regno borbonico senza riuscire mai a concretizzarsi. Ancora una volta all’inizio del 1860 focolai di patrioti si mossero in Sicilia, ma già alla fine di aprile si era sparsa la notizia che la rivolta era stata domata. La politica nazionale italiana era allora gestita da Cavour, sfavorevole all’intervento di Garibaldi nel Meridione e ad un’unificazione in chiave rivoluzionaria. Per questo motivo Garibaldi, quando il 28 aprile giunsero notizie circa i moti isolani, aveva abbandonato definitivamente l’idea di un intervento.

Il giorno seguente fu trasmesso un secondo telegramma – si ritiene inventato dallo stesso Crispi – , in cui si comunicava che, secondo notizie raccolte da profughi, giunti a Malta su navi inglesi, l’insurrezione, anche se era stata repressa a Palermo, sopravviveva nelle province.7 Crispi si

adoperò allora per convincere Garibaldi sull’opportunità del suo sostegno per il buon esito di questa rivoluzione e riuscì nel suo intento.8

Ma un nuovo telegramma giunse a mettere a rischio la partenza. Francesco Sprovieri, patriota in esilio di origine arbëreshë di Acri, così raccontava le

6 Donaver F., La spedizione dei Mille, Genova, 1910, p. 2

7 Bertoletti C., Il Risorgimento visto dall'altra sponda : verità e giustizia per

l'Italia meridionale, Napoli, 1967, p. 200

8 Bandi G., I Mille. Da Genova a Capua, Pisa, 2012 (ried.), p. 17. Crispi sostiene che poco prima della partenza da Quarto Garibaldi gli avesse rivolto queste parole: “Voi solo m’incoraggiate ad andare in Sicilia mentre gli altri me ne dissuadono”. In Lettere edite ed inedite di Camillo Cavour, IV, Torino, 1885, p. 164, n. 2

ore precedenti la partenza da Quarto:

Non posso fare a meno di accennare ad una circostanza che nessuno scrittore contemporaneo che io sappia, ha finora ricordato. Il Generale Garibaldi era minuziosamente informato delle fasi della rivoluzione siciliana del 1860 dal Miceli e da me; un emigrato della provincia di Cosenza, chiamato Scura, impiegato tele- grafico a Genova, ci comunicava i dispacci che il colonnello di vascello della R. Marina sarda D’Aste spediva da Messina al governo di Torino per informarlo sugli avvenimenti dell’isola. Tali dispacci passavano per l’ufficio di Genova e comunicati a noi come ho detto, io poi li portavo alla villa di Quarto, facendo tre o quattro viaggi al giorno. Quando giunse il telegramma che annunziava essersi domata l’insurrezione in Sicilia, lo Scura ne diede copia al Miceli che la comunicò a me ed a Domenico Mauro, che fu condannato già due volte a morte dal Borbone e soffrì carcere ed esilio. Noi credemmo prudenza di non fare sapere a nessuno di quel dispaccio, nemmeno al Generale Garibaldi. A bordo, poi, del Lombardo, comandato dal Bixio, a lui lo mostrò il Miceli e Bixio ci ringraziò del nostro silenzio e ne fu più che contento, perché senza di esso forse la spedizione avrebbe sortito un ritardo. Così coll’avere tenuto segreto quel telegramma, rendemmo un gran servizio alla causa dell’Unità d’Italia. 9

Il 3 maggio arrivò dunque all’Ufficio telegrafico di Genova un telegramma col quale il comandante della squadra navale piemontese che stazionava nelle acque di Palermo, il marchese d’Aste, informava il governo piemontese che l’insurrezione era ormai stata completamente sedata. In quei giorni, inoltre, Cavour era arrivato a Genova per supervisionare i preparativi dei garibaldini e per cedere a Garibaldi, in qualità di beneficiario, le navi Lombardo e Piemonte.10 Tale notizia, se portata

all’attenzione di Garibaldi, o ancor peggio di Cavour stesso, avrebbe sancito il fallimento della spedizione. Però a prendere il telegramma fu Angelo Scura, arbëreshë di Vaccarizzo Albanese ed ex allievo del Collegio di S. Adriano. Scura, infatti, arrivato a Genova dopo i fatti del ‘48 al seguito del padre che era stato costretto all’esilio, aveva trovato impiego presso l’Ufficio telegrafico dove ricevette il telegramma circa la disfatta dei patrioti siculi. Giunta dunque la notizia, Scura invece di comunicarla, come avrebbe dovuto, al ministro Cavour – essendo infatti anche ministro della Marina a lui faceva capo il comandante della squadra navale piemontese inviata in Sicilia –, la fece pervenire a due suoi compatrioti arbereshe Mauro e Sprovieri. Anche questi resisi conto della gravità della notizia e del rischio di compromissione della partenza decisero di rivolgersi a Bixio,

9 In Cassiano D., S. Adriano, cit., p. 181

10 Piccione P., Le navi di Garibaldi. La storia dei piroscafi Piemonte e Lombardo

sostenitore con Crispi della partenza.

Questo episodio non trova riscontri in altre narrazioni circa la preparazione per la spedizione dei Mille. Per quanto sia difficile verificare la veridicità di questo aneddoto, esso è utile per comprendere il desiderio di partecipazione ed inclusione dei membri della comunità nel nascente progetto nazionale. Sprovieri nella sua memoria rivendica, infatti, il contributo sostanziale di alcuni membri della sua comunità per “l’Unità d’Italia”: il loro intervento fu necessario al raggiungimento dell’obiettivo unitario nazionale. L’aspettativa di un riconoscimento politico e sociale mosse, dunque, alcuni intellettuali a sottolineare – se non a costruire a posteriori – una tradizione di adesione all’azione politica italiana. La promessa di tempi nuovi era interpretata da alcuni ambienti della comunità come la possibilità di avere una legittimazione all’interno di uno stato laico in grado di superare le antiche divisioni in nome di una moderna collettività.

1.2 La partecipazione calabro-albanese alla liberazione della Calabria